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Action for Peace - Palestina



Roma 12.01.2002
Action for Peace
A pochi giorni dal ritorno dalla Palestina è difficile non avere nel
pensiero la Palestina e la sua gente.  Ogni viaggio mette in grave crisi lo
stato d'animo. Diventa difficile dividere il filo della ragione dai
sentimenti. Ora, che  siamo tornati dopo un intenso lavoro. Ora, che non
pesano più le riunioni senza fine e la paura di non riuscire a fare chi sa
che cosa. Ora, che abbiamo dimenticato il ronzio di "come fare?" che ci ha
tenuto svegli notti intere, ora, che non porteremo più gli occhiali scuri
alle sette di mattina per nascondere la stanchezza e il sonno, ora che
agitazioni, nervosismi e rabbie sono svaniti come un lampo senza colore,
ora che abbiamo superato anche le critiche, giuste o sbagliate. Dovrebbe
essere più semplice tornare a ragionare e tracciare un resoconto politico
nella situazione attuale. Tuttavia, ogni momento in cui si inizia la
discussione inevitabilmente prende vita il colore della disperazione negli
occhi dei nostri amici palestinesi fermati al posto di blocco israeliano.
Il lamento straziante delle madri, che nei campi profughi rivendicavano
fieramente la loro dignità e il diritto di ritorno dei loro figli, fratelli
e sorelle rifugiati chi sa in quale campo della Siria, Giordania o Libano.
La povertà dei bambini scalzi che calciavano il pallone rotto da settimane,
da mesi, da anni. Lo sguardo impotente e pietoso del padre che fissa
teneramente i suoi 5 figli chiudendosi in un mutismo eloquente. Le foto di
giovani martiri che decorano le città in un silenzio funesto. Mille
ingiustizie quotidiane che corrodono l'anima e la dignità dei palestinesi.
Migliaia di feriti che non potranno essere mai più come prima. Un compito
arduo trattare l'argomento tenendo distante il flusso del dolore e
l'emozione che devasta il cuore e la mente.
Eravamo tanti, forse più di 400 persone, considerando tutte le delegazioni
straniere: italiani, francesi, britannici, belgi e americani che, mano
nella mano, pacificamente, abbiamo manifestato protestando contro le
ingiustizie. Severi controlli, lacrimogeni, bombe assordanti, arresti ed
anche il ferimento di un nostro compagno, non hanno fermato la
manifestazione della nostra profonda solidarietà con il popolo palestinese.
Tuttavia la sensazione che ti invade è sempre uguale: impotenza e debolezza
dinanzi al un muro prepotente, arrogante, ingiusto e immorale che non si
scalfisce per nessun motivo.
Forse sarà utile il racconto del nostro viaggio ma, da parte nostra, si
rischia di cadere nella routine vissuta e raccontata per molti mesi.
Crediamo che sia più utile unire i frammenti dei nostri pensieri per
cercare di comporre il difficile puzzle di ciò che oggi succede in
Palestina. Ovviamente la nostra relazione rispecchia una parte della verità
vista dalla società civile palestinese e israeliana con i suoi pregi e
difetti.
La relazione è stata divisa in 5 parti che verranno inviate attraverso la
nostra mailing list e successivamente verrà messa nel nostro sito.

Farshid Nourai
Gruppo Palestina - Associazione per la Pace

Prima parte
La società Palestinese.
E' decisamente drammatico ciò che i palestinesi hanno subito dal 28
settembre 2000. I fatti parlano chiaro; più di 1000 morti e più di 20.000
feriti, la disoccupazione oltre il 60%, 120 posti di blocco israeliani
dislocati in tutta la Cisgiordania e Gaza che riducono a immobilità i
palestinesi. Le rappresaglie, le punizioni collettive, gli assassini
"preventivi", le distruzioni delle case e dei pozzi d'acqua, le terre
agricole, le confische dei terreni ne sono alcuni esempi. Tuttavia i
palestinesi continuano la loro resistenza. La violenta reazione israeliana
non scalfisce la convinzione del popolo palestinese di ottenere i suoi
diritti. I palestinesi, convinti di continuare la loro resistenza dinanzi
all'occupante cercano la strategia giusta della resistenza.
Non sono affatto pochi coloro che sono convinti che occorre reagire con la
forza e rispondere con i mezzi "militari" all'arroganza dell'occupante.
Tale convinzione raggiunge il massimo nei campi  profughi, nei villaggi
isolati e nelle città maggiormente colpite dagli israeliani, in special
modo a Gaza. I sostenitori di tale strategia richiamano la risoluzione
numero 2649 del 30 novembre 1970, in cui l'Assemblea Generale dell'ONU
afferma il diritto legittimo di lotta dei popoli sotto la colonizzazione o
l' occupazione straniera e riconosce il diritto dell' autodeterminazione ai
popoli sotto occupazione. E' del tutto evidente che il dolore e le tragedie
subite dal popolo palestinese, la reazione violenta e indiscriminata
israeliana, sommate alla debolezza dell'autorità palestinese, lo stallo
totale del processo di pace e il silenzio internazionale, aiutino la
maturazione di tale strategia. Il rilascio del Libano meridionale da parte
dell' esercito israeliano dopo anni di lotta armata viene preso come
esempio.
Eppure ci sono diverse organizzazioni della società civile convinte che
tale strategia sia un errore e/o addirittura sia una trappola tesa dagli
israeliani. Tale convinzione viene spiegata in questo modo: La
delegittimazione dell'autorità palestinese da parte israeliana e di fatto
l'incarcerazione di Prs. Arafat a Ramallah hanno lo scopo di fare scivolare
la società palestinese ad assumere posizioni violente. E' del tutto
evidente che le richieste assurde israeliane avanzate in queste settimana
riguardo l'arresto degli esponenti violenti della società palestinese non
può essere attuato in pieno dall'Autorità Nazionale. Una posizione violenta
contro organizzazioni come Hamas potrebbe avere conseguenze molto negative
nella società palestinese. Una società che ha subito la perdita dei suoi
figli non può tollerare che i suoi stessi governanti ne arrestino altri per
volontà dell'occupante. Se l'Autorità davvero volesse compiere questo gesto
avrebbe indubbiamente la necessità di ricorrere alla forza. Abbiamo già
avuto l'esempio di ciò che potrebbe accadere, qualche settimana fa quando
l'Autorità palestinese ha tentato di mettere sotto arresti domiciliari il
leader carismatico di Hamas. Oltre tutto sono proprio i poliziotti
dell'Autorità nazionale i bersagli preferiti degli israeliani. Molti
palestinesi sono convinti che il disegno di Sharon prevede la capitolazione
dell'Autorità Nazionale e che si stia già formando una formazione tra
alcuni politici e comandanti militari palestinesi per la successione di
Arafat. Tale formazione non trova alcun appoggio popolare in quanto gli
esponenti che la compongono (evitiamo di riportare i nomi in quanto sono
notizie non confermate e sono solo voci popolari) sono fortemente criticati
e non hanno nessuna presa sulla popolazione. Tuttavia i palestinesi credono
per questo motivo gli israeliani appoggerebbero questa formazione in quanto
sarebbe capace di soffocare violentemente le voci dissidenti .
Altri sono convinti che il disegno di Sharon miri a creare in Palestina la
presa di potere di una nuova formazione radicale per sostenere facilmente
l'aggettivo "Terrorista" e a questo punto nessuno potrebbe impedire un
intervento militare devastante israeliano per portare un nuovo ordine.
Considerando la campagna antiterrorista americana in atto in questi giorni
è difficile pensare che i paesi arabi potrebbero reagire concretamente o
meglio militarmente.
Tale affermazioni può sembrare fantapolitica agli occhi di molti ma, di
sicuro, non  all' occhio dei palestinesi che hanno subito il cinismo
israeliano e non coltivano nessuna fiducia negli israeliani in special modo
in Sharon.

La resistenza non violenta
Extragrande maggioranza della società organizzata palestinese ha scelto la
linea della resistenza non violenta in forme diverse. Occorre sottolineare
che su un punto tutti palestinesi e la maggioranza dei pacifisti israeliani
concordano ossia finché Sharon è al governo non si compierà nessun passo
verso la pace. Prendendo atto di questo diventa necessario per prima
proteggere i civili palestinesi. La richiesta di una forza internazionale
avanzata alle Nazioni Unite ha trovato ripetutamente il veto americano. Ua
coalizione dei associazioni e organizzazioni palestinesi ha dato la vita al
un network Chiamata G.I.P.P "Grassroots Protection for the Palestinan
Popele". Il compito prefissato è la formazione di una presenza permanente
dei attivisti internazionali a scopo di impedire gravi violazioni di
diritti umani commessi dagli israeliani. Al G.I.P.P. ha aderito anche
Piattaforma Italiana per la Pace in Medio Oriente che stato il promotore
del recente viaggio in Palestina. E' indubbio che l'iniziativa sia utile
non solo per proteggere, per quanto un minima parte, il popolo palestinese
anche perché evoca la speranza ai palestinesi di non essere lasciati soli.
Inoltre sottopone ripetutamente la questione palestinese sotto riflettori
occidentali, anche se superare l' ostinazione dei mass media internazionale
non sarà così facile. Non si può neanche trascurare la pressione e la
sensibilizzazione che gli attivisti internazionale possano esercitare nei
loro paesi di origine. Tuttavia tale azione trova i suoi limiti. La
presenza internazionale che scoraggiava, in questi ultimi mesi, le azioni
violente israeliane perderà la sua efficacia nel tempo. Basti pensare che
il gruppo internazionale che il 29 dicembre proteggeva il passaggio dei
palestinesi a Chek Point tra Ramallah e Bir Zait è stato colpito dai
lacrimogeni israeliani. Lo stesso giorno a Nablus ad un altro gruppo
internazionale stato dato benvenuto a raffiche di mitra sperato a pochi
metri del punto di concentramento. In ogni caso la reazione israeliana
davanti di protestatori internazionali non ha preso una forma totalmente
violenta ma, non si può sperare che atteggiamento non cambi in futuro. In
questi giorni si parla di presentazione di un disegno di legge a Knesset
"Parlamento Israeliano" per poter impedire l'ingresso dei turisti senza
dare spiegazioni. In questo caso è semplice filtrare attivisti
internazionali. Ovviamente la resistenza non violenta, oltre pura
interposizione, può essere praticato in modi diversi con la stessa
efficacia.

Disobbedienza non violenta
Uno dei metodi proposti, da alcuni organizzazioni palestinesi, è la
disobbedienza non violenta. Tale pratica tende di rendere impossibile
l'occupazione attraverso una generale disobbedienza civile. Tale pratica,
in parte, già stata messo in pratica nei tempi della prima Intifda. Una
metodica e generalizzata disobbedienza. Basti pensare alla rimozione
sistematica dei blocchi stradali che isolano i villaggi palestinesi,
ricoltivazione delle terre agricole distrutte, ricostruzione delle case
demolite e ect.. E' chiaro che tale attività dovrebbe avere luogo in
assenza diretta del esercito israeliano. L'azione mira di logorare
l'ostinazione e dell'occupante per imporre impedimenti e ristrettzioni. E'
evidente che i soggetti che tenteranno questa via possano essere fermati e
arrestati. In questo caso verranno assistiti dal gruppo degli avvocati e le
famiglie verranno sostenuti dal fondo appositamente costituito. Tale
metodologia malgrado la sua nobiltà presenta ostacoli insormontabili. Il
progetto non potrà mai raggiungere l'obiettivo se non venga praticato in
maniera diffusa e generalizzata con una convenzione ai metodi pacifici
d'acciaio. E' difficile pensare che attualmente la totale società
palestinese dopo le tragedie subite possa uniformarsi è dare inizio ad una
iniziativa di questo genere. E' chiaro che per l'attuazione di tale pratica
occorre una preparazione e un'organizzazione che può impiegare anni.
Continua......

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Associazione per la Pace
Gruppo Palestina
Via Salaria, 89 00198 Roma
Tel. +39 - 068841958
La pace non è solo l'assenza della guerra, è una virtù, uno stato della mente,
una disposizione alla benevolenza, confidenza, giustizia.
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