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      SanLibero in pillole

      • E' morto un prete

        27 gennaio 2008 - Riccardo Orioles

        E' morto un prete a Catania, che si chiamava padre Greco. Non è una notizia importante e fuori dal suo quartiere non l'ha saputo nessuno. Eppure, in giovinezza, era stato un uomo importante: uscito dal seminario (il migliore allievo) era “un giovane promettente” ed era rapidamente diventato coadiutore del vescovo. Io di carriere dei preti non me ne intendo ma dev'essere qualcosa del tipo segretario della Fgci, e poi segretario di federazione, comitato centrale, onorevole e infine, se tutto va bene, ministro. Comunque lui dopo un anno si ribellò. Che cazzo - disse a se stesso - io sono un prete. E il prete non sta in ufficio, sta fra la gente.

      In evidenza

        Le libere donne dello Zen

        Acqua niente perché sono abusivi. Perciò, acqua minerale. Luce niente, per lo stesso motivo. Perciò, un tanto a testa per l’allacciamento abusivo. Molti ragazzi spacciano, qualcuno vorrebbe smettere. Stato? Chissà dov’è. Eppure, questo quartiere resiste. Sfidando ogni legge della natura (e della questura), queste donne riescono in qualche modo a far sopravvivere le proprie famiglie e il quartiere. Prima di dare giudizi, pensate a cosa finora abbiamo dato loro

        di Graziella Proto

        “Scusi, come si arriva allo Zen2?” Ci guarda strano: “Per me la città finisce a viale Strasburgo”. Arriviamo lo stesso e posteggiamo davanti a una scuola. “Razzismo noi dello Zen1?” disse la signora sbracciandosi. Poi mettendo le mani ai fianchi a mo’ di provocazione si rivolse alla maestra di suo figlio: Siete voi classisti insegnanti perché se mio figlio ha una difficoltà voi me lo mettete per ultimo, la fate voi la discriminazione a quelli di qui”. “Tante mamme dello Zen 1 e 2 sono così, e alcuni insegnanti lo hanno sperimentato sulla loro pelle - spiega Sonia, la ragazza che aveva il compito di intercettarci - Certamente – aggiunge - tutto ciò è criticabile, però se si riesce ad entrare nei problemi, a individuare un obiettivo, e si convincono che è un loro diritto, le donne dello Zen partono in quarta. Mani ai fianchi e la battaglia è già iniziata”. Non sono tutte uguali. Però sul quartiere Zen di Palermo, è finita l’epoca dei titoli urlati, i massimi sistemi, i paletti, i distinguo. Mentre andiamo in giro nella zona chiamata Zen2, alla ricerca del centro sociale Catalano, gestito dall’Associazione Zen Insieme, assistiamo ad una chiacchierata tra due balconi:

        “Signora Maria, allora siamo d’accordo - diceva la signora Lucia, proprietaria abusiva di un appartamento alla sua vicina di casa, anche lei abusiva - a luglio lo facciamo questo cambio di casa, facciamo il trasloco, io scendo al primo piano, così mio marito non avrà più il problema delle scale e lei si trasferisce qui, vedrà che panorama dal terzo piano”. Parlavano a voce alta e alla luce del sole. “Per loro è tutto normale – dice Graziella – compresa la condizione di abusivi”. Lo Zen2, come lo Zen1, voleva essere un nuovo modello di edilizia popolare, all’insegna della vivibilità, della modernità, ma poi qualcosa non è andato per il verso giusto. Ci guardiamo intorno: ovunque fotografie di Rita Borsellino candidata alla regione. La speranza e l’illusione dopo un anno sono ancora là, attaccati ai muri. Lunghissimi viali che si incrociano fra loro, spazi abbandonati pieni di erbacce e rottami. Corridoi di lamiere e cemento che si rincorrono creando un paesaggio angosciante e inquietante. Tra i panni stesi al sole, numerosi condizionatori d’aria – qui d’estate si muore per il caldo – e tante antenne paraboliche - le soap, e le trasmissioni tipo Amici o Uomini e donne, sono molto seguite. Non un fiore, non una piazza. Nulla di piacevole, di attraente. Vent’anni fa, intere famiglie o gruppi di persone hanno occupato abusivamente le case, non ancora ultimate, vi portarono i loro mobili, e “Ci siamo arrangiati un pochettino..." dicono per spiegare che abusivamente si allacciarono anche la luce, il gas e l’acqua. Nessuno ricorda che l’amministrazione comunale in tutti questi anni abbia fatto qualche passo, qualche iniziativa, per tentare di risolvere la situazione che si è venuta a creare. In venti anni, nulla... Sono stati formalizzati molti allacciamenti per luce e gas, ancora non ci sono gli allacciamenti per l’acqua. Da un po’ di tempo il comune ha deciso di assegnare legalmente le case che sono state occupate abusivamente, ma pretende la messa in regola con l’acquedotto. L’acquedotto sostiene che non può fare i contratti: e tutto rimane com’è.

        “Qui allo Zen, il degrado lo abbiamo e ce lo teniamo, ma non deve venire più nessuno. La dobbiamo smettere con i giornalisti che vengono, fanno il servizio in tv e scompaiono”. Iosè è incazzatissima, è titolare di una specie di piccola pizzeria e si sente strumentalizzata. Arriviamo al centro sociale. “Bice si scusa ma è dovuta andare al funerale” ci dice Giusi la ragazza che ci viene incontro. Un funerale? Ci spiegano che è morta la signora M., una donna che il centro seguiva da parecchio tempo. La chiesa e l’abitazione della morta sono abbastanza vicine, ci avviamo. La scena che ci si presenta è dolorosa. Triste. Esagerata. C’è un grande schieramento di forze dell’ordine, e già questo crea tensione. Dopo lo schieramento dei poliziotti, dal furgone della polizia esce il giovane G. un minorenne imputato per spaccio. Sta ammanettato tra due poliziotti. Dietro richiesta della associazione Zen Insieme (da vent’anni nel quartiere con Bice Mortillaro), ha ottenuto due ore di permesso per vedere la mamma morta.

        Alcuni poliziotti entrano nella stanza della deceduta, fanno uscire tutti, e dopo fanno entrare G.. Sempre ammanettato, sempre scortato. La piccola folla di amici e parenti fuori dalla casa aspetta e il funerale slitta di qualche ora. G. si godrà la sua mamma distesa sopra il letto al centro della stanza, da solo. Anzi no, in compagnia dei poliziotti che lo scortano. “Qui la polizia viene solo per arrestare persone e quindi c’è un odio mortale per i poliziotti - dice Mirella – non si vede mai nessuno per tutelare, proteggere, vigilare. Il senso dell’abbandono, dell’esclusione, del disagio, è generalizzato - conclude”. “Io – dice Bice - sono qui dagli anni 90, le altre, spesso, sono costrette a cambiare. Abbiamo lavorato soprattutto sulle donne. All’inizio per conquistare la loro fiducia andavamo a trovarle a casa. Un caffé insieme, una chiacchierata... Erano per lo più donne giovanissime, quasi tutte donne isolate, sotto un controllo sociale che oggi è aumentato si estende anche alle giovanissime, e alle adolescenti...” “A causa della forma e della struttura dei palazzi, con il cortile interno, - lamentano a più voci - nelle famiglie non c’è privacy; Ognuno vede l’altro dal suo balcone e ognuno sente quello che dice l’altro: le case hanno le pareti molto sottili”.

        “Qui le donne sono vittime e complici – riprende Bice accalorandosi - c’è una cosa di loro che io non accetto; ad un certo punto la madre decide che il figlio di tredici quattordici anni deve portare i soldi a casa. I ragazzini stanno tutto il giorno fuori perchè devono garantire la presenza; le loro mamme fanno finta di non sapere come portano i soldi. Prima che ci fosse questo spaccio così diffuso, i poveri ragazzi lavoravano dodici ore al giorno in qualche salumeria a portare le cose a casa per quattro soldi, ma andava bene così. Oppure, andavano di notte a raccogliere ferro vecchio. E’ un vissuto dell’adolescente che noi contestiamo e contrastiamo, e per loro, rappresenta il passaggio da adolescente ad adulto – aggiunge. - Adesso c’è lo spaccio. Quando c’è la mafia che avalla, il fatto che la madre lascia perdere tutto perché porta i soldi a casa, è grave. E’ grave - ripete”. Si ferma solo un attimo “Spesso i ragazzi ci danno messaggi di aiuto, con uno stiamo avviando il sevizio civile internazionale perché lo stesso ci ha chiesto di andare via - riprende fiato e poi - con una altro stiamo avviando una altra piccola cosa, però tutto con molto cautela perché non verremmo che Lo Piccolo infastidito dicesse no questo non si fa”. Intanto, viene fuori che qualcuno dei ragazzi, stanco di stare sempre e a tutte le ore per strada, comincia a ribellarsi. Pur guadagnando. Quelli che guadagnano un po’ di soldi non sanno come spenderli. Non conoscono alternative oltre il quartiere.

        “Con lo spaccio – riprende Barbara che grazie al centro sociale ha studiato – c’è un certo benessere, nuovo, che penalizza le donne e i ragazzini, che partendo dal bisogno, ogni tanto uscivano dal quartiere. Adesso – aggiunge - è come se l’uomo dicesse ma tu vuoi andare al mare? Ti porto io. Vuoi la pizza? che problema c’è. Le donne hanno un nuovo disagio come se gli uomini avessero più potere con queste entrate. Io non ho avuto mai questi problemi, mio marito è una persona a modo”

        “Da quando hanno arrestato Provenzano, - raccontano Graziella, Alessandra e Nina, donne operatrici ed abitanti dello Zen - il latitante Lo Piccolo pare che sia il padrone dello Zen2 e si dice che la zona sia diventata il deposito della cocaina di tutta Palermo. Qui c’è spaccio e rifornimento. Ci sono solo due al massimo tre capetti ed un esercito di ragazzi che fanno da schiavi. Sono quelli che poi vanno in carcere. Perché i più esposti. E d’altra parte con tutti questi labirinti è difficile anche per i carabinieri trovare qualcosa”. “Spesso siamo noi che vogliamo che le cose funzionino, più delle donne dello zen - interviene Dominique, bellissima con il suo pancione. Partorirà ad agosto ed ancora è qui nel quartiere, dove, dal suo ufficio cerca di dare soluzioni ad annosi problemi. Vuole restare a lavorare nel quartiere fino a quando lo potrà fare.

        * * *

        “L’occupazione abusiva dello Zen 2? - spiega Serafina - pare che sia stata come dire pilotata, qualcuno ha voluto così. Pensa che le case sono state occupate quando ancora non erano complete, mancavano gli infissi, le fogne, i muri non erano finiti. Lo stato non è riuscito a finire la struttura perché sono state prese prima. Forse non c’erano più soldi e non si potevano finire, in questo caso lo stato ha anche risparmiato - dice con ironia - Le hanno finite di costruire gli occupanti". "Però stiamo attenti – aggiunge - dalle case dei carabinieri, dei poliziotti, la gente abusiva è uscita dopo l’occupazione. Come mai?”. “Qui non c’era niente, tutto a spese nostre abbiamo fatto - dice Margherita. Le case, le abbiamo costruite, perché non esistevano... ho dovuto mettere porte, servizi sanitari, finestre, adesso parlano di assegnazioni, ma ci vuole il contratto di casalotto e casalotto non lo vuole fare...” “Anche noi abbiamo fatto la richiesta per il contratto dell’acqua, ma siccome ci hanno detto che non era possibile, ci siamo allacciati abusivamente - raccontano al centro”. Tuttavia, senza il contratto ufficiale non si corre il rischio di essere buttati fuori? “Mi buttano fuoriii? Io faccio succedere il finimondo, piuttosto mi incateno, rompo teste... ho tre figli, da qui non esco manco con le cannonate" dice alzando la voce Margherita. Allo Zen è arrivata da pochi anni all’interno di un flusso migratorio caratteristico del quartiere nel senso che ci sono famiglie che utilizzano gli alloggi solo fino a quando non ne trovano uno più idoneo alle loro necessità. Chi ci riesce, si trasferisce perché si sente discriminato dal resto della città. Succubi di una forma di razzismo assurdo.

        Lo Zen è rifiutato dalla città; lo Zen2 è rifiutato dallo Zen1 che lo ritiene responsabile della cattiva fama che il quartiere ha a livello nazionale. “Veniamo dallo Zen e lo vogliamo urlare...”canta un rap fatto da un gruppo di ragazzi del quartiere, e il complessino musicale sta avendo parecchio successo. Anche fuori. “Ogni insula si è evoluta o involuta per i fatti propri, e quindi fra le varie insule sono sorti dei conflitti con conseguente deterioramento dei rapporti sociali – fa Bice – i ragazzi di un centro sociale – aggiunge - non vogliono andare nell’altro che si trova dall’altro lato del rione perchè uno è il centro sociale dove si spaccia mentre nell’altro sono riusciti ad evitarlo”.

        A questo punto vengono fuori alcuni episodi a dimostrazione che gli abitanti dello Zen1 non hanno odio verso i loro vicini dello Zen2, tuttavia, si sottolinea da più parti, diversa è la loro storia. “Lo Zen1 è un quartiere autonomo perché ha tante cose che funzionano, tanti servizi, farmacie, negozi; - dobbiamo dirle queste cose esorta Serafina – E’ nato da un progetto che è stato pensato e studiato per condizioni di vita normali, case popolari assegnate regolarmente, seguendo una graduatoria. Le chiavi sono state distribuite e consegnate ai legittimi assegnatari, accomunati tutti, dal fatto che erano assegnatari. Bastava questo per entrare in sintonia. All’inizio quasi tutti gli arrivati si attivavano per sbrigare i problemi. Bisogna dirle queste cose – dice Serafina e altre donne, più timide, concordano - Per agevolare la nascita della prima scuola - continua – c’è stata molta collaborazione, tu pensi ai banchi, tu alla luce, tu al risanamento...” .

        Allo Zen2 è tutta un’altra storia. “Ci si è dovuti arrangiare”. Ma cosa manca di più allo Zen2? “Mancano i lampioni in buona parte del rione e questo crea problemi incredibili non appena inizia a fare buio - spiega Giusi”. “Lo Zen 2, è un quartiere del comune? Perché mancano i lampioni? Che qualcuno della amministrazione ci dica non mettiamo i lampioni allo Zen perchè li rompono. “Invece nulla - interviene in modo molto colorito Nadia”. “In verità, spesso sono gli spacciatori che li rompono apposta interviene Graziella - per attenuare la visibilità”. “Si, ma il comune cosa fa? Incalza ancora Nadia”. In un paese civile è normale che lo stato ne prende solamente atto?”. A questo punto le donne del quartiere, operatrici o abitanti, si accalorano, si infervorano, si appassionano.

        “Io frequento questo centro da quattro anni, qui nel quartiere non ho amiche, sono più piccole di me. Se volessi fare una passeggiata? Non c’è nulla, trovi qualche panchina allo Zen1, qui al 2 non c’è nulla”. Giusi è una ragazza che vive allo Zen2, grazie al Centro studia, ha tanti progetti da realizzare. La gente dello Zen ha anche delle speranze, delle aspettative. Avrebbe bisogno di essere ascoltata, considerata, il problema più grosso è quello di arrivare a fine settimana.

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