Vicenza

Perché non si deve fare la base statunitense

intervista a Mirco Corato del presidio permanente contro la base Dal Molin
30 ottobre 2007
Fonte: Buone Nuove - 30 ottobre 2007

Di solito i media parlano di "ampliamento della base di Vicenza"; voi
contestate questa impostazione, vuoi spiegare perché

Un ampliamento della base è effettivamente in corso, ma parliamo della base americana Ederle, dove da pochi giorni sono partiti i lavori per un ospedale che dovrebbe curare i disturbi fisici e psichici dei soldati di ritorno dal fronte. Altri ampliamenti sono previsti al site Pluto (altra servitù militare statunitense che fino al 1992 conservava testate atomiche). Per quel che riguarda il Dal Molin, invece, da un punto di vista urbanistico non si può certo parlare di ampliamento, in quanto si tratterebbe di una nuova base, posta a 5 km dalla caserma Ederle, in un’area verde a ridosso del centro cittadino.

Puoi fare un breve riassunto di cosa e successo e delle vostre ragioni contro la base?

Nel corso del 2006 si viene a conoscenza di un progetto per la realizzazione di un nuova base militare americana nell’area del Dal Molin. Si scopre come le trattative siano state mandate avanti segretamente già a partire dal 2003 dall’allora primo ministro italiano Berlusconi e da alcuni amministratori vicentini (in primo luogo il sindaco Hullweck e l’assessore Cicero).
Accanto all’osservatorio sulle servitù militari nel territorio vicentino (già attivo da qualche anno) s’uniscono alla protesta contro il paventato progetto comitati di residenti nelle zone adiacenti o limitrofe all’area Dal Molin e altri gruppi e associazioni della società civile.
Con le elezioni del maggio 2006 che vedono la vittoria di Romano Prodi e della sua coalizione, i vicentini contrari alla base ripongono una motivata fiducia nel buon esito della vicenda, anche in virtù di un programma elettorale – quello dell’Unione - estremamente chiaro su almeno due punti essenziali che riguardano anche la questione del Dal Molin: 1) si parla di riduzione delle servitù militari; 2) memori di quanto accadde in Val di Susa, si raccomanda l’ascolto e il confronto con le comunità locali prima di dare attuazione a grandi opere o progetti che comportino un forte impatto ambientale.
Mentre l’amministrazione comunale scarica sul governo le responsabilità dell’opera, nega il referendum consultivo e vota un ordine del giorno favorevole al nuovo insediamento USA, i vicentini si rivolgono al nuovo esecutivo chiedendo un segno di discontinuità, chiedono che venga bloccato il progetto e che vengano ridiscusse le servitù militari sul territorio italiano.
Il 2 dicembre 30.000 persone sfilano in corteo dalla base americana Ederle fino all’area del Dal Molin.
Dopo che numerosi ministri s’erano più volte sbilanciati rassicurando i vicentini (tra questi anche Parisi e Rutelli) arriva la doccia fredda: il 16 gennaio, dalla Romania, Prodi annuncia come il governo italiano non si opporrà alla realizzazione della nuova base Usa a Vicenza. Scoppia l’indignazione dei vicentini: quella stessa sera vengono occupati i binari della stazione e si bruciano le tessere elettorali. Molti parlamentari e politici vicentini si autosospendono dai partiti. Si crea una grave frattura tra i cittadini elettori e gli eletti che dovrebbero rappresentarli. All’indomani di quello che è stato definito “il giorno della vergogna”, a ridosso dell’area interessata dal progetto americano, verrà montato il “presidio permanente”, su di un campo concesso da un privato che fino ad allora si dichiarava elettrice leghista.
Il 17 febbraio ci sarà poi la grande manifestazione nazionale che porterà a Vicenza 150.000 persone.
Se inizialmente l’aspetto principale che ha scatenato la protesta dei vicentini consisteva nell’impatto ambientale e urbanistico del progetto, nel corso del tempo, attraverso un percorso di approfondimento e di auto-educazione, il movimento ha raggiunto una profonda consapevolezza rispetto alle logiche, alle implicazioni e al disegno strategico globale che sta dietro al progetto di una base di guerra. Oggigiorno tutto il movimento NO Dal Molin s’identifica nel motto “né qui né altrove”, sottraendosi definitivamente ai tentativi di chi avrebbe voluto liquidarlo come sindrome NIMBY (non sul mio giardino) o ricondurlo a motivazioni di tipo ideologico (l’antiamericanismo).
La difesa del territorio e dei beni comuni, la crisi della democrazia rappresentativa e il tema della pace sono le grandi questioni sollevate dal movimento NO Dal Molin, ma che però i vicentini da soli non potranno certo risolvere. Serve collaborazione, lavoro di rete, sinergia, capacità di sognare e di cogliere quel che di diverso e di possibile è già in atto in tante piccole realtà che, quasi mai raccontate dai grandi media, resistono alle ingiustizie, alla barbarie e alla devastazione di questo folle modello di sviluppo di cui la guerra è parte integrante.

Voi avete formato l'altrocomune in polemica con l'amministrazione comunale e con le istituzioni in generale; perché non vi sentite rappresentati?

Non ci sentiamo rappresentati in quanto gli amministratori e i politici non fanno l’interesse dei cittadini, non perseguono il bene comune, non si adoperano per la res pubblica, ma sfruttano la loro posizione per avvantaggiare determinate categorie e lobbies di potere. La nostra costituzione dichiara: “il popolo è sovrano”; ma la sovranità popolare, che si compie attraverso gli strumenti democratici, è tale solo se viene garantita la trasparenza e il libero accesso all’informazione. Come possiamo avere fiducia in questa forma degenerata di democrazia rappresentativa dove le cose vengono portate avanti e decise segretamente e senza rendere conto delle ragioni che le hanno motivate, dove vengono stravolti i programmi elettorali e dove, addirittura, si fa dipendere una decisione che comporterà conseguenze gravissime su tanta parte della popolazione vicentina in virtù di un accordo bilaterale segreto risalente al 1956. In questo senso l’altrocomune si costituisce come un laboratorio di autentica democrazia, dove dal basso e attraverso una partecipazione attiva e diretta dei cittadini si lavora a nuovi paradigmi e nuovi strumenti per perseguire il bene comune.

Al presidio insistete molto sul fatto che le azioni debbono avere carattere assolutamente nonviolento: ci puoi raccontare come siete giunti a questa conclusione?

Sino a questo momento il presidio ha sempre promosso iniziative e azioni non-violente. All’interno del presidio ci sono delle componenti (penso ad esempio al gruppo donne e al gruppo formatori che attraverso il “corso bip” ha preparato già più di duecento persone all’azione diretta nonviolenta) che condividono il pensiero e le pratiche nonviolente ed altri, invece, che rimangono critici o diffidenti. Al momento di decidere sulle azioni e sulle iniziative, però, lo studio del contesto, la ricerca di una coerenza tra i principi enunciati e i mezzi praticati per raggiungerli, la ricerca di una efficacia che valga sia sull’obiettivo immediato (che è quello di bloccare la costruzione della base) ma anche sul medio e lungo termine (a Vicenza ci sono anche altre basi, il movimento vicentino ha poi costruito ponti, patti e legami con molte altre realtà che si battono per la difesa del territorio e contro la guerra) ha sempre portato il presidio a scegliere e a condividere azioni che fossero non violente. Se si vuole questa prassi non attiene tanto ad una ortodossia nonviolenta, ha i suoi limiti e le sue pecche (almeno dal mio punto di vista), ma d’altro canto è molto vicina al senso pratico (ad una difficile, conflittuale e spesso controversa ricerca di verità) che caratterizzava le lotte di Gandhi in India così come altri casi di resistenza nonviolenta.

Chi partecipa al presidio e qual'è la relazione con la gente di Vicenza?

Il presidio è frequentato da persone diversissime per estrazione sociale, occupazione lavorativa, tendenze politiche ed età. È un movimento popolare ampio ed eterogeneo, che difficilmente può essere etichettato in base alle categorie giornalistiche più comuni: ci sono i ragazzi del centro sociale che fanno riferimento ai disobbedienti e ci sono i cattolici attivi nelle loro parrocchie, ci sono casalinghe e professori, residenti in zona e gente che arriva anche dai più disparati paesi della provincia vicentina, ci sono elettori (o ex elettori) che coprono pressoché l’intero emiciclo parlamentare.
La mobilitazione che da più di un anno coinvolge tanti vicentini e vicentine ha davvero del prodigioso e rappresenta un qualcosa di inedito e d’insperato per una realtà come quella di Vicenza (sia per la straordinaria partecipazione, per la continuità ma anche per l’articolazione e la qualità delle attività e delle iniziative proposte). D’altro canto ci sono ancora tanti vicentini indifferenti, ci sono quelli favorevoli alla base ma soprattutto ci sono quelli che protestano contro chi protesta. I più importanti media locali (che fanno capo agli industriali) sono schierati a favore della base e in questi mesi hanno portato avanti una fortissima campagna denigratoria nei confronti del movimento. Sicuramente c’è ancora un grosso lavoro da fare in città, anche se non sempre è facile, perché a più di un anno dall’inizio della mobilitazione la situazione è molto polarizzata, e sarà piuttosto la gestione e l’immagine che il movimento saprà dare nei momenti più difficili ad avvicinare quanti sono ancora indecisi o indifferenti.

come siete organizzati? come si prendono le decisioni?

Ci sono dei gruppi di lavoro tematici che hanno il compito di affrontare nello specifico quegli aspetti che regolano la vita, le azioni e l’immagine del presidio (sono i gruppi gestione, resistenza e comunicazione). Ogni martedì c’è poi l’assemblea plenaria, solitamente molto partecipata (anche 200-300 persone), nel corso della quale viene esposto ed approvato il lavoro dei gruppi, vengono fatte delle proposte, ci si confronta sulle linee guide, sulle prospettive e su quanto avviene in città.

Qual'è la vostra posizione rispetto alla nomina del Commissario Costa e che relazione avete con lui.

Il commissario Costa ha più volte chiarito quello che è il suo mandato (la cui legittimità e correttezza formale è peraltro tutta da verificare), e cioè trovare le soluzioni, gli accorgimenti e le contropartite affinché la base venga costruita al più presto. Dal momento che il presidio (e tutto il movimento) la base non la vuole né qui né altrove, è pacifico, e reciproco, che non vi sia alcun interesse per un confronto sull’opportunità di spostare la base ad est o ad ovest dell’area Dal Molin.

com’è la situazione adesso?

A giorni dovrebbero partire i lavori di bonifica dell’area dai eventuali ordigni (americani) risalenti alla seconda guerra mondiale. Il presidio cercherà di bloccare o rallentare i lavori sin da questa fase. Altre componenti del movimento si stanno muovendo anche attraverso le vie legali: di recente un ricorso al TAR è stato rigettato perché non c’era nessun atto contro cui appellarsi. Questo significa che ci si avvia a costruire una base che andrà a coprire un’area pari a circa 80 campi da calcio senza che via sia alcun atto formale.
Il prossimo appuntamento importante sarà la tre di mobilitazione europea che culminerà con la manifestazione del 15 dicembre. Vi aspettiamo quindi per il 13-14-15 dicembre a Vicenza per confrontarci con le altre realtà europee e rilanciare la lotta contro la base.

Note: http://www.nodalmolin.it
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