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Per gli immigrati è sempre più necessario il passaggio dallo sfruttamento alla giustizia sociale, un obbligo morale per l'Europa

Tempo di “passioni tristi”

31 marzo 2005
Padre Giorgio Poletti
Fonte: Missionari Comboniani Castel Volturno - 31 marzo 2005

Alcuni studiosi definiscono il tempo in cui viviamo tempo di “passioni tristi”. C'è una preoccupazione per il controllo de territorio, dello “spazio vitale” che ricorda tempi lontani. Tempo di passioni tristi


Prendo la metropolitana a Roma, ho un male terribile ad un piede, dovrei stare a letto, ma devo mantener fede agli impegni. La metropolitana è affollata, ascolto le voci , sono tutti stranieri. Chi parla inglese, qualcun altro spagnolo, poi portoghese, conosco queste lingue e allora ascolto i loro discorsi interessato. Sono tutti immigrati e mi sento io straniero… Appartengo a questa società e cultura occidentale e mi rendo conto di essere impregnato di pregiudizi, di essere prevenuto…
C'è sempre una prima reazione istintuale o primaria che viene dall'educazione che ci è stata inculcata, ma a questa bisogna reagire controllando il nostro pensiero istintuale. Siamo persone, uomini e donne mature quando siamo capaci di riflettere e controllare la nostra parte primaria.
Ascolto i discorsi degli immigrati che parlano le loro lingue senza che loro se n'accorgano. Le loro sono storie di case e terre lontane, ricordi di figli e parenti lasciati, molta nostalgia. Parlano anche delle difficoltà e sofferenze che vivono in questa Italia che non è certamente accogliente.
Capisco che qualche cosa deve cambiare dentro di me… non posso pensare loro e io… sentirmi lontano dal loro mondo.
Noi italiani abbiamo chiesto manodopera, forza lavoro e sono invece arrivate persone con le loro storie, con la loro vita sofferta. Ma a noi italiani non importava la loro vita, ci bastava e basta che lavorino per noi. Noi non ce la facciamo ad assistere i nostri vecchi, ci vuole troppa pazienza e noi non l'abbiamo più. Mettere i nostri vecchi in un asilo per anziani decente costa un mucchio di soldi e dobbiamo risparmiare quindi abbiamo inventato le badanti. I campi agricoli, ortaggi, bisogna raccoglierli allora ecco che chiamiamo i “neri” e i “marocchini” poi le donne ucraine. Diamo loro un salario da fame e ci arricchiamo con il loro sudore e sangue. Poi a noi conviene che gli immigrati siano “illegali” così possiamo trattarli come bestie senza diritti, pagarli poco o niente. Il mondo sommerso di immigrati “illegali” fa molto comodo alla nostra economia e viene il dubbio che questo mondo sommerso sia voluto, perché ci rende denaro. Abbiamo esportato il nostro modello di sviluppo basato sui consumi, la nostra propaganda è arrivata sui luoghi più dispersi del pianeta e ora questi “stranieri” che vengono per condividere i nostri beni di consumo li mettiamo al margine offrendo loro le briciole del nostro benessere… Negli anni '80 si parlava di Casa Europea: la casa dell'accoglienza. Usciti dalle ristrettezze economiche con il modello industriale in espansione produttore di ricchezza ci permettevamo di accogliere ma all'interno della stessa Europa, di offrire democrazia e benessere, ma ecco che sono venuti, quelli che non desideravamo, di colori diversi, con fame diversa e noi che offrivamo democrazia ci siamo ritrovati proprio a negare quei diritti che avevano costruito l'Europa, che avevano dato un volto democratico e libero all'Europa. Ma i diritti non valgono quando si tratta di “stranieri”. In passato abbiamo invaso le loro terre imponendo i nostri modelli e anche le nostre religioni. Abbiamo portato via e continuiamo a farlo ancora le loro materie prime, li abbiamo fatti schiavi per servirci e si continua a farlo: colonizzati, prostituiti, continuano ad esserlo. Le ragazze nigeriane sono sulle nostre strade prostituite…Noi chiediamo loro di prostituirsi, non le vediamo come donne, ma semplicemente cose da concupire. Ancora una volta stiamo prostituendo l'Africa ! E le donne dell'Est ? Le persone buone si animano e aiutano a volte anche economicamente gli immigrati in difficoltà, si lasciano commuovere davanti alla sofferenza ma c'è un passaggio ulteriore da fare: dalla carità alla giustizia. Gli immigrati chiedono a noi giustizia, saremo veramente capaci di farla.

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