Campagna Kossovo

QUALE PACE NEI BALCANI ?

un’analisi e alcune proposte a cura della Campagna Kossovo per la non violenza e la riconciliazione

L’elezione di Kostunica in Serbia ripropone all’attenzione la questione dei Balcani e il problema del Kossovo. L’Europa si è affrettata a togliere l’embargo alla Serbia e ad accogliere il neo presidente nel summit di Biarritz dando per scontato che la svolta democratica basti a riportare la pace nei Balcani. Kostunica da parte sua, circa l’avvenire della minifederazione Iugoslava, si è dichiarato favorevole a cambiarne il nome in “Repubblica di Serbia e Montenegro”, mentre per quanto riguarda il Kossovo ha riconosciuto il suo attuale stato di protettorato internazionale e ha garantito il rispetto delle minoranze etniche, politiche e sociali.

Ma ciò che lascia inquieti è che la stessa risoluzione delle Nazioni Unite che stabilisce le modalità del protettorato, all’articolo 1244, parla del Kossovo come parte integrante della Iugoslavia (cioè della Federazione) mentre Kostunica ha dichiarato che la regione va considerata “parte della Serbia”. Ora una posizione intransigentemente nazionalista di Belgrado non farebbe che rafforzare una posizione altrettanto intransigente e nazionalista in Kossovo, dove sono presenti ben 26 partiti politici di cui solo una parte moderati, dove si continuano a scoprire fosse comuni, dove non si conosce la fine che faranno le migliaia di prigionieri di guerra detenuti a Belgrado.

Inoltre, qualora non si riconsiderasse, alla luce della nuova situazione determinatasi in Serbia, lo status politico del Kossovo, si avrebbe uno Stato (Federazione Iugoslava o Repubblica di Serbia e Montenegro) formato da due entità rispettivamente di 10 milioni e di 700 mila abitanti e continuerebbe ad essere considerata minoranza la popolazione del Kossovo che conta circa 2 milioni di unità.

Se poi, al di là delle cifre, si tenta di fare un’analisi politica dell’attuale situazione, bisogna onestamente ammettere sia che i Balcani non potranno essere pacificati finchè non sarà risolto il problema del Kossovo e chiarita la posizione della Vojvodina, sia che il protettorato internazionale non può né finire all’improvviso né diventare una condizione permanente.

Pertanto, allo stato attuale della situazione, è necessario che l’ONU, l’Europa e gli USA definiscano e attuino un progetto concordato e mirato non solo ad evitare una ripresa del conflitto armato ma anche ad avviare una concreta pacificazione che includa il Kossovo e sia rispettosa delle aspettative democratiche del Montenegro ormai esplicitamente insofferente di qualsiasi politica egemonica da parte di Belgrado. Invece si deve prendere atto che non c’è una politica unanime tra le potenze cui è affidato il protettorato internazionale del Kossovo.

L ‘Europa, d’altra parte, non deve illudersi che basta revocare l’embargo e riaccogliere la Serbia per normalizzare la situazione. Occorre invece che essa concordi tra i paesi membri una efficace strategia politica, economica e militare per assicurarsi che la carta europea dei diritti sia non solo sottoscritta ma anche applicata e perché si passi da una situazione di non belligeranza nei Balcani alla effettiva costruzione della pace.

La prossima occasione in cui potranno essere verificate sia le intenzioni di Kostunica, sia quelle degli albanesi del Kossovo, sia la politica ONU nel suo insieme e sia la effettiva volontà e capacità di mediazione politica dei governi europei ed americano, è costituita dalle elezioni amministrative locali che si terranno in Kossovo il 28 di ottobre.

Come non violenti già dal ’93 abbiamo sostenuto la resistenza non violenta degli albanesi del Kossovo, denunciato l’arbitraria e violenta revoca - da parte del governo serbo - dell’autonomia di cui godeva questa regione e le continue e gravissime violazioni dei diritti umani seguite a tale revoca. E da subito dopo il conflitto siamo presenti in Kossovo per svolgere azione di mediazione e di dialogo interetnico con il “Progetto di appoggio alle locali (del Kossovo) Ong per capacitarle al dialogo, alla riconciliazione interetnica, alla promozione e protezione dei diritti umani” nell’ambito del quale abbiamo organizzato diversi training di formazione.

Perciò affermiamo con forza e convinzione che la pacificazione nell’attuale Federazione Iugoslava, in Kossovo e nell’intera area balcanica è possibile perché nella popolazione ci sono chiari segni di voler preferire il dialogo al conflitto armato e la via democratica a qualsiasi dittatura. E dello stesso nostro avviso pensiamo siano anche altre organizzazioni italiane e straniere (i Beati i costruttori di pace presenti a Peja, i Berretti bianchi che hanno a Belgrado un’ambasciata di pace, il Balkan peace team che lavora con giovani gorani e albanesi, l’Operazione Colomba presente nel Nord del Kossovo, Pax Christi attiva nel dialogo interreligioso), tuttora operanti sia in Kossovo che in Serbia, le quali a livello di base stanno attuando iniziative per la ripresa del dialogo interetnico e interreligioso, la convivenza civile e la democrazia.

Ma la costruzione di una pace duratura dopo lo scontro armato, di una solida democrazia dopo la lunga esperienza della dittatura, di una convivenza civile che sappia vincere la tentazione dei nazionalismi può realizzarsi solo a patto che si verifichino alcune condizioni fondamentali.

Per quanto riguarda la comunità internazionale, è necessario che le forze internazionali presenti in Kossovo prolunghino la loro permanenza fino a quando non sia deciso lo status politico della regione ; che si faccia chiarezza sull’art. 1244 della dichiarazione ONU ; che si attui un progetto chiaro e un impegno comune che garantisca la pace e freni ogni rigurgito nazionalistico.

Per quanto riguarda l’Europa, bisogna che la revoca dell’embargo e ogni accordo di carattere politico ed economico con la Serbia siano condizionati alla democratica soluzione dei suoi problemi interni e all’ufficiale riconoscimento della violazione della Costituzione del ’74 mediante la quale è stata revocata l’autonomia al Kossovo; alla definizione consensuale dello status politico di questa regione e delle diverse minoranze presenti nella Federazione (rom, gorani ecc.) e, infine, alla liberazione delle migliaia di prigionieri di guerra.

E, poiché il destino della Federazione è strettamente legato a quello delle altre Repubbliche della ex Iugoslavia e di tutti gli Stati balcanici, sembra ormai giunto il momento - dopo quattro guerre e di fronte ai gravi problemi che questa area presenta - che le Nazioni Unite indicano quanto prima una Conferenza Internazionale sui Balcani nella quale siano coinvolti oltre agli Stati anche i rappresentanti delle organizzazioni non governative della società civile.

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