Campagna Kossovo

CAMPAGNA KOSSOVO PER LA NONVIOLENZA E LA RICONCILIAZIONE

STRUMENTI PER INFORMARSI E APPROFONDIRE

(Gruppo di sostegno della diocesi di Alba)
RICONCILIAZIONE è una delle parole chiave del GIUBILEO
Ma cosa nasconde la parola "riconciliazione"? una moda, un’illusione, una storia riservata ai cristiani?
Che cosa esige? Come altri vi si accostano?
Ed io, noi, che possiamo fare per aprirci ad un cammino di riconciliazione?
Trascorso un anno dalla tragica "guerra umanitaria" del Kossovo, di fronte all’impotenza delle armi, di fronte alla esasperazione dell’odio...
che senso ha ancora cercare di difendere la pace rafforzando gli eserciti?
Cosa ha da dirci il Vangelo?
Cosa sta germogliando di nuovo nel mondo dei "costruttori della pace"?

 

A chi voglia tentare qualche risposta, il gruppo diocesano albese di sostegno alla
"Campagna Kossovo per la Nonviolenza e la Riconciliazione"
offre questo primo piccolo contributo di informazione e riflessione:
 

1 - Le attività e i progetti della Campagna Kossovo per la Nonviolenza e la Riconciliazione

2 - Un invito

3 - Una dichiarazione di impegno comune dei leader religiosi del Kossovo

4 - Tracce di riconciliazione "laica", nelle vicende dei nostri giorni

5 - Alcuni pensieri a partire dal racconto biblico della riconciliazione fra Giacobbe ed Esaù

6 - Una scheda di approfondimento biblico

  


 

CAMPAGNA KOSSOVO PER LA NONVIOLENZA E LA RICONCILIAZIONE
già Campagna per una soluzione non violenta in Kossovo(*)
c/o Casa per la pace, c.a. 8, 74023 Grottaglie (TA)
tel/fax 099.5662252, e-mail: a.alba@areacom.it, ccp 11570744
http://www.peacelink.it/kossovo/index.html
ATTIVITA’ I993-1999

La Campagna nasce ufficialmente il 12 giugno 1993, promossa da Agimi, Beati i costruttori di pace, Movimento Internazionale della Riconciliazione (MIR) e Pax Christi. Ad essa aderiscono nei primi anni circa una ventina di associazioni.

Il suo impegno prioritario è stato rivolto a sostenere e a far conoscere la resistenza nonviolenta del popolo albanese del Kossovo, che ha costituito per un decennio il più notevole esempio di difesa civile nonviolenta in Europa ; a portare solidarietà a tale resistenza non violenta mediante l’invio di delegazioni qualificate ; ad agire sul governo italiano con interrogazioni parlamentari e appelli rivolti alle Commissioni esteri di Camera e Senato ; a collaborare con gruppi e movimenti internazionali al fine di evitare l’isolamento della popolazione.

Dal 1993 al 1994 sono state inviate quattro delegazioni, delle quali una di sindaci e una con due vescovi, che hanno incontrato autorità politiche e morali sia albanesi che serbe ; sono stati realizzati incontri con parlamentari italiani; è stato diffuso materiale di documentazione ; è stata chiesta la partecipazione della Campagna Kossovo al colloquio internazionale "I paesi dell’Est tra transizione pacifica ed esplosione dei conflitti" promosso dalla regione Veneto.

Dal 1995 al 1997 è stato realizzato il progetto "Ambasciata di pace" a Pristina per :

  • stabilire contatti con i leader e i gruppi di base nonviolenti e svolgere azioni di mediazione tra la popolazione sia albanese che serba ;
  • sviluppare rapporti di conoscenza e collaborazione tra alcune Università italiane e le Università di Belgrado e di Pristina ;
  • svolgere azione di monitoraggio.
Questo progetto è stato finanziato dalla Campagna internazionale di obiezione di coscienza alle spese militari e il prof. Alberto L‘Abate dell’Università di Firenze, che ne è stato l’ideatore e il principale realizzatore, è stato invitato per due volte a Bruxelles dal gruppo dei Verdi del Parlamento Europeo per parlare di questa esperienza.

Nel 1996 la Campagna ha inviato un dossier informativo a tutti i componenti delle Commissioni Esteri di Camera e Senato insieme ad un appello in cui si chiedeva che il Parlamento invitasse Rugova e i rappresentanti dei principali partiti politici del Kossovo e offrisse la mediazione italiana per l’avvio di concrete trattative di pace. Inoltre ha stampato 10.000 cartoline che sono state spedite al Ministro degli Esteri italiano e al Presidente del Consiglio d’Europa con la richiesta di impegnarsi per affrontare nelle sedi istituzionali la risoluzione pacifica del conflitto in Kossovo e la difesa dei diritti umani in quella regione. Alle iniziative di carattere politico si sono affiancati interventi umanitari come adozioni a distanza di famiglie, gemellaggi tra scuole, aiuti all’associazione paraplegici del Kossovo che assiste disabili albanesi e serbi.

Nel 1997 sono stati diffusi il documento-appello "Lotte non violente a Belgrado e in Kossovo" e il comunicato stampa "Urgenza di un intervento europeo civile non armato anche per gli albanesi di Kossovo, Macedonia e Montenegro" ; è stata allestita e presentata in diverse località una mostra fotografica, in pannelli e diapositive, sulla esperienza della lotta non violenta del popolo kossovaro ; il 10 ottobre è stata organizzata una manifestazione a Roma, alla quale hanno partecipato oltre 300 kossovari, provenienti da tutta Italia, per chiedere una risoluzione giusta e senza armi del conflitto.

Nel 1998 la Campagna ha invitato alcuni leader del movimento degli studenti che hanno tenuto incontri in diverse città italiane e ha organizzato a Bolzano, con il patrocinio dell’omonima provincia autonoma, un seminario al quale hanno partecipato cinque ONG europee. Durante le elezioni parallele del 22 marzo ha inviato in Kossovo un gruppo di volontari che ha svolto azione di monitoraggio e, in occasione dell’incontro a Roma del Gruppo di contatto, ha stilato un documento indirizzato alle competenti istituzioni italiane, in cui si ribadiscono proposte concrete per la risoluzione pacifica ed equa del conflitto. Ha collaborato alla stesura del progetto umanitario della Cooperazione per lo sviluppo dei paesi emergenti di Firenze (COSPE) che è stato attuato fino allo scoppio della guerra. Ha aderito, con l’invio di 5 volontari, alla marcia della pace a Pristina del 10 dicembre (progetto "I Care") organizzata dalle associazioni  Papa Giovanni XXIII, Beati i costruttori di pace e Pax Christi. Ha partecipato al corso di formazione "La diplomazia è nostra, ruolo dei cittadini nella risoluzione dei conflitti internazionali" promosso dalla sede di Padova del Mov. Internazionale della Riconciliazione, e al convegno internazionale "Il Kossovo tra guerra e soluzioni politiche del conflitto" promosso dall’Università di Lecce.

Nel 1999 ha redatto l’appello "Kossovo : responsabilità della comunità internazionale nella degenerazione del conflitto e urgenze per una soluzione pacifica", che è stato inviato ai responsabili della conferenza di pace di Rambouillet e all’ONU e ha mantenuto i contatti con partiti, personalità e gruppi che in Kossovo non hanno abbandonato la nonviolenza.

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Dopo il conflitto armato, avendo deciso di continuare ad operare in Kossovo per promuovere il dialogo e la riconciliazione, ha assunto l’attuale denominazione, ha organizzato in Italia un campo di formazione alla non violenza e ha elaborato il seguente progetto:

"Progetto di appoggio alle locali ONG per capacitarle al dialogo, alla riconciliazione interetnica ed alla promozione e protezione dei diritti umani".

Ragioni e obbiettivi del progetto

La guerra nella Ex Jugoslavia, se da una parte ha creato le premesse per un ritorno dei profughi albanesi del Kossovo nelle loro case e nei loro villaggi, dall'altro ha estremamente ridotto le capacità di convivenza interetnica.. Le premesse per una convivenza pacifica tra le due etnie sono state estremamente ridotte da recenti episodi avvenuti durante gli scontri armati tra le due parti che hanno incrementato notevolmente gli odi reciproci. Sarà perciò necessario un grossissimo lavoro di riflessione critica sul passato, di riapertura del dialogo, di avvio di reali processi di democratizzazione nelle varie aree soggette alla guerra, e di ricerca di forme di riconciliazione tra i vari gruppi etnici (oltre ai serbi ed albanesi anche montenegrini, rom, gorani, ecc.) perché si possa pensare nuovamente ad una convivenza pacifica nello stesso territorio, soprattutto quando si porrà il problema, prima o dopo, del ritiro delle forze armate che attualmente controllano il territorio del Kossovo.

Nel lavoro di ricostruzione della convivenza la teoria e la pratica della nonviolenza possono essere molto utili. Chi ha lavorato con la nonviolenza conosce l'importanza e le tecniche di educazione alla pace, alla convivenza tra i popoli, ed al superamento dei pregiudizi interetnici, e può perciò lavorare per diffondere queste competenze tra le varie popolazioni della zona per aiutarle a ristabilire un dialogo reciproco ed a trovare forme di riconciliazione. Queste competenze esistono già nella zona. Si pensi, nel Kossovo, alle lotte nonviolente portate avanti per tanti anni dalla popolazione albanese contro l'eliminazione, da parte serba, delle caratteristiche statuali dell'autonomia della regione previste dalla Costituzione del 1974, oppure a quelle organizzate dagli studenti albanesi dell'Università di Pristina per la reale implementazione dell'accordo sulle scuole e sulle Università firmato da Milosevic e da Rugova, e facilitato dalla Comunità di Sant'Egidio, ed al bellissimo movimento della riconciliazione che ha visto nel 1990, in pochi mesi, riconciliare oltre 1250 famiglie legate tra loro da un patto di vendetta, superato grazie alla rivalorizzazione del principio del perdono e della riconciliazione che facevano parte dello stesso codice: la maggior parte di queste riconciliazioni sono avvenute tra appartenenti della stessa etnia albanese, ma un certo numero anche con membri di altre etnie (serbi, macedoni, montenegrini, rom). E si pensi, in Serbia, alle importanti lotte nonviolente, che hanno visto andare in piazza, ogni giorno per circa tre mesi, con notevolissime invenzioni di slogans e di tecniche, centinaia di migliaia di cittadini, organizzati dall' opposizione "Zajedno", per contrastare, con successo grazie all'intervento dell'OSCE, la falsificazione dei dati elettorali da parte del governo serbo. La guerra ha affievolito il ricordo di queste competenze ed ha messo in primo piano l'esercizio delle armi, ed ha aumentato gli odi ed i pregiudizi reciproci. Per questo è importante che nella zona non vadano solo forze armate delle Nazioni Unite, ma anche persone esperte in mediazione dei conflitti e nella pratica della nonviolenza, che potrebbero anticipare il lavoro dei Corpi Europei Civili di Pace, che Alex Langer aveva promosso e che una raccomandazione del Parlamento Europeo, del febbraio 1999, suggerisce di organizzare. Tali corpi civili di pace possono portare avanti da subito un lavoro che serva come rinforzo alle capacità locali ora emarginate per farle ritornare in primo piano, aiutandole anche a riorganizzarsi e potenziarsi collegandosi a rete non solo all'interno dello stesso gruppo etnico ma tra gruppi diversi (ad esempio tra gruppi nonviolenti serbi, albanesi, macedoni, montenegrini, e di altri paesi d'Europa e del mondo). Questo può permettere a queste stesse organizzazioni, una volta che abbiano ripreso le loro attività, e l'abbiano viste anche potenziate grazie a questo apporto esterno, e si siano collegate a rete, di lavorare sugli interessi comuni per la rinascita di queste zone, e per un processo di riconciliazione che non dimentichi le ingiustizie ed i crimini commessi in passato, ma cerchi di superarli, in un modo simile (ma originale e da inventare) a quello con cui è stato portato avanti il processo di riconciliazione, attraverso commissioni apposite, in Sud Africa, dopo la fine dell'apartheid.

Modalità operative

Si prevede l'apertura di un "Centro per l'amicizia tra i popoli", con sede principale a Pristina, ma con diramazioni anche a Peja ed a Mitrovica per poter lavorare in situazioni diverse dove i problemi della convivenza si pongono in modo urgente ma differenziato. Questo lavorerà in stretto contatto con un centro analogo che è stato aperto dai "Berretti Bianchi" a Belgrado.

Questo centro porterà avanti, in collegamento stretto anche con la sezione kossovara dell'AID (Associazione per l'Iniziativa Democratica), ma nell'intento di collaborare con tutte le altre organizzazioni, sia governative che non governative, ma soprattutto con quelle del luogo che operino nella zona e che si pongano gli stessi obiettivi, queste attività:

1) monitorare il rispetto dei diritti umani ed i comportamenti di pace, osservando e documentando eventuali violazioni, presentando rapporti scritti alle Istituzioni internazionali sugli abusi, ma anche documentando gli esempi positivi; (un lavoro di questo tipo è già stato portato avanti dai volontari dei "Beati i Costruttori di Pace" nella zona di Pec/Peja)

2) contribuire ad informare la popolazione sugli accordi di pace, offrendo una fonte di informazione indipendente sugli aspetti giuridici e pratici dell'implementazione;

3) fare interposizione a livello di popolazione con l'obiettivo di creare spazi nonviolenti dove possa iniziare il dialogo; (un lavoro di questo tipo, con accompagnamento di albanesi, o di serbi o Rom, attraverso zone in cui vivono le altre etnie viene già da tempo portato avanti nella zona di Peja e di Mitrovica da parte dei volontari dell'Operazione Colomba)

4) fare opera di intermediazione tra cittadini ed istituzioni, con azioni di intercessione e di accompagnamento; (i volontari dei Beati i Costruttori di Pace hanno già condotto, in varie zone del Kossovo, questo tipo di attività, anche prima della guerra)

5) creare dei ponti di dialogo tra gruppi di cittadini serbi ed albanesi (operatori sanitari, insegnanti, studenti, giovani, donne, persone portatrici di handicap, ONG, ecc.) e tra questi e le realtà di altri paesi per scambi, gemellaggi, ecc. In generale promuovere la comunicazione e stimolare il collegamento tra società civile in Kossovo, in Serbia, in Montenegro, in Macedonia, in Italia, ed in altri paesi che desiderino collaborare alle iniziative.(Un lavoro di questo tipo è stato portato avanti in passato dall'Ambasciata di Pace di Pristina e viene attualmente ripreso dal Centro per l'Amicizia tra i popoli di Belgrado, e presto da quello di Pristina. In particolare sembra importante organizzare un gemellaggio triangolare tra scuole, di vari ordini e gradi, sia in Serbia che nel Kossovo, e scuole italiane in cui queste ultime lavorino per ricreare la comunicazione reciproca tra studenti ed insegnanti delle due etnie).

6) favorire la crescita di gruppi/ONG locali impegnati nel campo dei diritti umani, dello sviluppo democratico, e della nonviolenza, e sostenere i gruppi e le ONG di composizione etnica mista che operino anche in altri campi;

7) collaborare, o intraprendere, in collegamento con le ONG del posto interessate a questa attività, progetti di educazione interculturale, alla pace ed alla nonviolenza, alla democrazia ed al rispetto dei diritti umani, nelle scuole di tutti i livelli, ed in tutte le strutture locali interessate e disponibili; (una attività di questo genere viene già portata avanti nella zona di Peja da volontari dell'organizzazione "Beati i costruttori di Pace", e dalla Campagna Kossovo a livello dell'Università di Pristina)

8) formare e dar vita, in collegamento anche con il "Centro per l'amicizia trai popoli" di Belgrado, e con l'appoggio di formatori che già in passato hanno fatto attività di questo genere nella zona (Pat Patfoort, di Pax Christi del Belgio, David Hartsough, dei PeaceWorkers, USA; Hildegard Goss-Mair, dell'IFOR Austria) che si sono dichiarati disponibili, ad un gruppo locale di formatori alla nonviolenza, alla risoluzione nonviolenta dei conflitti, ed alla riconciliazione dopo la guerra. Queste attività verranno, in una prima fase, portate avanti separatamente, ma si cercherà di organizzare, prima possibile, anche incontri di formazione misti. I potenziali formatori saranno individuati tra le persone attive nelle varie organizzazioni della società civile del Kossovo (studenti, gruppi femminili, gruppi religiosi, gruppi sportivi, ONG varie, ecc.) che siano interessati ad un percorso del genere, e che diano garanzie di poter svolgere a loro volta attività di formazione per persone dei vari gruppi locali.

9) Gli operatori del progetto ascolteranno i suggerimenti e le richieste di interventi particolari che perverranno dagli organi della Comunità Internazionale, nonché da persone e da istituzioni del luogo, riservandosi di valutare al suo interno, ed in accordo con i responsabili in Italia, se accogliere o meno queste richieste.

10) E' intenzione del gruppo di lavoro mettere in atto, al più presto, iniziative per la costituzione, nella suddetta sede ( o delle altre che nel periodo di studio emerga come opportuno aprire), di "Ambasciate di democrazia locale" (ora denominate "agenzie di democrazia locale"), attivando nei vari paesi europei le necessarie collaborazioni di Enti Locali, in modo da poter trasformare, appena possibile, ed appena ci saranno state le elezioni amministrative nella zona e ci siano amministratori locali regolarmente eletti, il "Centro di amicizia tra i popoli" in vera e propria "Agenzia di democrazia locale" che porti avanti le attività sù previste che risultino, a quel momento, ancora necessarie ed indispensabili, o altre che siano emerse come fondamentali dal lavoro svolto fino a quel momento.

Beneficiari ed indicatori di risultato

I beneficiari finali saranno le ONG del posto che dovrebbero essere in grado, dopo un certo periodo, di portare avanti da sole le attività su descritte. La capacità di autogestione da parte di queste, e la loro disponibilità a lavorare con gruppi etnici diversi con cui erano stati prima separati o in conflitto, saranno i principali indicatori della validità dell'iniziativa, e del lavoro svolto. Altri indicatori saranno gli esempi di valida convivenza tra persone e gruppi etnici diversi che possano emergere come risultato del lavoro del progetto, e dall'incremento, nel tempo, di quelle esemplificazioni positive di cui si è parlato al punto 1 delle attività da portare avanti.

Preventivo spese

Per un anno di attività è stata preventivata una spesa di circa 110 milioni di lire tenendo conto però del solo Centro di Pristina. Questa cifra comprende anche l'acquisto di una macchina, probabilmente usata, le spese per attrezzature d'ufficio, oltre che per l'affitto di locali ed il mantenimento dei volontari in zona. In questo sono incluse anche le spese di viaggio e di benzina. Un programma economico più dettagliato comprendente le spese per l'apertura di altri eventuali centri sul territorio kossovaro e le esigenze totali di presenze di volontari dei "Corpi Civili di Pace" sarà elaborato dal gruppo che va ad aprire il Centro di Pristina nella prima fase, di cui si parla qui di seguito.

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Tre gruppi pilota, composti da delegati di tutte le associazioni che promuovono la Campagna, si sono recati in Kossovo tra agosto e novembre per verificare come e in quale area il progetto possa essere realizzato.

Nel mese di febbraio del 2000 è stata avviata la prima fase, che prevede l’apertura del Centro a Pristina per 3 mesi e che è finalizzata sia ad attivare i contatti necessari con i gruppi di base e le istituzioni, sia ad elaborare uno studio di fattibilità da presentare ad organismi istituzionali nazionali ed internazionali per ottenere il finanziamento del 50% della somma occorrente per realizzare l’intero progetto. La Campagna infatti conta di reperire la restante metà continuando il lavoro di sensibilizzazione e promozione già iniziato in Italia.

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(*) La Campagna usa la grafia "Kossovo", perchè neutra nei confronti della grafia serba (Kosovo) e di quella albanese (Kosova).

  


 
Un invito

Il gruppo di sostegno della Diocesi di Alba si propone di far conoscere e cercare aiuti per la Campagna Kossovo nel mondo ecclesiale:

- per proporre in un certo senso un’opera di riparazione (molto piccola) per il male che abbiamo fatto (molto grande) nel fare la guerra

- per creare la consapevolezza che l’alternativa nonviolenta alla guerra esiste ed è praticata, che il Vangelo non è pura utopia,

- per sottolineare il carattere di Giubileo in senso biblico, che coinvolge le persone anche nella loro dimensione sociale e politica, per "ricreare" condizioni di vita "riconciliata" su tutta la terra

- per aiutare ad interiorizzare il senso della riconciliazione e a praticarla anche qui, fra vicini, fra le stesse persone e realtà ecclesiali, o nella vita della nostra città, nella quale le "diversità" sempre più spesso creano ignoranza reciproca o conflitto.

Il gruppo stesso è occasione di collaborazione e dialogo fra persone appartenenti a parrocchie ed associazioni diverse. E’ nato con l’incoraggiamento del Vescovo ed è coordinato da Don Gino Chiesa.

Finora ha realizzato alcuni incontri informativi presso gli Scout, La Carovana, due gruppi-adulti del Duomo, il gruppo di solidarietà della Moretta, il gruppo Margarida; e ha raccolto contributi per oltre 6 milioni che sono già stati consegnati alla Campagna Kossovo, per la prima fase del progetto.

Hanno contribuito a raggiungere la suddetta cifra: Caritas, Ufficio Missionario, "Terra viva" di Cinzano, "la Carovana", Parrocchia del Duomo, S.Vincenzo, Gruppo femminile Volontariato Vincenziano, e singoli privati. Una ditta ha offerto un computer portatile, necessario per il lavoro dei volontari che già sono in Kossovo.

Invitiamo tutti a contribuire concretamente al progetto, non solo con offerte, ma anche e soprattutto tenendosi informati e organizzando momenti di informazione e approfondimento: perché la nonviolenza e la riconciliazione, nel Kossovo e ad Alba, diventino utopia concreta.

 

Il gruppo si ritrova presso la Parrocchia del Duomo.

Per informazioni anche 0173.440345

 



Nel loro incontro a Sarajevo, l’8 febbraio, i leader delle comunità religiose Kosovare hanno emesso la seguente dichiarazione:
 
Dichiarazione di comune impegno morale

Sarajevo, 8 febbraio 2000

Noi, leader religiosi delle comunità religiose tradizionali del Kosovo, la Comunità Islamica, La Chiesa Serba Ortodossa e la Chiesa Cattolica Romana, preoccupati per la lentezza e l’inefficace compimento del piano di pace in Kosovo, in occasione della nostra visita di lavoro con il Consiglio Interreligioso della Bosnia Erzegovina, abbiamo deciso di emettere la seguente comune dichiarazione:

  1. Tutte le popolazioni in Kosovo sono state sottoposte ad enormi sofferenze. Siano rese grazie a Dio che la guerra è finita, ma sfortunatamente continua ad esserci insicurezza e violenza. Nostro dovere ora è stabilire una pace durevole basata sulla verità, la giustizia e la vita comune.
  2. Noi riconosciamo ed accettiamo che le nostre comunità religiose differiscono le une dalle altre, e che ciascuna di esse si sente chiamata a vivere fedele al proprio credo. Allo stesso tempo riconosciamo che le nostre tradizioni spirituali e religiose possiedono molti valori in comune e che questi valori condivisi possono servire come autentica base per una mutua stima, cooperazione e libera vita in comune sull’intero territorio del Kosovo.
  3. Ciascuna delle nostre tradizionali chiese e comunità religiose riconosce e proclama che la dignità dell’uomo e il valore umano è un dono di Dio. Le nostre fedi, ciascuna nel suo proprio modo, ci chiamano al rispetto dei fondamentali diritti umani di ogni persona. La violenza contro le persone o la violazione dei loro diritti fondamentali per noi non solo sono contrarie alle leggi fatte dagli uomini, ma anche infrangono la legge di Dio.
  4. Noi inoltre, nel mutuo riconoscimento delle nostre differenze religiose, condanniamo ogni violenza contro persone innocenti ed ogni forma di abuso o violazione dei fondamentali diritti umani, e specificamente noi condanniamo:

  5. * atti di odio basati sull’etnicità o le differenze religiose;
    * la profanazione di edifici religiosi e la distruzione di cimiteri;
    * l’espulsione della gente dalle proprie case;
    * l’impedimento del libero diritto di ritorno alle proprie case;
    * gli atti di vendetta;
    * l’abuso dei mezzi di comunicazione allo scopo di diffondere odio.
  6. Infine, noi richiamiamo tutte le persone di buona volontà ad assumere la responsabilità delle loro proprie azioni. Trattiamo gli altri come vorremmo che essi trattassero noi.
  7. Con questa dichiarazione noi facciamo appello a tutti i nostri fedeli in Kosovo, alle autorità locali e ai rappresentanti della comunità internazionale in Kosovo.
Dr Rexhep Boja Mufti e Presidente della Comunità Islamica del Kosovo H.E. Dr Artemije Radosavljevic Vescovo di Raska e Prizren, Chiesa Ortodossa Serba H.E. Marko Sopi Vescovo di Prizren, Chiesa Cattolica Romana traduzione a cura del recapito MIR di Alba e-mail:a.alba@areacom.it


La riconciliazione, un’utopia che si fa politica

"Il mondo di oggi sta esplodendo in conflitti violenti, nutriti da catene di odio che in alcuni casi sono il portato di uno scontro di civiltà. C’è nondimeno una terapia, senza la quale la violenza diretta può sempre ripresentarsi,(...) un elemento decisivo, l’unico che consente di limitare, se non di superare, la difficile sfida posta dallo scontro fra culture. Questo elemento decisivo è il perdono.

Quanto io sostengo è che integrando il perdono nella teoria della nonviolenza, otteniamo un potente strumento di cambiamento radicale dei rapporti di forza.

L’uso consapevole e adeguato della dinamica del perdono può consentire alla vittima di liberarsi dal trauma della passata esperienza di sopruso e spingerla sulla via di un impegno nonviolento, costruttivo e capace di futuro. Il meccanismo del perdono, operando in direzione inversa rispetto alla giustizia retributiva, consente soprattutto l’emergere di una giustizia trasformativa.

Una simile politica del perdono può trovare alimento sia nella tradizione islamica sia nel pensiero di Gandhi. E’ pertanto orientata alla prassi e ad operare nel reale."

Sono parole di Chaiwat Satha-Anand, un thailandese, musulmano, professore all’Università di Bangkok (in Islam e nonviolenza, Ed. Gruppo Abele, Torino, 1997, p 61-62)

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"La costruzione del progetto di conciliazione è indispensabile anche per poter affrontare, in uno spirito di verità e senza vendette, le vicende della crisi del sistema politico dopo la caduta del Muro di Berlino e la fine del vecchio legame politico fra partiti ed elettori....

...Lo sforzo di chiudere una fase politica nella verità e senza vendette fa parte dello sforzo di modernizzazione dei paesi... Oggi lo fanno Paesi che hanno avuto tragedie ben più grandi e con possibilità ben più limitate delle nostre, dal Sudafrica alla Colombia, all’Algeria...

Il nostro passato sta diventando una prigione: in questa prigione sono i vivi che afferrano i morti: le chiavi per aprirne le porte sono nelle nostre mani; perché non usarle?"

Sono parole di Luciano Violante, Presidente della Camera dei Deputati (La Stampa, 6.12.99)

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"Il mondo ha bisogno di istituzioni di riconciliazione", è il titolo di una articolata proposta di Jan Oberg, il direttore di TFF, una delle più autorevoli fondazioni internazionali di ricerca per la pace, con sede a Lund, in Svezia.

Egli afferma che forse l’Occidente deve cominciare a trarre qualche lezione dai suoi clamorosi insuccessi nell’uso della forza militare per la pace e imparare qualcosa sulla riconciliazione dalla pratica e dagli sforzi che si fanno in altre culture. Dice "mi chiedo se noi occidentali non siamo più orientati verso una pace basata sulla forza militare, la legalità, il funzionamento e il riconoscimento esterno di diritti economici, politici ed umani - mentre altri vedono la pace più nella direzione dell’essere in pace con se stessi, del risolvere il male che si è vissuto, trovare la propria strada e utilizzare i propri costumi culturali locali e le proprie tradizioni per rendere possibili il perdono e la riconciliazione. In breve mi chiedo se il ricco Ovest non sia più o meno per programmi di pace con interventi rapidi in cui le persone sono le ultime ad essere prese in considerazione, mentre altre culture mettono le persone e le dimensioni non materiali al primo posto e sanno che la pace vera viene dall’interno dell’individuo e del tessuto sociale". "Non sarebbe una buona idea - conclude - istituire centri per lo studio e la pratica del perdono, della riconciliazione, e di conseguenza della gestione nonviolenta dei conflitti umani?" (Cem Mondialità, novembre 99)

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"Verità senza vendetta" è il titolo di un bel libro di Marcello Flores, docente di storia contemporanea all’Università di Siena, dedicato all’analisi della esperienza sudafricana della "Commissione per la Verità e la Riconciliazione"(TRC). (M.Flores, Verità senza vendetta, Manifestolibri, Roma, 1999)

In Sudafrica, dopo i terribili decenni dell’apartheid e un lungo e turbolento periodo di transizione, accompagnato da moltissima violenza sia da parte del governo che dei movimenti antiapartheid, con gravi episodi di terrorismo contro la popolazione civile, si giunge nell’ aprile 1994 alla vittoria elettorale di Mandela: il Sudafrica rientra nel Commonwealt e all’ONU. Iniziano i lavori dell’Assemblea costituente, che finiranno nel 1996.

Ma già la Costituzione provvisoria del ‘92 contiene un’indicazione vincolante e straordinaria: "... Il perseguimento dell’unità nazionale, il benessere di tutti i cittadini del Sudafrica e la pace esigono riconciliazione all’interno del popolo del Sudafrica e la ricostruzione della società... vi è bisogno di comprensione ma non di vendetta, necessità di risarcimento ma non di rappresaglia, bisogno di ubuntu, non di vittimismo.." Ubuntu è una parola di difficile traduzione, che significa contemporaneamente tolleranza e riconciliazione , nel senso di accettare e riconoscere l’umanità delle persone, ridare umanità e far riemergere l’umanità che è in loro.

Nel 1995 iniziano i lavori della Commissione per la verità e la riconciliazione (TRC).

Quello del Sudafrica non è stato l’unico processo di amnistia e ricerca della verità intrapreso in quegli anni, ma merita un’attenzione particolare per alcune caratteristiche che sono alla base della sua riuscita:

- la necessità, per ottenere l’amnistia, di confessare l’insieme dei propri delitti e le modalità in cui erano stati commessi, in presenza delle vittime;

- l’attenzione all’ascolto dei racconti delle vittime;

- l’offerta di conforto e risarcimento a chi aveva sofferto gravi violazioni dei diritti umani;

- il riconoscimento della responsabilità personale degli atti compiuti, anche se a fine politico, o inquadrati in gruppi politici o istituzionali;

- il procedimento aperto verso tutte le parti coinvolte nel conflitto, non solo verso gli sconfitti.

Queste caratteristiche sono state il risultato di una precisa scelta: il desiderio di procedere più verso la riconciliazione che verso una "giustizia" di tipo giudiziario, che storicamente ha dimostrato di non riuscire a punire molti colpevoli, limitandosi a qualche caso esemplare, e soprattutto non ha mai messo al centro dell’attenzione la sofferenza delle vittime e le loro aspettative di risarcimento morale.

La TRC ha invece impostato e organizzato i suoi lavori proprio sulla centralità del dar voce alle vittime; a coloro cioè che per primi esprimono il bisogno di sapere cosa è accaduto e perché.

Per la vittima la richiesta di verità viene prima di quella della vendetta.

"Come ti senti Baba a venire qui a raccontarci la tua storia?" ... Lucas Baba era stato ferito gravemente e reso cieco da un ufficiale di polizia noto come il Rambo della Peninsula... "Adesso io... è come se avessi avuto indietro la vista venendo qui e raccontandovi la mia storia". Non è la verità giudiziaria quella che cercano le vittime, ma la verità fattuale e poi, subito dopo, quella morale e politica. La richiesta pressante, quasi angosciosa, che si sente nel corso di ogni udienza, riguarda la verità sui modi in cui le vittime erano state uccise... torturate... le ultime parole che avevano detto, la verità sui luoghi dove erano state sepolte...

Il processo di riconciliazione in Sudafrica non è né concluso né perfetto, e tuttavia ha introdotto nella storia e negli strumenti che le istituzioni umane si danno per "fare giustizia" alcuni importantissimi elementi, finora considerati esclusivi dell’ambito "privato" o "religioso".

* * *

La riconciliazione esce dunque dalla sfera dei sentimenti o delle intenzioni e si fa prassi politica, strumento di ricostruzione della convivenza, "arma" di difesa della pace. Strano che i cristiani, ai quali questo strumento era stato consegnato dal Signore, lo debbano oggi ricevere dalle mani e dal pensiero di altri, dopo averlo dimenticato per duemila anni, nella politica, preferendo ad esso la forza della "giustizia giudicante", applicata con la persuasività della "spada".

Nell’anno appena concluso c’è stato anche un importante passo di "riconciliazione" fra chiese cristiane: il consenso fra cattolici e luterani sulla "dottrina della giustificazione" (per la quale erano state "giustificate" scomuniche e atroci violenze reciproche per secoli...).

Un passo titubante, accompagnato da tante perplessità e interrogativi.

Il Segretario della federazione luterana mondiale Ishmael Noko ne ha citato uno: "chi, in questo progetto, ha ceduto di più, i luterani o i cattolici?" Domanda rivelatrice di uno dei grandi timori di fondo che creano diffidenza di fronte alla parola riconciliazione: che sia un perdere qualcosa del diritto o della verità, un cedere alla prepotenza, un dimenticarsi della giustizia.

"Ai nostri giorni sembriamo incapaci di capire - ha affermato Noko - che si può ottenere una vittoria senza che una delle parti ceda all’altra". (cfr. Il Regno, n.15/99,pag.478)

La riconciliazione è proprio questo: verità senza vendetta, vittoria dell’umanità di ciascuno, crollo dei muri, costruzione di ponti. Ed è possibile perché succede: oggi, nelle menti degli uomini e nei processi storici.

 

 
LA RICONCILIAZIONE HA UNA VIA
Una riflessione a partire dalla Parola di Dio
 

Dal libro della Genesi:
 
"Per quella notte Giacobbe rimase in quel luogo. E per fare un regalo a suo fratello Esaù prese quel che gli capitò sotto mano... Pensava, infatti: "Io lo calmerò prima con il regalo che mi precede, poi mi presenterò a lui. Allora, forse, mi farà buona accoglienza"... 
Giacobbe rimase solo, e uno sconosciuto lottò con lui fino allo spuntar dell'alba.. Ma Esaù gli corse incontro, lo abbracciò, se lo strinse al petto; lo baciò e piansero". 
(Genesi 32,14.21.25; 33,4)

Si tratta qui di riconciliazione, della riconciliazione dei due fratelli separati Giacobbe ed Esaù. Noi siamo quei fratelli che devono riconciliarsi. Dunque si tratta immediatamente di noi. Questa parola, questo racconto della riconciliazione dei due fratelli, "non è troppo alto per te, né troppo lontano da te... non è nel cielo... non è di là dal mare... No, questa parola e questo racconto sono molto vicini a te; sono nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu li metta in pratica" (Deut. 30, 11-14). Nella Bibbia ci sono molti fratelli separati! I primi due fratelli sono separati a tal punto che Caino ha ucciso Abele. Ci sono Giacobbe ed Esaù. Poi, nella parabola del figlio prodigo, il fratello minore e il maggiore si separano e restano separati fino alla fine. Poi abbiamo nel Nuovo Testamento due fratelli nella fede e nel ministero, Paolo e Barnaba, tra i quali "nacque un aspro dissenso, al punto che si separarono " (Atti 15,39).
Ma non esistono solo separazioni religiose. Anzi, nel mondo di oggi le separazioni più profonde non sono di natura religiosa. La più grande separazione di oggi non è tra chiese diverse, ma tra mondi diversi: tra il Primo e il Terzo mondo! Il mondo è pieno di fratelli separati. Confessioni, religioni, ideologie, razze, classi, sessi, famiglie, coppie, vivono l'amara realtà della separazione. Separazione di ogni sorta, grandi e piccole, vecchie e nuove, esteriori ed interiori, determinano la nostra vita ed il nostro mondo.
 

  • Qual è il motivo della separazione? Nella storia e Esaù e di Giacobbe era la primogenitura, il diritto di primogenitura. La vecchia, eterna domanda che viene fuori sempre di nuovo: chi è il primo? chi è il migliore? "Chi è il primo nel regno dei cieli?", chiedono i discepoli; e Gesù prende un bambino e dice: "Se qualcuno vuol essere il primo, dovrà essere l'ultimo di tutti e il servitore di tutti" (Mc 9,35).
  • La separazione che cosa produce? Essa produce fondamentalmente alienazione reciproca che si è determinata. Fratelli ed estranei al tempo stesso! Non è spaventoso? Tu mi sei diventato estraneo, io ti sono diventato estraneo, attraverso la separazione. Tu sei così diverso da me! La separazione è stata più efficace che la fraternità. L'estraneità è oggi sentita più fortemente che la comune appartenenza.
  • Ci chiediamo: c'è una via per uscire dalla separazione e dall'alienazione; una via che porti alla riconciliazione. Riconciliazione: che cos'è? Noi non lo sappiamo. Noi abbiamo percepito e vissuto altri aspetti, altri componenti del cristianesimo. Giustificazione per fede: la conosciamo più o meno; santificazione, anche; remissione, anche; servizio del prossimo, anche. Però manca ancora la riconciliazione con Dio, ma paradossalmente non conosciamo la riconciliazione con il fratello diverso da noi. La riconciliazione è la terra promessa che sta davanti a noi.
  • Noi conosciamo l'incontro, il dialogo teologico, un certo stare insieme, anche nel culto; una certa comunione di fede e di preghiera. Tutto questo ed altro ancora noi conosciamo, ma non ancora la riconciliazione. La via della riconciliazione sta davanti a noi come una via non ancora percorsa. Singolare, perché va diversamente da come Giacobbe pensava. Egli credeva che fosse una via diretta da lui ed Esaù. Ma deve accorgersi che non ha nessun accesso immediato a suo fratello. Questo è dunque il primo grande messaggio di oggi: c'è una via che ti porta dal tuo fratello separato; ma non è una via diretta, bensi una via che passa attraverso Dio. "Un uomo lottò con Giacobbe fino all'apparire dell'alba" (32, 35). La via che porta al fratello separato, la via della riconciliazione presuppone una deviazione che passa attraverso Dio. Questa, in effetti, è la grossa sorpresa: io devo prima presentarmi a Dio, se voglio giungere a te. Devo lottare con Dio. Questo significa in primo luogo e fondamentalmente riconciliazione: lottare con Dio. Quindi non solo con me stesso, con i miei pregiudizi, con le mie unilateralità, con le mie paure, con le mie pretese, con i miei dubbi, con i miei errori e peccati; tutto questo è necessario, ma la lotta vera e decisiva è la lotta con Dio.
  • Ma perché la lotta con Dio è cosi decisiva? Perché il suo esito è la nostra trasformazione. Questo è il secondo grande messaggio che ci raggiunge oggi: non è il vecchio Giacobbe che si riconcilierà con suo fratello separato, bensi un nuovo Giacobbe, che non si chiamerà più Giacobbe ma Israele. Proprio questa è la cosa decisiva: essere cambiati da Dio. Riconciliazione significa ricevere un nuovo nome. Per questo la riconciliazione è il passo più difficile: perché presuppone il nostro cambiamento. Chi, tra noi, è veramente disposto a lasciarsi cambiare da Dio, in maniera tale che possa accadere la riconciliazione?
  • Ora siamo in grado di riconoscere come era sbagliata la via della riconciliazione che Giacobbe aveva dapprima immaginato: la riconciliazione attraverso il dono, vale a dire la riconciliazione attraverso il reciproco arricchimento. La vera via, la via che passa attraverso Dio per giungere al fratello separato, è la riconciliazione attraverso la conversione.
Don Oreste  
 
 
LA RICONCILIAZIONE NELLA BIBBIA
  (Traduzione di una scheda biblica di Chemins de Reconciliation, dossier sulla riconciliazione pubblicato a fine ‘99 da vari movimenti francesi )  

Un concetto dinamico.

Nel senso latino del termine, riconciliarsi significa ritrovare un’armonia, rimettersi insieme, ri-unirsi. Ma come chiedere a due popoli di "riconciliarsi" quando ci sono tra loro non solo odii e paure, talvolta ancestrali, ma anche torture, morti, sofferenze senza nome?

In greco, cioè nella lingua originale del nuovo testamento, il verbo riconciliarsi ha tutt’altro senso. E’ costruito sulla radice della parola allos che significa "altro". Riconciliarsi indica prima di tutto un cambiamento nella persona che si riconcilia. Riconciliarsi è un atto dinamico che mira a cambiare riguardo all’altro, o a cambiare sguardo sull’altro. Riconciliarsi, in una dinamica di cambiamento, è scoprire le incomprensioni, i malintesi, le idee false sull’altro, le paure, le ingiustizie che hanno innescato la spirale dell’odio e della violenza - scoprire in qualche modo che non è né un caso né una fatalità se l’altro è mio nemico, e scoprire nello stesso tempo che le cose avrebbero potuto andare diversamente. E che possono ancora andare diversamente.

Lo sguardo che io poso sull’altro sembra allora essenziale nella riconciliazione.

Cambiare riguardo all’altro non è voler unire o armonizzare ciò che è fondamentalmente differente, dissonante, opposto. La riconciliazione - dal punto di vista del greco - è un incoraggiamento a "lavorare con" le differenze, le ferite, le divergenze e anche le incompatibilità, un incoraggiamento a "viverne" nel dialogo riannodato invece che "morirne" nell’ignoranza di ciò che è veramente l’altro.

In questa prospettiva, che ne è della riconciliazione con Dio? Nel Nuovo Testamento Dio non è mai soggetto del verbo riconciliarsi. Non è Dio che si riconcilia con noi, ma è Lui che ci riconcilia con Lui. Siamo noi che abbiamo bisogno di cambiare sguardo su di Lui e nei suoi confronti, perché siamo noi che ci creiamo un Dio a nostra immagine, corrispondente ai nostri fantasmi, ai nostri sogni, alle nostre paure: un Dio onnipotente come noi vorremmo essere, che manipola gli esseri umani come a noi piacerebbe fare, un Dio che ama la perfezione come noi la esigiamo da noi e dagli altri, un Dio che ha bisogno della violenza e di uccidere gli uomini per arrivare ai suoi fini...

In Gesù Cristo, Dio si rivela come colui che è dalla parte dei deboli, dei malati, degli esclusi, dei non-amati - tutto il contrario di ciò che noi immagineremmo. Dio si rivela come colui che, a causa della libertà che ci ha donato, non può impedire l’umiliazione, la sofferenza e la morte di suo Figlio - mentre noi tenderemmo a credere che la sofferenza e la morte siano punizioni divine. Ma Dio si rivela anche come colui che vuole e può ridonare vita là dove c’è la morte.

La vita, la morte e la risurrezione di Gesù Cristo ci aprono gli occhi su Dio. E’ in questo senso che Gesù Cristo ci riconcilia con Dio.

Numerosi testi biblici insistono sull’importanza della differenza, dell’alterità.

Se si rileggono pensando alla riconciliazione come cambiamento riguardo all’altro, cambiamento di sguardo sugli altri, se ne scopre una nuova forza.

Eccone alcuni:

Gn 1, 1-24 : Dio crea con la parola, nominando le cose. Nominare è distinguere: Lui crea separando, diversificando (l’asciutto dalle acque, il cielo dalla terra, la luce dalle tenebre, le diverse specie animali e vegetali, ciascuna col suo proprio seme...).

Gn 2, 18 : Dio disse "Non è bene per l’essere umano essere solo. Io voglio fargli un aiuto di fronte a lui" (e non una semplice "aiutante" domestica). Il solo altro passo in cui è usata la stessa parola "aiuto" è il salmo che dice che Dio è l’ "aiuto" dell’uomo.

Gn 2,23: l’essere umano non parla realmente (non accede all’umanità) che quando ha di fronte il suo simile/differente (l’altro sesso).

Gn 10 : la Tavola dei Popoli. I discendenti di Noè si dividono tra paesi di lingua differente. Questa dispersione e questa diversificazione sono il frutto di una benedizione. Si noterà che in questa genealogia e in quella che segue (Gn 11, 10-32) ciascun discendente è accuratamente chiamato col suo nome, distinto così dai suoi fratelli e sorelle, ma anche dai suoi genitori e dai suoi figli. Non c’è confusione fra le generazioni. Alcuni nomi sono anche accompagnati da qualifiche ("cacciatore eroico davanti al Signore") o da particolari ("al suo tempo la terra fu spartita") che li personalizzano e diversificano ancora di più.

Gn 11 : Nel racconto della Torre di Babele, si vede un gruppo di uomini indifferenziati, che avanzano come un sol uomo nella stessa direzione, parlando come un sol uomo di un unico progetto. Questo gruppo indifferenziato costruisce una sola città, in un unico luogo, con una sola torre, per darsi (a loro soli, senza legame con il Dio che dona la vita nominando ciascuno col suo nome) un nome unico. Dio vede che questa uniformità è un pericolo: vanno dritti verso la morte perché niente di ciò che progetteranno sarà loro impossibile. Ora, l’essere umano non può vivere che entro dei limiti, ed essenzialmente il limite rappresentato dagli altri con le loro differenze. La dispersione e diversificazione delle nazioni e della lingue è dunque una benedizione: permette agli esseri umani di vivere, perché impedisce loro di pensare e agire come una sola persona e li obbliga ad essere originali gli uni nei confronti degli altri. Li obbliga a confrontarsi con l’alterità. Il solo modo di sapere che "io sono" e quindi di vivere pienamente non è forse il confrontarmi con altri veramente diversi da me?

Gn 12, 1-2 : per diventare se stesso, Abramo deve partire, lasciare il suo paese, la sua famiglia e la casa dei suoi genitori. Importanza della differenziazione e della separazione fra le generazioni. Il credente non appartiene a Dio se non può lasciare la sua terra natale e la sua famiglia (anche se per ritornarvi un giorno).

Gn 33, 16-17a : riconciliati, Giacobbe ed Esaù si separano. Nessun ritorno ad una "armonia perduta". Ciascuno è capace di vivere senza l’altro, senza che l’odio iniziale che li ha separati venga a impastarsi con la loro vita.

Matteo 10, 34-38 : ad una prima lettura può sembrare molto scioccante ("non sono venuto a portare la pace, ma la spada"). Di fatto, per Gesù si tratta di mostrare la radicalità "tranciante" del vangelo. Non si può essere compagno del Cristo e restare un bambino dipendente dalla propria famiglia. I legami affettivi "fusionali" (con i quali non si ha alcuna distanza) impediscono di vivere realmente, in pienezza. E’ nella separazione e nella distanza (la spada) che può nascere la giusta relazione di amore agli altri.

Si può leggere su questa traccia Matteo 12, 46-50 ("Chi è mia madre, e dove sono i miei fratelli?"). Fare la volontà del Padre che è nei cieli è saper relativizzare una famigli biologica (per quanto essa ti ami) per entrare nella grande famiglia di Dio. Separarsi per guadagnare in ricchezza di relazioni e di vita.

Luca 15, 11-32 : parabola del figlio partito immaturo e ritornato adulto (detto anche "prodigo"). Un giovane uomo vive la sua vita, dopo aver tagliato ogni legame con il padre. Nella disgrazia, decide di tornare verso questo padre, non più come "figlio di papà", ma come lavoratore. Questo figlio è diventato adulto, grazie alla separazione: liberamente sceglie di tornare da suo padre. In compenso, suo fratello non ha saputo prendere le distanze. E’ amaro, geloso e non ha nemmeno coscienza di tutti i benefici di cui ha goduto per tutta la vita. Sono quelli che sanno partire e tornare che sono festeggiati.

Rom 14, 5 : importanza di essere coerenti con se stessi, ben convinti di sé. E’ la condizione per essere tolleranti verso quelli che pensano diversamente da sé. Perché sono le incertezze, le cose vaghe, che si cerca di dissimulare sotto atteggiamenti intransigenti.

 

La differenza è vitale. Non saprebbe essere annullata dalla riconciliazione, al contrario. Ma è dalla differenza che nascono le nostre tensioni, i nostri conflitti, le nostre rivalità, le nostre gelosie. Numerosi testi biblici affrontano questo tema:

Gn 4,8 : Caino uccide suo fratello senza rimproverarlo. Non dice nulla: uccide. La parola è un mezzo per "dominare la bestia accovacciata" dentro di noi (ma anche un mezzo per "uccidere"). Il conflitto può portare con sé lo straripamento della violenza, se la violenza non è dominata da parole posate sui mali.

Mt 18, 15-18 : la "correzione fraterna". Questo testo spesso è stato interpretato in modo abusivo. Prendendolo con saggezza, offre indicazioni interessanti sul modo di affrontare i conflitti. Il lavoro di riconciliazione si svolge così:

colloquio a tu per tu (e non far correre delle voci); ricorso ad altri per invalidare o confermare le parole del querelante (e non affidarsi alla parola di uno solo); presentazione del caso all’insieme della comunità (e non decisione di qualcuno soltanto); attribuzione di uno status differente (e non rifiuto di qualsiasi relazione - Gesù frequentava, e ha anche citato ad esempio, i pagani e gli esattori). Se ne possono trarre due indicazioni fondamentali:

- prendere del tempo (non perdonare "sistematicamente")

- prendere sul serio il male commesso, metterci sopra delle parole, dialogare al massimo.

Mt 5, 21-23 : dirsi le cose, ma non in qualunque modo: Le parole possono uccidere.

Mt 5, 23-24 : "cambiare verso" un fratello (o farlo cambiare verso di sè) andando a parlargli, è fondamentale tanto quanto pregare. E’ anche una condizione per poter pregare.

Mt 5, 25-26 : "mettiti presto d’accordo con il tuo avversario" per evitare cose peggiori del conflitto che vi oppone.

Mt 5, 38-39 : se qualcuno ti fa del male, mostragli degli altri aspetti di te stesso, non lasciare che ti veda come vuol vederti lui, mostragli un altro volto della tua personalità...

 

Nella riconciliazione, un terzo esterno può essere utile e servire da mediatore.

Questo terzo può essere una persona, ma anche una legge, un’alleanza, un contratto.

Gn 9, 9-17 : l’arcobaleno, testimone dell’alleanza eterna tra Dio e gli uomini, ci ricorda che Dio non è nostro nemico.

Esodo 20, 1-17 : dieci parole, venute da un Terzo, per servire da indicazione tra ciò che è permesso o proibito verso gli altri.

Atti 6, 1-6 : una regola che raccolga il consenso di tutti per facilitare la vita quotidiana.

Rom 14 : il "giuramento" di Dio viene come un terzo che permette di relativizzare l’importanza del conflitto. Ciascuno, forte o debole, è rinviato davanti alla propria responsabilità: sto agendo per convinzione, in nome di ciò che credo, o per un’altra ragione?

 
   traduzione a cura del recapito MIR di Alba, e-mail: a.alba@areacom.it

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