Scafisti a 13 anni

Sfidano il mare in tempesta e i gommoni della Guardia di Finanza. Portano in Italia clandestini e droga. Sono i nuovi, giovanissimi contrabbandieri balcanici: fedeli ai capi, convinti di essere dalla parte della ragione. Siamo entrati per la prima volta nel carcere minorile di Lecce per capire chi sono. E se per loro ci sono ancora speranze.
30 dicembre 2000
Stefano Mencherini (regista RAI e giornalista indipendente)
Fonte: Specchio - supplemento de "La Stampa"

Sono più spericolati, violenti, omertosi. Arroganti perché se ne infischiano dell’autorità. Scaltri, perché se li prendono sanno a memoria cosa devono dire e quale avvocato nominare. E incalliti, perché ben inseriti nelle logiche dei clan. Di questa pasta è fatta la nuova generazione di scafisti albanesi che hanno tra i tredici e i diciassette anni, almeno a sbirciare tra i verbali che li riguardano e a sentire qualcuno che ha avuto a che fare con loro. Un piccolo esercito destinato a crescere, come conferma Ferruccio De Salvatore, sostituto della Procura per i minori di Lecce. Perché “rischiano al posto dei loro capi, costano di meno, sono più manovrabili degli adulti e soprattutto non hanno mai collaborato con le forze dell’ordine”.


Così, a Valona, la repubblica degli scafisti, i traffici di clandestini, droga e armi continuano senza problemi anche dopo che da un anno e mezzo a questa parte la Finanza ha potuto calarsi in mare ad armi pari, gommone contro gommone, incrementando notevolmente il numero degli arresti (261 tra Brindisi e Otranto) e degli scafi sequestrati (179 gommoni oceanici). Viene voglia di conoscerli allora, di capire chi sono davvero questi piccoli squali che schizzano a cinquanta nodi sul pelo dell’acqua carichi all’inverosimile di “merci” in fuga da mezzo mondo, che sfidano le correnti e i berretti verdi, i loro radar, i loro elicotteri, che si sono abituati a veder pesare lire, dollari e marchi sulla bilancia.
Per farlo entriamo per la prima volta nel carcere minorile di Lecce, un luogo dove si pesano anche le parole: la galera si chiama “istituto penale”, le celle “gruppi”, l’ora d’aria “tempo libero”. Dove la mattina studiano e il pomeriggio si applicano nei diversi laboratori e dove un nugolo tra educatori, insegnanti e agenti di polizia penitenziaria si danna per dimostrare che non sono poi così brutti, sporchi e cattivi come si dice in giro. Qui al momento gli stranieri sono la metà dei ventiquattro residenti: due marocchini, uno slavo, un kosovaro e otto albanesi beccati al timone dei gommoni. Ma quando il mare è buono il minicarcere si riempie.
“Sono musulmano, però prima di partire in mare mi faccio sempre il segno della croce” confessa Altin che ha iniziato a tredici anni a trasportare clandestini e marijuana tra la baia di Valona e le coste salentine. Già, il mare. Quello difficile e insanguinato del Canale di Otranto e quello delle contraddizioni di cui sono pieni i loro racconti.
Comincia così, tra i banchi di scuola, la giornata. Col mare che diventa espediente didattico per attirare la loro attenzione. Con chi è pronto a giurare di avergli dedicato persino un tatuaggio con tanto di cuore trafitto sull’avambraccio. Con l’orgoglio di mostrare un piccolo gommone e delle barche di cartapesta fatte in un pomeriggio di lavoro. Bledar è stato condannato a due anni e cinque mesi: è a metà della pena.
Guidava un off-shore con due motori da 520 cavalli ciascuno. Una bestia lunga dodici metri, simile a quelle che usano i contrabbandieri montenegrini per il trasporto delle sigarette. Roba di lusso per un valonese che si sente solo un taxista, niente di più, e che è pronto a fare la lista della spesa per tentare un’ improbabile difesa del suo datore di lavoro:”Con uno scafo si mantengono venti famiglie in Albania. E se in un viaggio si guadagnano quaranta milioni, quattro vanno a me, due per la benzina, tre a chi ospita i clandestini prima del viaggio, tre a chi li trasporta con le macchine…”. Quaranta milioni per quaranta minuti di traversata, tanto col mare calmo è il tempo che impiegano da costa a costa.
Ma ci sono anche carichi migliori, perché Bledar ha giocato al ribasso calcolando solo ciò che pagano gli albanesi, cioè un terzo di curdi, cinesi, cingalesi che sborsano più di mille dollari a testa. Un borsino, quello dei clandestini, che comunque è sempre in movimento e molto raramente verso il basso. Senza contare poi se oltre alle persone si caricano qualche centinaio di chili di marijuana e qualche decina di kalashnikov. In quel caso si superano abbondantemente i cento milioni a viaggio, sussurra un ragazzetto di Durazzo che qui chiamano Luli, fiore in albanese, e che sul gommone trasportava anche 125 chili di marijuana.
Bledar non ci sta.
Si agita. Quando lo stringi un po’ alle corde e gli ricordi che i suoi capi non esitano a buttare a mare la gente se si sentono in pericolo o a farsi scudo dei bambini quando sono inseguiti dalla Finanza o ancora a far fuori qualcuno solo perché tira sul prezzo, Bledar sbotta:”Senti gazetari (giornalista, ndr) io mi sono fatto prendere perché avevo a bordo diversi bambini piccoli, molto piccoli, e non volevo rischiare. Poco tempo dopo mi è arrivata in carcere una lettera del mio padrone che mi faceva uscire. Aveva un avvocato giusto, ma poi voleva metà dei soldi dello scafo perduto. Ho preferito restare qui così quando esco non devo niente a nessuno, capito?”.
Maurizia Solazzo è la psicologa che coordina gli educatori del minorile e di baby scafisti ne ha conosciuti qui dentro almeno un centinaio:” Fanno i duri ma non lo sono –assicura- il vero problema è che non hanno la minima percezione del valore del denaro. Ne hanno visto troppo e troppo in fretta. Sono abbagliati dal nostro consumismo e non hanno idea di cosa significhi lavorare e sacrificarsi per vivere”.
Besian, occhi furbi e capelli a spazzola che svelano due lunghe cicatrici sulla testa “sai, di quelle cose che succedono tra albanesi”, ci tiene a dire la sua:”Io non ammazzo per soldi, ma se mi tradiscono con me non vivi più” provoca di fronte al direttore. Fa il boss, Besian. E gli altri si consigliano con lui prima di parlare.
A bordo aveva oltre a una quarantina tra curdi e albanesi 210 chili di marijuana e tre di olio di hashish. E’ l’unico padroncino del gruppo: il gommone era in comproprietà con un amico. Di viaggi non si ricorda neppure più quanti ne ha fatti, “ma quando esco torno a casa, compro un altro scafo e stavolta ci mando sopra qualcun altro”. A lui hanno dato tre anni e mezzo.La procura di Lecce ha la mano pesante con questi minori, volutamente. “Più di quella adottata con gli adulti”, per stessa ammissione del sostituto De Salvatore. Pensano che possa essere un deterrente, sia nei confronti di altri ragazzi come loro e sia verso chi li recluta. O forse non trovano altri strumenti, vista anche la “scarsa collaborazione delle autorità albanesi”.
Autorità che spesso non esistono neppure, come magistratura minorile e i servizi sociali. Nel Paese delle aquile i minori riottosi finiscono in carcere con gli adulti tra stupratori e assassini, in condizioni che non è difficile immaginare. Come se non bastasse l’Albania è spesso ancora oggi una terra di nessuno dove si bruciano i tribunali e si assaltano i posti di polizia, come è accaduto una manciata di giorni fa a Tropoja, nel nord del paese. Ovviamente le mafie italiane vanno a nozze con una situazione del genere, sacra corona libera e camorra in testa. Anche nell’assoldare ragazzini costretti a trasportare clandestini , droga e armi. Non importa se italiani o albanesi, come ricorda Maria Rita Verardo che presiede il Tribunale dei minori di Lecce e che negli ultimi tempi ha dovuto occuparsi per la prima volta di due piccoli lupi di mare (italianissimi) che pilotavano i gommoni.
Adesso alcuni di questi ragazzini cresciuti troppo in fretta leggono Silone. Discutono con Giovanni Caputo, il loro insegnante di italiano dietro le sbarre, de “Il segreto di Luca”. Si scaldano seguendo la storia di questo ergastolano ingiustamente condannato. Non riescono o forse non vogliono capire il perché della pena che gli è stata inflitta. Si sentono anch’essi innocenti, perseguitati. E ripartono a raffica con i ricordi. Duri come pietre. “Sai che per non farci beccare partiamo anche col mare a forza sei? Sai che molti miei compagni se li sono mangiati i pesci?” attacca Besian. A ruota lo seguono Genti, Eduard, Altin e gli altri. Raccontano di un loro amico che è affondato tra le onde con trentanove clandestini.
Di un altro di quindici anni del quale sulla strada del ritorno hanno trovato solo il gommone. Di un altro, di un altro e di un altro ancora che non sono più tornati a casa. Solo uno di loro tace in disparte. Poi sussurra che suo padre, un ambulante che vende verdura al mercato di Fier, gli sbatteva i soldi in faccia quando lui tentava di portare alla famiglia un po’ del denaro guadagnato.
“Tu finisci male”, gli diceva. Ma lui guardava il meteo sul televideo della Rai per sapere com’era il mare. E se il padrone gli dava l’ok partiva per l’ennesima traversata. I soldi gli servivano per comprarsi un Toyota Celica rosso, un duemila a iniezione “con i fari che si alzano da soli” rubato chissà dove. Per divertirsi con le ragazze.
Per mandarli al fratello, muratore a Brescia, che poi li girava alla famiglia come soldi puliti.
Dei ventidue piccoli scafisti arrestati negli ultimi venti mesi sulle coste salentine molti sono già tornati al lavoro per scadenza termini delle custodia cautelare o perché quando finiscono di espiare la pena, nove volte su dieci, vengono rispediti in patria. Lo denuncia la coordinatrice degli educatori supportata dalla presidente del Tribunale dei minori di Lecce:” Con questi ragazzini purtroppo non c’è tempo per tentare di mettere in piedi un progetto educativo”. Qualcuno di loro nel frattempo si è messo in proprio, qualcun altro viaggia ancora sotto padrone.
Se la Finanza sequestra più gommoni non importa. Tanto c’è un tipo, col cantiere a due passi dal porto di Valona:”Per uno che ne fermano, lui te ne mette fuori dieci”. Besian, il piccolo boss, sorride. Poi scopri che scrive poesie in italiano. Anche una delle sue fidanzate gliene ha scritta una:”Sei in quelle quattro mura di ghiaccio. Io alzo gli occhi al cielo per vedere se ti arriva una luce. Sei in una terra promessa e molto dolorosa. Con sogni difficili…”. Lui forse si commuove, vorrebbe piangere. Ma non sa ancora come si fa.

PeaceLink C.P. 2009 - 74100 Taranto (Italy) - CCP 13403746 - Sito realizzato con PhPeace 2.7.15 - Informativa sulla Privacy - Informativa sui cookies - Diritto di replica - Posta elettronica certificata (PEC)