Il Corriere del Mezzogiorno prima ringrazia e poi censura

In occasione della tre giorni salentina voluta dal Coordinamento nazionale informazione e giustizia sociale, sono stati presi accordi verbali prima con Marco De Marco, direttore del Corriere del Mezzogiorno (panino in Campania e Puglia del Corriere della Sera) e poi con la redazione pugliese (Maddalena Tulanti, responsabile della redazione e Carmine Festa, redattore).
Il Corriere del Mezzogiorno avrebbe ospitato "volentieri" alcuni interventi sui temi dell'assise leccese.
Il primo avrebbe dovuto essere quello del giudice Fiorella, presidente della sezione Lavoro del tribunale di Lecce, sulle cui sentenze si sono formate almeno due generazioni di giuristi del lavoro. Il tema, ovviamente, quello degli incidenti sul e del lavoro. Dopo varie rassicurazioni giunte visto il ritardo nella pubblicazione (l'ultima fatta da Festa che assicurava persino il giorno d'uscita) nulla e' accaduto. E il pezzo e' stato censurato.
Neppure una settimana dopo all'Ilva di Taranto muoiono schiacciati da una gru Paolo Franco e Pasquale D'Ettorre, due giovani operai.
E' solo l'ennesima strage del lavoro. E anche il Corriere del Mezzogiorno e' costretto a dedicare qualche articoletto all'argomento. Poi, dopo la cronaca delle lacrime dei parenti, dimentichera' di nuovo tutto. E se gli capitera' un altro intervento come quello censurato del giudice Fiorella, in quel giornale faranno la stessa cosa: useranno il cestino.
Pena e disgusto per i giornalisti responsabili di quella testata.


Di lavoro, soprattutto al Sud, si “campa” sempre meno, ma si continua sempre troppo a morire e ad ammalarsi, fisicamente e psicologicamente. In Italia, nel settore della sicurezza sul lavoro, viviamo contraddizioni tuttora insanabili. La salvaguardia della vita, dell’integrità fisica e della sicurezza di chi lavora, sotto la spinta cogente della giurisprudenza ordinaria e costituzionale e, soprattutto, delle direttive europee, ha portato all’adozione di un articolato sistema normativo, che si estende dal lavoro ai mezzi di produzione, alle merci, al consumo e si coniuga con la tutela dell’ambiente di vita. Molti passi in avanti sono stati compiuti nel settore delle prevenzione, della sicurezza individuale e collettiva ed in quello delle tutele previdenziali. In quest’ultimo ambito, in particolare, nuovi soggetti vengono protetti (parasubordinati, dirigenti, professioni intellettuali, sportivi professionisti, casalinghe), sono stati estesi i confini dell’occasione di lavoro e della natura professionale di nuove patologie, nonché quelli dell’indennizzo, che comprende anche il danno biologico. I limiti di queste nuove leggi sono la disorganicità e l’incompiutezza che scontano quelle della definizione del modello di welfare per quanto riguarda i livelli di protezione da garantire per i diversi bisogni, a carico della solidarietà generale, delle categorie, dell’impegno dei singoli. Malgrado gli indubbi progressi nella prevenzione, nelle tutele, nella repressione delle violazioni, di lavoro si continua a morire e ad ammalarsi sempre troppo. E questo perché manca ancora una compiuta elaborazione e diffusione di una vera cultura della sicurezza, che è un valore complesso che attiene a tutti gli aspetti del lavoro. Non è sufficiente parlare di sicurezza sul lavoro e inadeguati sono tutti i tentativi di perseguirla, se non lo si affronta nell’ambito del più vasto tema della sicurezza del lavoro. E’ in atto una progressiva deregolazione del lavoro, la compressione dell’autotutela collettiva, la vanificazione della tutela giurisdizionale. Le nuove discipline attuate o prospettate in materia di lavoro a termine, di appalti di manodopera, di trasferimenti di azienda, di part-time, di lavoro nelle cooperative, di licenziamenti, di arbitrati, di lavoro degli immigrati o di pensioni conducono ad una progressiva precarizzazione del rapporto di lavoro. La flessibilità della negoziazione individuale, pur avendo dato scarsi risultati tanto sul fronte della efficienza e della produttività che su quello del mantenimento dei livelli occupazionali e di reddito, ha istituzionalizzato quelli che a lungo erano stati i sistemi propri del lavoro sommerso. E questo non soltanto nelle fabbriche e nei cantieri, ma investendo anche i ceti professionali qualificati, quali medici, professori, giornalisti, dipendenti delle amministrazioni pubbliche. L’insieme di efficienza produttivistica, di economie di scala, di insicurezza e precarietà dei propri diritti e del proprio futuro sono concausa determinante degli infortuni e delle malattie da lavoro, che non sono appannaggio soltanto del lavoro nero, ma investono tutto l’ambito del lavoro precarizzato. Se il lavoro ridiviene merce e non valore costituzionalmente protetto, di lavoro si vivrà sempre peggio e si continuerà a morire.

Mario Fiorella-giudice del Lavoro

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