Qualevita

Il terzo mondo sta presentando il conto?

27 novembre 2004
Pasquale Iannamorelli

Dopo l’11 settembre la preoccupazione per la sicurezza è diventata quasi ossessiva. Si è investito nelle attività che la promuovono e anzitutto in ciò che si ritiene fornisca la massima garanzia di sicurezza: le armi. Forse sarebbe più razionale sforzarsi di indagare sulle cause di fondo dell’aggressione e dell’odio verso l’occidente, per essere in grado, eventualmente, di farvi fronte nel modo più congruo. I terroristi, in effetti, non sono soltanto dei disperati, ma non pochi tra loro sono ricchi e soprattutto istruiti. Un’ipotesi, avanzata in prevalenza da storici e moralisti, teme che dietro gli attentati terroristici, oltre alle cause locali e specifiche, possa nascondersi una più generale ribellione contro gli squilibri che contrappongono poveri e ricchi nel mondo. Qualora si acquisisse l’esistenza di un nesso causale tra sviluppo e sottosviluppo, la causa della povertà nel terzo mondo sarebbe da attribuire, almeno in parte, all’eccessivo arricchimento dell’occidente. Si tratta di un tema prettamente economico, toccato da alcuni economisti del passato, ma poco sentito da quelli attuali, specie se appartenenti alla corrente maggioritaria, cioè quella neo liberista. Diamo un rapido sguardo su tre argomenti che potrebbero fondare una dimostrazione di quel nesso, ben sapendo che diversi altri potrebbero essere perseguiti.

1. Colonialismo: dopo la deportazione degli schiavi, è stato operato, spesso con metodi altrettanto brutali, un sistematico sfruttamento dei paesi colonizzati. Quasi totalmente cessato a metà del secolo scorso, il colonialismo politico fu rimpiazzato da forme di colonizzazione economica, consistenti nel controllo delle attività delle ex colonie da parte di poteri economici della madrepatria o comunque di imprese multinazionali. Ma lo sviluppo più proficuo ottenuto dalle imprese – anzitutto quelle maggiori e multinazionali – si è realizzato nelle tecniche di marketing, le quali sono state perfezionate anche varcando la soglia del subconscio (con preoccupanti estensioni pure sul piano politico). Queste tecniche consentono al potere economico di orientare gusti, mode, bisogni, comportamenti e consumi, tanto che molti parlano di un vero e proprio controllo sociale. Si sostiene così che, lungi dall’essere entrati in una società post-industriale, caratterizzata da tempo libero, permissività, flessibilità, individualità…, siamo oggi in una società iper-industriale, in grado di imporre comportamenti gregari e consumistici. Si provoca però una perdita generalizzata di individualità, di identità e di ricchezza simbolica – sia pure in presenza di ricchezza economica. Se questo vale per i paesi ricchi, a maggior ragione può essere esteso a quelli poveri, che non hanno ancora potuto mettere in atto alcuni anticorpi per difendersi dall’aggressività dalle moderne tecniche di marketing. Si può dunque concludere che la forma di colonizzazione più moderna, potente e diffusa oggi, la colonizzazione culturale, consente di piegare all’interesse di poteri economici occidentali il comportamento degli abitanti anche del terzo mondo.

2. Fuga delle risorse: spiega perché lo sviluppo tende ad essere un processo squilibrato. Le risorse più significative ai fini dello sviluppo – quelle umane anzitutto, ma anche quelle materiali, come i capitali – tendono a spostarsi dalle aree deboli verso quelle forti, contribuendo così ad accentuare gli squilibri. Il processo si protrae fin che non si innescano fenomeni compensativi, come la congestione, oppure la stessa mancanza di sicurezza. Sono stati quantificati alcuni danni per il terzo mondo dovuti alla fuga di risorse: calcolando ad es. quanto costa il mantenimento dei giovani, che, terminati gli studi, decidono di lasciare il paese povero per lavorare (e produrre) in uno più ricco, si è giunti da tempo, solo per questa fuga, a cifre superiori a quelle stanziate dal mondo ricco come aiuto allo sviluppo. Oltre a trascurare i costi umani, questa valutazione riguarda soltanto una piccola parte della fuga di risorse. Più significativa potrebbe essere la fuga di chi è dotato di qualità innovative, intellettuali o imprenditoriali – non necessariamente acquisibili a scuola – che non possono essere pienamente esplicate in un contesto socialmente arretrato. Ma la valutazione quantitativa di queste perdite per i paesi poveri e del corrispettivo vantaggio per quelli ricchi sarebbe assai più difficile. In ogni caso è da auspicare una maggiore sensibilità a tutti i livelli per la variabile che si sta rivelando sempre più decisiva per lo sviluppo: il fattore umano.

3. Scambi ineguali: sono stati da tempo individuati come uno dei mezzi più evidenti e certi di sfruttamento. Si può esprimere in una forbice dei prezzi: quelli dei prodotti che il terzo mondo esporta tendono a ridursi, mentre il contrario avviene per quelli che importa. Più interessante potrebbe essere una considerazione sulla qualità dei beni scambiati: con un contenuto sempre più immateriale, per i beni venduti dai paesi ricchi, ferma a beni materiali di bassa tecnologia, come le materie prime, per i paesi poveri. La caratteristica saliente dei beni immateriali (si pensi ai software) è quella di non privarsene quando si vendono: possono costituire una fonte di guadagno illimitato se si riesce - con strumenti giuridici, di marketing o altro – a non avere concorrenza. Il pensiero oggi dominante tra gli economisti avalla questa possibilità di guadagno derivante dalla vendita di beni immateriali, sostenendo che il prezzo non debba fare riferimento al costo di produzione. Pertanto questo pensiero è funzionale agli interessi delle economie ricche. Ma l’ineguaglianza degli scambi può risultare ancor più rilevante se si considera che le merci importate possono essere strumento di colonizzazione culturale. Talvolta possono consentire l’apprendimento di tecnologie, agendo quindi positivamente ai fini dello sviluppo. Ma possono anche veicolare modelli di dipendenza, consumismo, spreco, spesso devastanti in certi contesti del mondo povero, oltre che fonte di impoverimento simbolico e identitario.

La duplicità di questi diversi aspetti è evidente. La colonizzazione può essere scambiata per civilizzazione, la fuga delle risorse intesa come opportunità vantaggiosa. Quanto agli scambi poi non va dimenticato che la scienza economica è basata sull’idea dei fondatori secondo cui la ricchezza delle nazioni è da collegare anzitutto agli scambi commerciali: sono, per definizione, vantaggiosi per entrambi i contraenti. Tuttavia, nel tempo, chi è dotato di maggior potere contrattuale può mettere in atto strumenti per sfruttare o addirittura schiavizzare i contraenti poveri. In ogni caso esistono evidenti difficoltà alla quantificazione di questi fenomeni che possono originare l’impoverimento del terzo mondo, e gli economisti, come in genere gli scienziati di impronta positivista, tendono a svalutare o trascurare ciò che non può essere quantificato. I pregiudizi liberisti, imperanti in economia, tendono poi a sottovalutare l’importanza degli squilibri, attribuendoli alla insufficiente entrata nel mercato e confidando in improbabili automatismi. Di fatto il sottosviluppo continua a persistere e gli squilibri si aggravano, nonostante l’impegno e gli sforzi anche di molti economisti. Sarebbe necessario che noi occidentali privilegiati ci facessimo maggiormente carico di indagare e superare le cause della povertà altrui, anche adottando, per quanto ci concerne, un modello di vita più sano, sobrio e rispettoso degli equilibri ambientali.

In conclusione, anche con i soli tre esempi sopra indicati, sembra difficile negare l’esistenza di numerose situazioni in cui il mondo sviluppato trae vantaggio dallo sfruttamento di quello sottosviluppato: l’esistenza cioè di un nesso causale tra sviluppo e sottosviluppo. I fattori indicati, anche se di difficile quantificazione, hanno consentito il nostro sviluppo cumulativo e squilibrato, operando da lungo tempo (ecco perché gli storici sono più sensibili); la cumulatività è poi accentuata da altri fattori qui non considerati, come le economie di scala. Più incerto invece è scorgere negli attuali fenomeni di terrorismo l’anticipazione di quello che potrebbe succedere se il terzo mondo scoprisse nel nostro eccessivo benessere una causa della sua miseria. Ma la saggezza vuole che si cerchi di rimuovere in anticipo i rischi, specie quando non sono privi di ragioni valide: questo sarebbe perseguire la vera sicurezza. Se non siamo in grado di invertire la tendenza al crescere di squilibri, sempre più stridenti e iniqui, non possiamo che attenderci dagli esclusi la ribellione – magari irrazionale e controproducente, come la violenza terroristica.

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