Qualevita

La non violenza durante la Seconda guerra mondiale

La resistenza umanitaria dall’Abruzzo al Vaticano

O’ Flaherty, il sacerdote geniale, cortese, schietto, era la Primula Rossa del Vaticano, vestita di scarlatto e nero: un uomo stranamente paradossale, che per anni aveva odiato gli inglesi e che tuttavia, durante la seconda guerra mondiale, doveva salvare più alleati di qualsiasi altro.
8 dicembre 2004
Mario Setta

Alcuni anni fa, il primo luglio del duemila e nei giorni seguenti, la stampa internazionale si è occupata di Mons. O’ Flaherty, pubblicando il testo di un telegramma di Kappler, inviato a Berlino il 19 ottobre 1943 e intercettato dagli Alleati tramite la decodifica di “Enigma”. La notizia fece scalpore. Si parl˜ di “gola profonda dei nazisti in Vaticano”, di “nazista sotto la tonaca”. Su “la Repubblica” del 2 luglio 2000 Gianni Corbi scrisse: “Da quei documenti di provenienza Cia apprendiamo infatti che Monsignor Hugh O’ Flaherty, il sacerdote irlandese rappresentante della Croce Rossa americana in Italia, non sarebbe stato l’eroe che si adoper˜ per mettere in salvo ebrei, partigiani e prigionieri alleati, ma una spia dei tedeschi”.
Il testo dell’intercettazione di “Enigma” era il seguente: “KFL 4188 – 19/10/43 The representative of the American Red Cross at the VATICAN, the Irishman Monsignor O’ FLAHERTY, who is a friend of the enjoy CSBOR:E tolo reliable informant here during a discussion to-day, smore(smong) other things, that, in addition to 4, to 5 Italian divisions. There were now also 2 American divisions on SARDINIA. As a landing by the Anglo-Americans in the BALEARS was not desired by the Russians, the former (he said) were obliged to make progress there was a probability of an imminent landing from SARDINIA between CIVITAVECCHIA and LEGHORN. OBS and BDS informed. KAP(P)LE(R)”
Il messaggio tedesco in relazione ad O’ Flaherty risulta piuttosto vago. Nel mese di ottobre c’era già stato l’armistizio e Roma era già in mano ai tedeschi. Di uno sbarco nei dintorni di Roma si parlava da tanto. Avrebbe dovuto aver luogo proprio in difesa di Roma, in contemporanea con l’annuncio dell’armistizio, per contrastare la presumibile occupazione tedesca. Cosa che avvenne rapidamente. Invece lo sbarco alleato avverrà ad Anzio il 22 gennaio 1944. Le generiche informazioni di O’ Flaherty servivano piuttosto a tenersi buoni i tedeschi e farsi accettare come un loro informatore, in modo da avere mano libera nel poter nascondere e aiutare i prigionieri alleati. La guerra in casa


Definito “Scarlet Pimpernel of the Vatican” (Primula rossa del Vaticano), dal titolo del libro che J. P. Gallagher ha pubblicato nel 1967 e tradotto in italiano nel 1973 nelle edizioni Mursia, sulle sue imprese durante la guerra, Mons. O’ Flaherty aiutò numerosi anglo-americani nascosti a Roma.
Sono parecchie le testimonianze dei collaboratori e di quanti lo conobbero e apprezzarono la sua azione pastorale, rivolta a nascondere e a sfamare migliaia di ex-prigionieri alleati.
Hugh Joseph O’ Flaherty era nato a Killarney, in Irlanda, il 28 febbraio 1898. Di lui Gallagher scrive: “O’ Flaherty, il sacerdote geniale, cortese, schietto, era la Primula Rossa del Vaticano, vestita di scarlatto e nero: un uomo stranamente paradossale, che per anni aveva odiato gli inglesi e che tuttavia, durante la seconda guerra mondiale, doveva salvare più alleati di qualsiasi altro. Manovratore, dall’interno stesso del Collegio Teutonico, di una stupefacente rete di salvataggio e con una sua ‘linea’ segreta che arrivava al quartier generale delle SS, egli girava per la città, di giorno e di notte, sfidando apertamente i tedeschi ”.
Nel 1983 esce un film del regista Jerry London sul personaggio e sulle imprese eroiche di O’ Flaherty, interpretato da Gregory Peck, dal titolo “The Scarlet and the Black”.
“Alla liberazione di Roma – scrive ancora Gallagher – l’organizzazione aveva la responsabilità di 3925 prigionieri di guerra evasi e di uomini che erano riusciti ad evitare la cattura. Di questi 1695 erano inglesi, 896 sudafricani, 429 russi, 425 greci, 185 americani e gli altri appartenenti a 20 nazionalità diverse”.
Ma le testimonianze più pregnanti e decisive sono quelle dei collaboratori che lo aiutarono nella difficile e delicata opera per nascondere e sfamare le migliaia di ex-prigionieri alleati fuggiaschi. John Furman, ebreo, ex-prigioniero e uno dei collaboratori, ha raccontato l’azione di O’ Flaherty nel volume “Be Not Fearful” (Antony Blond 1959, London), tradotto e pubblicato in italiano nel 1962 presso le edizioni Garzanti, con il titolo “Non aver paura”. Concludendo le sue memorie e ricordando il giorno della liberazione di Roma, Furman scrive: “Non c’erano autobus né tram, ma le strade erano piene di gente che si affollava in direzione di San Pietro, dove andava a esprimere la propria gratitudine per la liberazione della città. Vidi John May e monsignore O’ Flaherty. Era bello vedere la gioia sul loro volto e sul viso di tutti, in piazza San Pietro”.
Nel 1995, William Simpson, ufficiale inglese, uno dei maggiori collaboratori di O’ Flaherty e responsabile, dopo la liberazione d’Italia, dell’Allied Screening Commission, pubblica il libro di memorie dal titolo “A Vatican Lifeline ’44. Allied Fugitives aided by the Italian Resistance foil the Gestapo in Nazi-occupied Rome” (Leo Cooper, London). Ora il libro è stato tradotto in italiano, con la presentazione di uno dei massimi storici dell’aiuto ai prigionieri di guerra, Roger Absalom, autore del volume “A Strange Alliance” (Olschki, Firenze 1991). Il libro di Simpson è stato tradotto con il titolo “La guerra in casa. La Resistenza Umanitaria dall’Abruzzo al Vaticano” a cura del Liceo Scientifico Statale “Fermi” di Sulmona, edizioni Qualevita (Torre dei Nolfi, 2004).
Il libro narra le vicende dell’autore, fuggito dal campo di concentramento, nascosto e aiutato in un povero borgo di Sulmona e condotto con altri a Roma, con l’intervento di una coraggiosa donna del popolo, Iride Imperoli Colaprete. A Roma Simpson incontra monsignor O’ Flaherty e ne diventa stretto collaboratore. Catturato dai tedeschi e rinchiuso a Regina Coeli, vi rimane fino alla liberazione di Roma.
Il Liceo Scientifico Statale “Fermi” di Sulmona, su proposta delle Associazioni degli ex-prigioneri alleati e con la collaborazione di docenti e studenti, ha da tempo intrapreso un interessante lavoro di ricerca sull’aiuto delle popolazioni agli ex prigionieri. Nel 1995 a cura del Liceo è stato pubblicato un volume dal titolo “E si divisero il pane che non c’era”. Un libro su cui il Presidente della Repubblica Italiana, Carlo Azeglio Ciampi, è tornato più volte. In un’intervista del 1999 aveva detto: “Io ho un grande ricordo della gente d’Abruzzo, che accolse e sfamò migliaia di militari italiani e alleati fuggiti dal campo di concentramento di Sulmona. “E si divisero il pane che non c’era” è il libro degli studenti di Sulmona, che ha bene ricostruito le storia di quegli anni in quella parte d’Abruzzo. Questa terra ha avuto grandi meriti, ha dimostrato di avere un grande cuore”. E ancora, il 23 settembre 1999: “Sono stati ricordati i rapporti miei, antichi e recenti, con la terra d’Abruzzo. Sono rapporti che lasciano un segno. Vissi qui alcuni mesi particolarmente intensi. Posso testimoniare di persona, per esserne stato beneficiario, di quello che fu l’atteggiamento degli abruzzesi nei confronti di coloro che si trovavano in condizioni di bisogno, fossero essi prigionieri alleati, fossero essi ebrei, fossero ufficiali o soldati dell’esercito italiano. Io qui passai alcuni mesi con alcuni amici, in particolare con un amico ebreo, un vecchio amico livornese. E un episodio, in particolare, mi è rimasto impresso nella mente. Quando, camminando una sera per una piccola via di Scanno, da una finestra un’anziana scannese mi fece un cenno, mi invitò a salire nella sua casa e mi offrì un pezzo di pane e un pezzo di salame. Questo mi ricorda quel bellissimo libro che hanno scritto gli alunni e gli insegnanti di una scuola di Sulmona – e che io conservo gelosamente – il cui titolo, se ben ricordo è “E si divisero il pane che non c’era” ”.
L’opera di Simpson, che si inserisce nella collana di memorialistica dal titolo “E si divisero il pane che non c’era”, è un omaggio alla gente del popolo ed è una testimonianza straordinaria dell’azione pastorale di Mons. O’ Flaherty. Se fosse stato una spia dei tedeschi, migliaia di persone non sarebbero sopravvissute. L’accusa di “gola profonda” a favore dei nazisti, stando ai fatti, risulta assolutamente infondata. Più correttamente, un giudizio obiettivo non può che scaturire dal ruolo e dalla missione sacerdotale del monsignore di curia che, come tanti altri sacerdoti nel periodo della guerra e dell’occupazione tedesca, hanno tentato sì di “giocare” sui due fronti contrapposti, ma per salvare “l’uomo”: inglese o tedesco, americano o russo, ebreo o protestante, in nome dei valori evangelici.

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