Catena di Sanlibero

Catena di Sanlibero n. 13

26 novembre 1999
Riccardo Orioles (Giornalista antimafia)

Tunisino, trent'anni, settecento lire in tasca, solo in aperta campagna in Toscana, digiuno da un tempo imprecisato, Amhed alla fine s'è avvicinato a un pollaio e ha rubato una gallina. Il cane da guardia - italiano - se n'è accorto e l'ha inseguito latrando. Amhed è riuscito a sfuggire al cane. Arriva una pattuglia, altolà-chi-va-là e l'inseguimento ricomincia, Amhed davanti e l'Italia dietro. La fame non rende veloci, e un'ora dopo Ahmed è in caserma fra due carabinieri.
Documenti, denuncia, rilascio a piede libero, e provvedimento d'espulsione immediata (non è la prima volta che Ahmed prova a fare il furbo con l'Italia: già l'avevano beccato a dormire in una casa occupata). Amhed esce dalla caserma, con le sue settecento lire in tasca, più il foglio dell'espulsione, e cammina. Arriva a un palazzo perbene, un condominio d'italiani, alza lo sguardo e vede, lassù sul terrazzino al primo piano - dei panni stesi. Si arrampica faticosamente sul terrazzino e stacca con delicatezza i panni, ad uno ad uno. Poi stacca il filo, lo lega a una sporgenza - e s'impicca.
Ce n'è un altro di meno, signora Italia. Contenta?

Saggezza zulù. "E meglio avanzare e morire, piuttosto che fermarsi e morire" (un detenuto del carcere di Turi).

Da leggere insieme: Luttwark, "La dittatura del capitalismo" e Revelli, "Fuori luogo".
È strano il titolo del primo libro. Luttwark, per quanto ne sapevamo finora, è uno storico dell'impero (americano, naturalmente; ma col fantasma della "pax romana" che aleggia costantemente fra le pagine, secondo tradizione anglosassone da Gibbon in poi) e ha scritto delle cose molto solide, già negli anni Ottanta, sulla geopolitica militare Usa-Urss. Con troppo Tucidide alle spalle per aderire alla fiction dell'"Impero del male", Luttwark è tuttavia un sincero propugnatore dell'american way of life in tutti i campi, dalla torta di mele ai marines, un liberale di destra (molto di destra) e, orgogliosamente, un anticomunista. La tesi de "La dittatura", se abbiamo capito bene, è che il vecchio capitalismo è sfuggito di mano ed è diventato un'altra cosa, che lui chiama "supercapitalismo" e che ha qualcosa a che vedere col sistema de "L'orrore economico" d'un paio d'anni fa (come si chiama l'autrice? perdonatemi, ma scrivo senza materiali).
Qui però non siamo nel dickensiano e nel pamphlet, ma in uno studio socio-economico denso di tabelle. E la vittima, secondo Luttwark, non è il povero del terzo mondo o il giovane disoccupato - è proprio il capitalismo in se stesso: divorato per così dire dall'interno da un nuovo sistema, ancora non bene analizzato, di cui il tratto principale è l'incontrollabilità rispetto a qualsiasi legge e il prevalere di una nuova casta di manager svincolati da qualsiasi rapporto produttivo e/o sociale.
In uno dei primi capitoli cita dettagliatamente, con gran puntiglio di dati, il caso della Boeing. La Boeing è uno dei protagonisti del complesso militare-industriale di cui parlava Eisenhower alla fine del suo mandato. Niente di male, per Luttwark; persino l'obsolescenza della concorrenza e il pericolo del monopolio sono per lui quasi accettabili (per questo parlavo di liberale "di destra) in vista dell'interesse nazionale. A un certo punto, dunque, la Boeing si aggiudica una grossa commessa - cerco di riassumere alla meno peggio - di aerei. Non importa come ci sia riuscita: è comunque un bene per la produzione. La Boeing tuttavia ha difficoltà a star dietro alla commessa nonostante le tecnologie e i ricorso agli straordinari, il personale di fabbrica risulta insufficiente. Emergenza: si rischia di perdere almeno una parte della commessa.
Proprio a questo punto, il supermegamanager decide di licenziare, con gran clamore, alcune migliaia di operai. Quasi immediatamente, la produzione crolla e - come prevedibile - parte della commessa va a farsi benedire. Contemporaneamente, però, in borsa le azioni Boeing salgono alle stelle: la "prova di carattere" data dal managment ha convinto gli investitori (per lo più middle class pulviscolare finanziariamente gestita via computer) che il loro denaro è in buone, anzi in ottime mani. I capi della Boeing - pensa l'azionista - sono dei pessimi industriali, e gettano via i soldi; ma sono degli ottimi finanzieri, che non indietreggiano a nulla pur di aumentarmi il dividendo tagliando i costi.
Questo ragionamento, probabilmente, non può durare molto a lungo ma: 1ç una quota significativa delle azioni vengono possedute per un periodo di tempo estremamente limitato, tale da rendere remunerativo il mordi-e-fuggi; il potere e l'interesse personali del top managment sono tali da costituire ormai un fattore significativo nela determinazione delle scelte aziendali. La Boeing, cioè, si concentra la tattica e abbandona la strategia (il bottino della battaglia si raccoglie subito, e immediatamente dopo si abbandona quella particolare guerra); cessa di essere un'industria e diventa una massa di denaro mobile, ed è rapidissimo il movimento. Il capitale, in particolare, a questo punto non ha più niente a che vedere con le teorie classiche che gli assegnavano un rapporto più o meno stretto coi mezzi di produzione. Il capitalista non è più chi è "proprietario" del capitale ma chi lo gestisce nel breve periodo. E il capitalismo? Boh. Ammesso che ce ne sia ancora solo uno.
Il Boeing caduto in Atlantico, qualche settimana fa, apparteneva, come almeno un altro esemplare vittima d'incidente, a una serie di apparecchi usciti dalla fabbrica esattamente in periodi del tipo descritto da Luttwark. L'inchiesta sull'incidente, come forse ricordate, non ha raggiunto risultati certi e difficilmente ne raggiungerà in futuro. Come giornalista, registro che nel giro di otto giorni i media hanno parlato, successivamente, di: misterioso incidente; incidente forse dovuto a cause strutturali; incidente sicuramente dovuto al suicidio del pilota; incidente non dovuto affatto al suicidio del pilota ma, con altrettanta certezza, all'azione di un fanatico integralista; incidente non dovuto all'azione di un fanatico - non essendovi alcun riscontro in tal senso - ma a cause ancora oscure prima o poi da accertarsi.
* * *
Il libro di Marco Revelli, "fuori luogo", si legge molto più in fretta. Campo abusivo di zingari a Venaria Reale presso Torino; Rivolta degli abitanti del luogo, per lo più operai Fiat in pensione; richieste di soggiorno respinte; l'inverno subalpino, i cinque gradi sotto zero; il Comune (di sinistra, "comunisti" inclusi) che nega le stufette, l'Enel (presidente ambientalista) che nega l'allaccio elettrico, i neonati del campo sottoposti al rilievo dell'impronta digitale... Alla fine decreto di espulsione, rastrellamento, ruspe sul campo.
Revelli, che scrive caldo, da Ottocento, è schoccato dal numero delle volte in cui compare la parola "sinistra" (gli intellettuali di sinistra torinesi che negano solidarietà, gli amministratori di sinistra ecc. ) in questa storia classica, e feroce, di repressione etnica d'una minoranza. Noi, avendo avuto forse più tempo e migliori occcasioni di lui per rifletterci, siamo meno sorpresi. Con l'avvertenza che (contrariamente a quanto, non diciamo Revelli, ma molti altri uomini buoni, ma non ancora politici, tendono a fare) noi non crediamo affatto che non ci sia più o non debba esserci o non ci sia mai stata differenza fra sinistra e destra; ma che la sinistra vecchia, legata ad altri rapporti di produzione e società che un tempo la giustificavano ed oggi sono solo teologia, abbia semplicemente cessato di essere sinistra vecchia, futura o attuale. E non è una novità, ché già diverse volte nella storia si è ripetuto questo ciclo; che di norma sfocia nella creazione, consapevole o meno, di qualche altra cosa alla quale poi gli storici daranno (ma non è obbligatorio aspettare loro per cominciare a costruirla) il canonico nome di "sinistra".
* * *
Marco Revelli è attualmente impegnato nella costruzione di "Carta", rivista dei "cantieri sociali", di cui si può sapere qualcosa su http://www.sherwood.it/carta (mail: carta@sherwood.it).

"Quattro figlie ebbe, e ciascuna reina,
Ramondo Beringhier, e ciò li fece
Romeo, persona umile e peregrina.
E poi il mosser le parole biece
a dimandar ragione a questo giusto,
che li assegnò sette e cinque per diece,
indi partissi povero e vetusto;
e se 'l mondo sapesse il cor ch'elli ebbe
mendicando sua vita a frusto a frusto,
assai lo loda, e più lo loderebbe. "
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