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"Noi che volevamo apprestare il mondo alla gentilezza" di Paolo Borsoni

Casa editrice BESA
Collana di poesia Costellazioni
15 novembre 2006
Paolo Borsoni

Ti sorprenderesti, amico mio,
a sapere che a questo mondo
ogni arma è stata bandita.
Il razzismo stolido e bieco
è stato estirpato.
Giustizia e libertà
finalmente hanno prevalso.
L'obbedienza compiacente ed ipocrita
su questa terra non è più una virtù.
I ricchi in questo giorno straordinario
stanno dividendo in parti uguali
i loro averi
e lasciando con un palmo di naso
i menagramo saccenti ne fanno partecipi
i diseredati più poveri.
Finalmente, amico mio,
legge è diventata soltanto
pace e solidarietà
senza mercede.

Non ti sorprendere, amico mio, così tanto!
stavo solo scherzando!
stavo portandoti in giro.
Devi sapere che l'arroganza dei disonesti
in questi tempi bui domina e ammalia
con una spudoratezza mai vista,
l'arrivismo più bieco,
la superbia di sempre.
Ormai ti troveresti persino in difficoltà
a capire e a parlare:
il potere riesce a stravolgere con impudenza
anche il senso delle parole:
pace è diventata
guerra continua,
la tortura è entrata a far parte
della nostra etica più avanzata.
Assolutamente sorprendente
ormai è diventato soltanto
immaginare un mondo diverso:

elementare nella sua semplice ragionevolezza,
il mondo che con ingenuità inestimabile
io e te, amico mio,
volevamo apprestare un giorno,
con generosità,
alla gentilezza.

***

Soltanto una scintilla di fragilità
è una liberazione da questa danza di tenebre,
dal delirio di questo mondo
di macchine, di guerre,
che si esalta,
si gloria,
di dolore, di lacrime.

Soltanto la fragilità
dà una speranza
in questa notte meschina dell'anima,
dove pace è la quiete
(dopo la strage),
orripilante la morte
(ma esclusivamente dei propri sodali),

seducente la parvenza
di chi con persuasività inebriante
ci rassicura guidandoci,
noi superstiti,
molcendo l'ultimo tratto di strada
che manca
(al precipizio del nostro massacro).

***

Quando l'ultimo albero sarà stato abbattuto,
quando l'ultimo fiume sarà stato avvelenato,
quando l'aria sarà irrespirabile
e camminare per strada sarà
non solo un rischio mortale ma anche impossibile
perché non ci saranno più luoghi per camminare,

quando la guerra sarà il nostro stato perenne
di cose, mentale, quando 'pace' sarà una parola eversiva
in bocca agli individui più pericolosi e più folli,
quando la tortura sarà una dolce,
persuasiva forma di invito a parlare,
emblema della nostra civiltà superiore,

quando la spudoratezza diverrà un metodico segno
di comprovato talento di successo sociale,
quando la grettezza sarà misura di schietto valore
e la razionalità verrà irrisa come arroganza,
quando il potere sarà nelle mani
di spregiudicati individui pregiudicati,

quando l'ultimo prato
farà spazio al megastore più sterminato,
quando non ci sarà più acqua
pura da bere
e il pane non sarà più
pane da masticare...

chissà…
forse…
proveremo uno strano gusto
o forse un disgusto
accidioso
di sordidezza interiore.

***

Il cielo era ancora chiaro
quando cominciammo a scaricare stivali, scese il buio

e noi stavamo scaricando stivali dai vagoni ferroviari.
Poi cadde la notte

mentre scaricavamo stivali dai vagoni ferroviari.
Quando fu giorno

(e noi stavamo scaricando stivali dai vagoni ferroviari)
il cielo divenne limpido come mai avevo visto prima,

e noi eravamo lì a scaricare stivali dai vagoni ferroviari,
sputando per terra

non smettevamo di scaricare stivali
dai vagoni ferroviari, imprecando contro il destino

scaricavamo stivali dai vagoni ferroviari.
Continuavamo senza tregua a gridare,

mentre le nostre braccia scaricavano stivali
dai vagoni ferroviari. Impauriti con le dita bluastre,

corrose, gialli di rabbia, intimoriti alzando al cielo grida
per avere un po' di sollievo,

continuavamo a scaricare stivali dai vagoni ferroviari.
Fa sempre bene gridare!

Gridare è una splendida consolazione!
E' un aspro sollievo! E noi gridiamo come pazzi

mentre qui in quest'angolo del nostro destino
continuiamo a scaricare stivali dai vagoni ferroviari.

***

In questo gelido giorno d’inverno
una vecchina è seduta con le spalle addossate al muro
sul marciapiede.
Il marito cieco accanto a lei suona la fisarmonica
e ondeggia al ritmo cadenzato
della sua melodia malinconica.
Infilo una moneta nella scatoletta di cartone.
La vecchina alza gli occhi per guardarmi:
da sopra gli occhialetti da presbite occhi di vecchietta
contro occhi di un passante con la mano tesa
nell’attimo di posare una moneta.
Pochi passi...
e all’angolo delle piazze un ragazzo dalla pelle nera
insiste per vendermi il giornale “Terre Di Mezzo”.
«Non ho spicci!» cerco di difendermi.
Lui tutt’allegro
– sprizza felicità da tutti i pori –
con un sorriso a 32 denti
mi cambia una banconota da 100 euro.
Pochi passi ancora...
e mi fermo al banchetto
dei “Beati Costruttori Di Pace”
per firmare una petizione per la pace
in terra e nel cielo.
La signora seduta all’ombra a 0 gradi centigradi
dietro il banchetto infreddolita rabbrividisce,
le gocciola il naso,
mi sorride appena,
mi mette in mano tremando un volantino,
senza dire una parola,
per un’assemblea di martedì.
A 80 metri c’è il sole
e il banchetto giallo della “Lista Bonino”.
Facendo un percorso tortuoso
giungo all’edicola dove un signore esclama a voce alta
rivolto alla moglie
ma per farsi sentire da tutti gli astanti
(e quindi anche dall’infreddolito flâneur
dalle orecchie ben tese):
«Oggi c’è sciopero degli autobus!
Una volta si diceva:
A fare sciopero
sono i delinquenti!».

(Una linea divide in due questa terra,
attraversa le strade,
s’infila nelle finestre dentro le case,
s’infigge nell’anima.
È difficile vederla;
scivola nella luce e nell’ombra;
è una linea che scava in profondità senza affiorare,
senza farsi sentire.
È un modo di vedere, di guardare,
di condividere,
è un contraltare della quotidianità
e del deserto interiore
che ci appartiene;
è una linea fragile
che segna l’io e il tu
e che divide una persona da quella vicina:
si chiama ‘compassione’.)

***

«Io allevo maiali
- mi dice l’uomo. -
Sono appena tornato a casa per riposare.
Riprenderò a sparare più tardi».

«Io non ho sentito nulla
- mi confessa con candore la donna, -
prendo tante di quelle medicine per dormire!
Malgrado i bombardamenti mi sono appena svegliata».

Io guardo fuori della finestra.
Ecco quel che resta di un soldato in un’aia:
un piede, un calzino…
una gamba staccata…

un piede senza calzino, il torace…
e qualche metro più in là sotto un albero,
accanto a una mela bacata,
la testa spaccata piena di mosche.

«Io vado a rigovernare i maiali - mi dice l’uomo
con un sorriso garbato di gentilezza, - poi, dopo aver dormito
ed essermi rifocillato, riprenderò immediatamente a sparare
su quei bastardi che abitano dall’altra parte del fiume».

«Io ritorno a dormire
- mi dice la donna con un’espressione garbata. -
Ma se lei vuole trattenersi…
consideri questa casa come la sua».

Faccio segno di no con il capo.
Questo posto è un posto sbagliato,
non è la mia casa.
Il caffè che m’ha offerto la donna è cattivo, bruciato.

Lo trangugio
con gli occhi fissi sulla costruzione squadrata
fuori della finestra. Sento che i maiali sopravvissuti
lì dentro grugniscono.

Così in questo porcile
i vivi mordono i morti.
Le ragioni degli uni e degli altri
a questo mondo sono evidenti:

ciascuno, da una parte e dall’altra del fiume,
vuol far valere quanto gli conviene e gli aggrada
e lo fa sparando, grugnendo,
riducendoti a pezzi…

e se gli capiti a tiro, amico mio, azzannandoti
come se tu fossi una mela un po’ rovinata
dalla turpitudine:
una mela bacata.

***

È una festa perversa,
un torto da riparare
che genera e rinnova altri torti;
è la corrente di un fiume
che trascina via esseri umani
squarciati a brandelli;
sono carri bestiame
adibiti al trasporto di individui indesiderati
in buche scavate in cui rincantucciarsi
tra confini dove gli altri, i nemici,
si affacciano per conseguire vittorie
nel succedersi di sconfitte continue
in questa valle di lacrime
senza volti da accarezzare,
senza mani da sfiorare,
senza speranza,
gli uni e gli altri appiattiti
su avamposti avanzati
al di là di linee che baluginano di fiamme
dove un angelo sguaina la sua spada
per squarciare in due questa terra
in un'alba con gli occhi che fanno fatica a riaprirsi
su campi disseminati di corpi
lanciati all'attacco da strateghi impassibili
in divise immacolate
su cui appuntare medaglie al valore, all'onore,
alla gloria, all'orgoglio, alla patria,
al tarlo del delirio che ci rode l'anima.

***

Questo mondo
fino alle cose ultime
è muto, afono.

Forse lo stesso accade anche altrove,
ma qui il disgusto sfiora
il confine dove ha inizio la devastazione interiore.

Sradicare gli altri
da questa finzione
forse è un atto crudele,

sradicare se stessi
la conquista più grande:
non esiste

conquista più sconfinata
che sradicarsi
da questo inaridimento del cuore.

***

Riconciliarsi,
perdonare,
disarmarsi,
disarmare

la propria mano,
la propria mente,
il proprio cuore (la propria anima),
se stessi.

Riconoscere le ragioni
di chi ci sta di fronte,
chiedere perdono,
perdonare.

Camminare a fronte alta,
tendere la mano, sfiorarsi,
lasciar vivere
se stessi,

gli altri,
senza abbandonare la tenerezza,
con tensione estrema,
senza illusione alcuna.

***

Paolo Borsoni
Via Turazza 48/D
PADOVA 35128
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tel 049774811
http://digilander.libero.it/borsoni/

***

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(Diffusione in Italia: agenzia PDE)

Note: PAOLO BORSONI è nato ad Ancona, insegna a Padova. Ha pubblicato saggi di matematica e di sociologia sulle riviste "L'Elaborazione Automatica", "Sapere", "La Critica Sociologica" , "Critica Del Diritto", "Trimestre", "Lineamenti", la raccolta di racconti.
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