USA - Presidenziali 2008

Ecco perché vincerà Barack Obama

Yes we can! La rivoluzione chiamata Barack Obama. Con la sua proposta di cambiamento ha già sconvolto la politica degli Stati Uniti.
17 ottobre 2008
Mario Vargas Llosa
Fonte: La Stampa

Barack Obama comizio

La presenza del senatore Barack Obama ha messo completamente a soqquadro lo status quo politico statunitense. A differenza di quanto accadde in Francia o in America Latina le rivoluzioni, negli Stati Uniti, sono pacifiche; non si fanno sulle barricate, ma nelle urne, non con bombe o spari, ma con voti e parole (beh, spesso, si tratta di slogan).

All’interno delle coordinate politiche degli Usa, Obama ha determinato - in un momento difficile d’incertezza economica, di divisioni e di odio politico interni e, per quanto riguarda l’estero, di disamore verso questo paese a causa della guerra in Iraq - un movimento di grande entusiasmo e di speranza, in particolare tra gli elettori indipendenti e i giovani, nel quale, curiosamente, si mescolano reminiscenze di ciò che fu la mobilitazione in difesa dei diritti umani e dell’integrazione razziale guidata da Martin Luther King e l’impatto determinato nella vita politica dall’irruzione di John Kennedy e del suo messaggio di riformismo idealista.
Obama ha ottenuto una squillante vittoria in Iowa e perduto per poche migliaia di voti in New Hampshire nei confronti di Hillary Clinton e, con ciò, ha frenato (se non sepolto) la nomination, che pareva inarrestabile, della senatrice alla candidatura democratica cui ella lavorava da anni grazie anche all’apporto di astronomiche risorse e all’attivo impegno dell’apparato del partito. Ma nei caucuses dello Iowa si è visto, in modo inequivocabile, che l’ostilità suscitata dalla signora Clinton tra gli stessi democratici è, probabilmente, forte quanto quella che suscita tra i repubblicani: i votanti per i candidati democratici che non hanno raggiunto il 15% minimo fissato dalle norme nelle assemblee, hanno preferito appoggiare Obama invece di Hillary in una percentuale di 3 a 1.

Chiunque abbia seguito attentamente tutto lo svolgimento delle primarie non può sbagliare: a uscire consacrato come forza dominante in questa prima tappa di elezioni, è Barack Obama, una candidatura improvvisata pochi mesi fa alla periferia del partito che è riuscita a radicarsi in ambito nazionale con grande efficacia grazie alla mobilitazione di massa di giovani studenti e indipendenti d’ogni razza, d’ogni credo e d’ogni tradizione, affratellati dal carisma personale e dal messaggio idealista e unificante del senatore.
Appena concluse le primarie del New Hampshire, uno dei sindacati più influenti che fa riferimento alle lavanderie e ai lavoratori di alberghi e casinò degli Usa - the Unit Here, mezzo milione di iscritti - ha dato il proprio appoggio alla sua candidatura. Il discorso di Obama, tenuto alla mezzanotte dell’8 gennaio per ringraziare chi l’aveva sostenuto nel New Hampshire, ha toccato anche lo scottante tema - motivo di divisioni - della guerra in Iraq e riaffermato che le truppe dovrebbero tornare a casa quanto prima. Ma ha rappresentato, soprattutto, una nuova chiamata all’unità, al di là delle differenze partitiche, etniche o religiose, per dare battaglia alla povertà, alla crisi economica, al terrorismo, per instaurare un’assicurazione sanitaria estesa a tutti e per difendere l’ambiente.

Obama rifugge dai cliché e dai luoghi comuni del linguaggio politico, trasmette convinzione, freschezza, sentimenti e quell’ingenuità che è, a volte, bersaglio dello scherno di quanti sono convinti che il «sogno americano» sia proprio come le lacrime e il mento tremolante della signora Clinton: solo un’invenzione dei creativi della pubblicità. Non lo è. Esiste un «sogno americano» che vive nelle origini stesse degli Stati Uniti come terra di libertà, di lavoro, di sovranità individuale e non di caste, in cui legge e morale si confondono al fine di garantire il bene comune all’interno della convivenza nella diversità e il continuo stimolo all’iniziativa e alla fantasia del cittadino. Questo sogno ha avuto stagioni di recessione e traumi, ma è sempre tornato.
E’ quello che sta dietro i grandi episodi della storia americana, il prodigioso sviluppo industriale e scientifico, l’accettazione e l’integrazione di decine di milioni di immigrati d’ogni tradizione e cultura, il riformismo liberale che ha profonde radici nella società, la campagna in favore dei diritti civili, la lotta contro il fascismo e il nazismo nelle due guerre mondiali e la difesa del mondo occidentale dal totalitarismo negli anni della guerra fredda. Qualcosa di tutto ciò s’affaccia nella figura di questo figlio d’un africano e d’una bianca del Kansas d’origine nordica che, grazie al proprio talento, ha studiato nella migliore università degli Stati Uniti, Harvard, (proprio come Michelle, sua moglie) e, dopo aver conseguito un’eccellente formazione, invece di andare a farsi ricco in un grande studio di avvocati a New York o tra gli executive d’una multinazionale, ha preferito seppellirsi per dieci anni nei quartieri più miserabili di Chicago, lavorando per gli emarginati e i senzalavoro con l’intento d’offrire loro le risorse politiche e culturali per farli uscire dalla povertà.

Il senatore Obama è il primo dirigente di colore degli Usa che ha toccato, contemporaneamente, il cuore dei bianchi, dei neri e degli ispanici con un linguaggio che non si richiama mai alla propria condizione razziale. Nelle sue interviste brillano per la loro assenza sia il vittimismo, sia il razzismo ed è costante il richiamo a superare le barriere artificiali alzate dalle ideologie, dal razzialismo (da non confondere con il razzismo benché sia da esso contaminato) e dal femminismo, appoggiandosi ai valori superiori di libertà, giustizia, legalità e opportunità, educazione e sicurezza per tutti, senza eccezioni. Si tratta, indubbiamente, di idee semplici, generali, ma che hanno fatto vibrare milioni di nordamericani, ricordando loro, di colpo, che la politica può essere qualcosa di più generoso e di più sincero rispetto alla versione che di essa danno i politici di professione.

D’altro lato, l’immenso appeal che egli suscita è determinato dall’insensata sincerità con cui ha messo a nudo la propria vita nella sua autobiografia e nella sua campagna elettorale. La scorsa notte i commentatori della Cnn dicevano che il clan Clinton aveva già pronta una devastante guerra sporca contro Obama. Ma di quali peccatucci veniali o mortali potrebbero accusarlo che lui non abbia già riconosciuto, avvantaggiandosi, così, sui propri detrattori? I nordamericani sanno perfettamente chi è Obama: da dove viene, che cosa ha fatto, sino ad ora, della sua vita, gli errori che ha commesso - le droghe che hanno segnato la sua generazione, per esempio - e hanno tratto la conclusione che in questo bilancio prevalgano gli aspetti positivi. Per questo si sono mobilitati trasformando in realtà qualcosa che solo pochi mesi or sono era impossibile. Dopo quanto è successo in Iowa e nel New Hampshire, a meno d’una tragedia imponderabile - un attentato terrorista, per esempio - la possibilità che Barack Obama sia il primo presidente nero degli Usa non è una chimera, ma una possibilità molto realistica.

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