I nostri quindici miliardi di motivi per non usare sacchetti di plastica
Il primo è legato al cattivo uso: lo shopper è leggero, non costa quasi niente, serve a portare tante cose e liberarsene non è una perdita economica. Purtroppo è una grande perdita ambientale: una volta abbandonati in campagna o al mare - per incuria, disattenzione, ignoranza - i sacchetti di plastica inquinano e deturpano il paesaggio per decenni o secoli.
Ma c'è anche un problema legato a un uso apparentemente corretto. Anche chi evita accuratamente di lasciare in giro i sacchetti, che però continua a comprare a ritmo forsennato ogni volta che fa la spesa, si rende responsabile di un piccolo ma significativo contributo all'aumento dell'effetto serra.
Secondo i calcoli dell'ex presidente della commissione ambiente della Camera, Ermete Realacci, l'uso dei sacchetti di plastica è responsabile dell'emissione di 400 mila tonnellate di anidride carbonica e comporta l'acquisto dell'equivalente di 200 mila tonnellate di gasolio.
Una trappola da cui si uscirà il primo gennaio del 2010 quando entrerà in vigore la norma che impone l'uso di plastica biodegradabile che tra l'altro si produce in Italia su brevetto italiano grazie a un accordo tra la Novamont, un'azienda nata da un centro di ricerca Montedison, e la Coldiretti. Mezzo chilo di mais e un chilo di olio di girasole sono sufficienti per creare circa 100 buste di bioplastica.
Secondo i calcoli della Coldiretti, per sostituire le 300 mila tonnellate di plastica necessarie a produrre i sacchetti usati in un anno in Italia basterebbe coltivare circa 200 mila ettari, un quinto delle terre agricole non utilizzate. Il tutto con un ovvio vantaggio ambientale visto che un chilo di polietilene comporta l'emissione di 2 chili di anidride carbonica, mentre per 1 chilo di bioplastica si rilasciano solo 800 grammi di anidride carbonica.
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