Genova

L’inchiesta serve (anche alle forze dell’ordine)

I fatti del G8
23 luglio 2006
Graziella Mascia
Fonte: Liberazione (http://www.liberazione.it)

Non abbiamo dubbi che la cultura della responsabilità di Luciano Violante garantirà l’approvazione in Commissione affari costituzionali della Camera del progetto di legge per l’istituzione di una commissione di inchiesta sui fatti del G8 di Genova. Ma le sue obiezioni ci interessano. L’inchiesta parlamentare non serve, sostiene il Presidente della commissione: «Non può aggiungere alcun elemento nuovo e non può pronunciarsi neanche su eventuali responsabilità politiche». E’ davvero così?
Quanto abbiamo acquisito in questi cinque anni, attraverso filmati, inchieste giornalistiche, comitato di indagine, ecc. rende inutile tale inchiesta parlamentare? Non credo, la tesi non mi convince. Sono stata relatrice di minoranza in quel comitato di indagine e successivamente chiamata a testimoniare in tribunale per il processo ai poliziotti per le violenze nella scuola Diaz. Ho scritto che una regia internazionale, in quel luglio 2001, voleva colpire un movimento mondiale che iniziava a dar fastidio sul serio ai potenti della terra. Lo penso ancora, ma non basta.

In questi anni, attraverso filmati, testimonianze, ricerche abbiamo esaminato, scandagliato i fatti di quei giorni e ricostruito anche la vicenda più tragica, quella della morte di Carlo Giuliani, archiviata in tribunale. Ma non basta ancora. Non sono chiare le responsabilità politico-istituzionali, non sono chiare le catene di comando delle forze dell’ordine. Non è chiaro, nella gestione delle piazze e di quanto ne è seguito, quanto sia stato casuale, o frutto di errori, e quanto scelta premeditata. E non basta, anzi, è a mio avviso un errore, ritenere che le cose sono andate così perché i fascisti erano andati al governo e Fini dirigeva le operazioni dalla caserma di San Giuliano.

La nostra considerazione di carabinieri e polizia ci fa dire che essi hanno professionalità e autonomia sufficienti per non farsi dirigere dai politici. Ma anche per questo consideriamo non archiviabili quelle giornate. Vogliamo capire cosa ha funzionato e cosa no, nel bene e nel male; se è vero che la strategia non ha funzionato e perciò sono stati commessi errori, come qualcuno ha sostenuto; o se - anche escludendo la tesi della premeditazione - l’essere andati sopra le righe era il rischio insito nella strategia stessa, quand’anche volessimo distinguere e tenere separate le responsabilità personali da quelle collettive negli abusi e nelle violenze perpetrate sui manifestanti.

La preoccupazione di Luciano Violante sembra essere soprattutto quella di una condanna generalizzata e totale delle forze dell’ordine. Personalmente ritengo che questo rischio sia in campo se non si farà chiarezza su fatti e responsabilità.

C’è stato tutto il tempo, in questi cinque anni, perché si svolgessero indagini amministrative interne, perché dal ministero dell’Interno si andasse ad una verifica seria.
Si poteva mettere mano alla formazione del personale, che nella preparazione del vertice fu affidata a sceriffi di Los Angeles. Ci si poteva interrogare sulla cultura che attraversa tutti i corpi presenti a Genova e che alla Diaz come a Bolzaneto, oltre alle botte, hanno infierito sui manifestanti con insulti e punizioni allusivi al sesso ed esibendo orgogli fascistizzanti. Si poteva approfittare di questo tempo per ribadire che le forze dell’ordine rispondono solo alla e della Costituzione, e che perciò non possono essere piegate al colore dei governi. Si poteva riflettere sulla riforma dell’81, sui processi di sindacalizzazione, o smilitarizzazione, o democratizzazione di questi decenni.

Non si è fatto nulla di tutto ciò. Anzi, i responsabili di polizia presenti a Genova sono stati promossi e il clima che si continua a respirare è quello della copertura a prescindere, quella dell’impunità. Siamo certi che così si difendono la dignità e la credibilità collettiva degli apparati dello Stato? Che questo sia l’interesse di una democrazia? Nessuno di noi è interessato a gettar fango sugli apparati, perché significherebbe gettar fango sulle istituzioni, che invece ci stanno molto a cuore.

Per questo vogliamo capire. Forse, indagando su Genova, avremo modo di sapere, al di là delle responsabilità individuali, quanto dei fatti avvenuti lì sono da attribuire alla contingenza di una strategia di quel momento, di una fase precisa della globalizzazione capitalista, e quanto invece, insieme a questo, ci derivi da una eredità mai considerata fino in fondo. Da un processo di democratizzazione delle forze dell’ordine, dopo la liberazione, che non si è mai realizzato veramente, che non si è interrogato su autoritarismi, gerarchie e culture “machiste”, che sopravvivono alle evoluzioni di questi decenni, che nulla hanno a che fare con la necessità di garantire l’ordine pubblico - che presuppone invece la garanzia del diritti - e con cui prima o poi bisogna fare i conti.

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