Dino Frisullo

Serhildan!

La lunga intifada kurda in Turchia

Copertina del libro

Prefazione di Dino Frisullo – Roma, gennaio 2003

Nel momento in cui l’Unione europea segue a ruota il Dipartimento di Stato Usa nell’insensata criminalizzazione del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk, oggi Kadek) e quindi della storia e della memoria d’un popolo, questo libro intende spiegare, da un punto di vista consapevolmente “partigiano” ma attraverso il ricorso a fonti non parziali, come e perché l’ultimo dei grandi movimenti di liberazione nazionale del XX secolo si affermò con fulminea rapidità nel giro d’un ventennio, giunse ad elaborare ed avanzare un’ipotesi innovativa di soluzione politica della questione kurda, si affacciò di slancio sulla scena politico-diplomatica europea, mise in gioco la vita del suo leader carismatico per evitare al Medio oriente e al mondo una guerra devastante, e decise quindi di tentare l’”assalto al cielo” a Roma nell’inverno del 1998.
Negli eventi degli anni ’90 in Turchia e nel Kurdistan si può leggere l’anticipazione di molti dei processi che oggi segnano drammaticamente il Nuovo ordine mondiale. Una risposta diversa dell’Italia e dell’Europa - dei governanti, ma anche delle forze politiche e sociali d’Italia e d’Europa - avrebbe forse consentito di scrivere un’altra storia, non solo per i kurdi e non solo in Turchia.

La narrazione della prima parte s’interrompe dunque, per scelta, alla data fatidica del 12 novembre 1998, quando decine di milioni di kurdi seppero Abdullah Ocalan “arrestato” ma richiedente asilo e pace a Fiumicino. Ciò che ne è seguito, il grande tradimento delle speranze d’un popolo, delle promesse d’una intera classe politica e degli stessi princìpi fondanti dell’Europa che si vuole democratica, e poi la grande rimozione della questione kurda dopo l’epilogo del “caso Ocalan”, merita una trattazione specifica che rinviamo ad un prossimo volume.
Per l’elaborazione di questa parte del libro, che con criterio rigorosamente cronologico ripercorre gli eventi dall’inizio del ’96 al novembre 1998, sono debitore alla preziosa documentazione lasciata dietro di sè, spesso con coraggio e sempre con onestà intellettuale, dall’allora corrispondente dell’Ansa da Ankara, Giulio Gelibter. Alcune linee interpretative trovano riscontro nell’ottimo testo di Laura Schrader “Il diritto di esistere” (Torino 2000). Mi corre qui l’obbligo di scusarmi per la necessità di parlare anche di me stesso, in terza persona, per la piccola parte che ebbi negli eventi del 1997-98.
Per rendere il contesto nei giorni della presenza di Abdullah Ocalan a Roma e del suo sequestro, ho poi riproposto il mio testo “Quaranta milioni di sguardi”, scritto a caldo nei giorni dell’ira e contenuto in prima stesura nel volume “Se questa è Europa” (Roma 1999), nonché alcuni stralci liberamente tratti e riadattati dall’autobiografia di Abdullah Ocalan, l’unica finora uscita in lingua europea, raccolta dall’intellettuale kurdo Namo Aziz a Roma nel 1999 e pubblicata in Germania e poi nel 2000 in Italia, nella mia traduzione per le edizioni del Manifesto, come appendice al suo libro “Kurdistan, storia di un popolo e della sua lotta”.

I tre ampi saggi che formano la seconda parte di questo libro sono inediti in Italia, se si eccettua qualche stralcio tradotto nell’edizione italiana della rivista Kurdistan Report. Pubblicati per la prima volta nel n. 1-2 del 1996 della rassegna edita negli Usa The International Journal of Kurdish Studies, furono poi ripubblicati nel giugno dello stesso anno in Gran Bretagna sotto il titolo "Democracy at Gunpoint" (Democrazia nel mirino) come supplemento dell’Economist a cura del Gruppo sui diritti umani del Parlamento inglese coordinato da Lord Eric Avebury, uno dei tre autori.
La loro pubblicazione in italiano, a sei anni di distanza, non ha soltanto grande valore storico, nella quasi totale assenza nel nostro paese di trattazioni organiche della storia recente della Turchia e del movimento kurdo. Con ampi excursus retrospettivi sull’intero Novecento turco, Lord Avebury, Imset e Muller si concentrano rispettivamente sulla politica kurda della Turchia, sull’evoluzione del Pkk e sugli assetti giuridici e istituzionali dello stato turco nel quindicennio cruciale che va dalla metà degli anni ’80 a tutto il 1995.
Sono gli anni in cui, costretto alla clandestinità dal colpo di stato militare del 1980, il Pkk lancia la sua lotta politico-militare per i diritti dei kurdi ed assume dimensioni e rappresentatività di massa ben oltre i confini dell’Anatolia. E sono gli anni in cui la risposta del regime turco assume quei connotati di organico terrorismo di stato che hanno prodotto un’autentica e consapevolmente programmata pulizia etnica, un immenso esodo che dura tuttora e un duraturo imbarbarimento della legislazione, della politica e dei comportamenti degli apparati repressivi.
E’ in quegli anni che, al bivio fra riconoscimento e criminalizzazione, fra dialogo e massacro, statisti come Mesut Yilmaz, Suleyman Demirel, Tansu Ciller e Bulent Ecevit hanno scelto di precipitare la Turchia ed i suoi popoli nel baratro della “guerra sporca”, delle torture e delle persecuzioni. L’alternativa, come dimostra l’analisi di Avebury e in particolare di Muller, era una rivoluzione democratica e pluralista dello stato etno-nazionalista turco ereditato dal kemalismo. E’ la stessa alternativa che oggi si ripropone alla Turchia, sulla soglia dell’Unione europea.
Il valore di questi saggi è anche nel loro non essere “di parte”, se non dalla parte dell’impegno coerente per i diritti umani condiviso dai tre autori. Difatti il testo di Imset “Il Pkk: terrorismo o lotta di liberazione?”, il più ampio e forse il più scottante, non risparmia critiche agli eccessi dei guerriglieri nella fase nascente della lotta armata (del resto esplicitate in forma autocritica anche dallo stesso Ocalan), prima che il Pkk, ma non Ankara, decidesse nel ’90 di far propri nella sua lotta i criteri di jus in bello sanciti a Ginevra. Ma le conclusioni della ricca analisi di Imset sono chiarissime: “Il conflitto attuale non può trovare soluzione senza una forma di negoziazione con il Pkk” e “c’è davvero di che preoccuparsi per la presenza, in Turchia, di circoli influenti pronti a giocare col fuoco pur di sbarrare al Pkk la strada della politica legale e della diplomazia”. C’è di che preoccuparsi e indignarsi, vorremmo aggiungere, per la colpevole cecità dell’Europa.
Infatti un anno dopo la pubblicazione negli Usa e in Gran Bretagna di questi contributi, come si narra nella prima parte, un “Treno della Pace” partì dall’Europa verso la Turchia. Due anni dopo Abdullah Ocalan partì verso l’Europa. Tre anni dopo, il processo di Imrali e la decisione del Pkk di mettere da parte la lotta armata e di proporre unilateralmente un dialogo ostinatamente rifiutato dal regime. Sei anni dopo, in tempi di guerra globale e “preventiva”, l’Unione europea ha deciso di rispondere al quesito posto da Imset catalogando come “terrorismo” il Pkk e la sua storia. Sono cambiati i termini del problema ma non la sua sostanza, di cui i tre autori sviscerano le radici in anni cruciali.
Rispetto al testo di Muller sulla legislazione turca, purtroppo gli aggiornamenti da fare non sono molti. L’abolizione dei giudici militari ma non dei tribunali speciali di cui facevano parte, la recente e precaria (tanto più in tempo di guerra) abrogazione dello stato d’emergenza, la parziale apertura legislativa sulla pena di morte, sull’inserimento dalla porta di servizio della lingua kurda nelle scuole private e in televisione e su alcuni reati di opinione, sono tutte misure che sarebbe ingeneroso definire puramente “cosmetiche”, ma che intaccano appena il poderoso apparato repressivo legislativo, giudiziario, militare e carcerario qui analizzato.
Nella traduzione dall’inglese, rispettando l’originale, ho operato gli adattamenti temporali necessari a rendere oggi leggibili testi pubblicati a ridosso degli avvenimenti narrati. Di questo sono responsabile, così come del taglio, per ragioni di leggibilità e di spazio, delle centinaia di note non solo bibliografiche e legislative ma anche esplicative che corredavano ciascuno dei tre saggi. Gli studiosi che ne avessero bisogno per approfondire l’argomento possono scrivere all’editore o al curatore italiano, o chiedere direttamente l’originale inglese a: Eric Avebury, Chairman of the Parliamentary Human Rights Group, House of Lords, London SW1A OAA, GB.

La terza parte di questo libro non aspira all’organicità delle prime due. Si limita ad estrarre dal quadriennio 1999-2002 alcuni documenti utili al lettore per riflettere su una storia tuttora in corso: dalla prima esposizione della nuova strategia di pace da parte del Consiglio di presidenza del Pkk, alle interviste a due donne diversamente protagoniste della “fase di Imrali”, alla storica “piattaforma di Diyarbakir”, alla vicenda emblematica di Leyla Zana, fino agli interventi di Hevi Dilara e agli appelli che segnano, con qualche ritardo, il pieno “riconoscimento” del movimento kurdo da parte delle sinistre e dei movimenti in Italia. Una mia postfazione tenta un primo e parziale bilancio d’una realtà in movimento.

La quarta parte è poesia. Poesia civile. Come la Resistenza italiana ed europea, l’ormai ventennale epopea guerrigliera kurda ha i suoi cantori. Nelle lunghe soste al riparo di qualche anfratto o durante le veglie notturne di guardia, non c’era combattente che non affidasse ad un quadernetto i suoi pensieri in versi o in prosa. Lo stesso vale, a maggior ragione, per i militanti sepolti nelle carceri: poesie e diari sono i beni difesi più strenuamente dalla violenza distruttrice delle perquisizioni nelle celle dei “politici”. Gran parte di questo materiale naturalmente è andato perduto, ma molti ex guerriglieri o ex detenuti hanno portato con sé le loro testimonianze, che ora nell’esilio europeo vedono la luce in decine di libri ed opuscoli.
In Italia questo materiale è totalmente inedito, se si eccettuano le poesie di detenuti politici kurdi e turchi degli anni ’80 reperite fortunosamente in Turchia in un libro ingiallito e clandestino ed incluse nel mio volume “La pietra del ritorno” (Cuneo 2000). Da quella pubblicazione sono tratte le prime tre poesie qui riprodotte.
Le altre poesie, scritte da guerriglieri, non solo sono inedite in Italia ma spesso di autore ignoto, perché gli autori preferivano ricorrere a pseudonimi o nomi di battaglia. In questa forma sono state raccolte e pubblicate a Colonia dall'editrice kurda Mezopotamya, in lingua turca, sotto il titolo “Bu yurek daglar asar - Gerilla Siirleri” (Questo cuore scavalca le montagne - Poesie di guerriglia). Della fedeltà agli originali di queste traduzioni, come delle precedenti, porto una responsabilità raddoppiata dal fatto che di alcuni degli autori, caduti in montagna, questi versi sono l’unica testimonianza che rimane.
C’è un’altra forma di testimonianza: il racconto di sé. Chiudono il volume due delle tante storie di vite integre e spezzate. Due esuli: Bawer, “uno come milioni”, e Shergo, uno dei fondatori del Pkk, metà dei suoi anni trascorsi fra carcere duro e guerriglia in montagna. Due storie di vita che spiegano forse meglio di molti testi storici l’evoluzione del Pkk, nel giro di pochi anni, da piccolo gruppo studentesco ad organizzazione viva d’un popolo intero.



Quarta di copertina

Recensione di Anna Crotone

In un momento in cui torna violentemente d’attualità la questione kurda esce, a colmare un colpevole vuoto d'analisi in Italia, un testo di storia militante dell’ultimo grande movimento di liberazione del XX secolo, formalmente legato all’impostazione terzinternazionalista eppure così espressivo, nella sua drammatica ricerca di spazio e parola, della realtà seguente slla caduta del muro di Berlino: il movimento kurdo operante in Turchia (e non solo) denominato per oltre vent'anni Pkk, Partito dei lavoratori del Kurdistan, ed oggi Kadek, Movimento per la pace e la democrazia nel Kurdistan.

Il titolo del libro è la parola bandita che tutti i kurdi conoscono e custodiscono: Serhildàn, che sta letteralmente per “levare la testa”. Un po’ come la parola araba Intifada. L’autore è Dino Frisullo, pubblicista e attivista per i diritti umani, che qui rielabora la sua ricca esperienza sulla causa kurda. Un'esperienza che lo vide tra l’altro ossservatore privilegiato dell’evento che per la prima volta impose alla ribalta internazionale la lotta di liberazione del Kurdistan, e su cui non casualmente si chiude la parte strettamente storica del volume: l’arrivo di Ocalan in Italia, nel novembre del '98, e la sua richiesta di asilo politico.

L’Italia fu il teatro principale della vicenda, e tutti noi fummo partecipi di un passaggio storico in cui s'intravide nella presenza di Ocalan a Roma e nella sua offerta di negoziato una risposta possibile all’istanza di liberazione del popolo kurdo e l'occasione per una svolta della politica estera italiana ed europea. Così non fu, e la vergogna di ciò che allora avvenne e seguì sarà argomento di un prossimo testo. Ma anche in questo volume ne resta più d’una traccia nella sezione dedicata alle testimonianze su questi quattro anni terribili, con una proposta di pace rilanciata e praticata senza cedere le armi da un popolo il cui leader carismatico parla ormai, quando parla, attraverso i suoi avvocati dalla cella della morte ed oggi del carcere a vita.

Ma il valore del libro è nella sua documentazione storica. I saggi inediti di Lord Eric Avebury, Ismet G. Imset e Marc Muller operano una dettagliata ricostruzione del cruciale quindicennio 1980-1995, rispettivamente sui versanti della politica kurda della Turchia, dell’evoluzione del Pkk e degli assetti giuridico-istituzionali dello Stato turco. Contro la trama del “terrorismo di Stato” allora scelto come risposta e mai dismesso dal regime di Ankara, si coglie la straordinaria e rapida evoluzione di un ristretto movimento studentesco in movimento proletario di identità e di resistenza, con il valore, i limiti e gli eccessi delle insorgenze contadine, ed infine in movimento complesso, militante ma popolare e di classe, con forti connotazioni di rivoluzione culturale e un protagonismo femminile quasi inedito in Medio oriente.. Un movimento portatore d’una rivendicazione nazionale non solo lontana anni luce dal revanscismo nazionalista resuscitato nelle guerre di fine secolo dai Balcani al Caucaso all’Africa centrale, ma che si lascia gradualmente alle spalle anche il paradigma classico della lotta di liberazione nazionale, pur operando sulle montagne di un paese bastione dell’imperialismo Usa e punto di snodo fra centro e periferia metropolitana.

Il prolungamento proposto da Frisullo della narrazione storica fino al ’98 salda all’oggi questa storia tutt’altro che conclusa. Fra il ’95 e il ’98 infatti nasce l’asse turco-israeliano e la destra israeliana offre alla Turchia la tecnologia e gli armamenti atti ad arginare la crescita esponenziale della guerriglia, in cambio del sostegno logistico turco alla scelta di rottura con i palestinesi e di guerra latente o aperta al mondo arabo.. E’ una scelta che non nasce a Tel Aviv né ad Ankara ma a Washington, dove si pongono allora le basi per la dottrina della guerra permanente e preventiva. Ma per riplasmare la geopolitica dall’Adriatico al Caspio va l’azzerata l’altra grande riserva di democrazia, con i palestinesi, nell’area ed anzi proprio al suo centro: l’insorgenza del popolo kurdo. Si ricorda di rado che Ocalan decise di lasciare la Siria quando già, per averlo ma anche per piegare uno degli antagonisti arabi cinque anni prima di Iraqi Freedom, tuonavano i cannoni turchi e rullavano i bombardieri verso Damasco.

Chiudono il volume pagine che rappresentano un’incursione nel vissuto della componente più “scomoda” della lotta di liberazione, in un’epoca in cui tutte le lotte si vogliono in via di principio disarmate e tutti i combattenti sono dipinti (inclusi ormai quelli del Pkk, nelle liste di Washington e Bruxelles) come terroristi sanguinari: l’avanguardia di partito, e in particolare la guerriglia. Le storie del profugo Bawer e del partigiano Shergo, proletari kurdi destinati alla fame e allo sfruttamento, proiettati con migliaia di altri sul proscenio della storia, e le poesie lasciate da molti altri ed altre combattenti nelle pause fra una veglia e una marcia o nelle celle della tortura, restituiscono l’umanità kurda nella sua interezza di vita e militanza, quando di necessità “esistere è resistere”.

Ben curato nella ricchezza di note e informazioni e accompagnato dalle biografie degli autori, da una completa bibliografia in italiano e da un utile repertorio dei nomi, “Serhildan!” è edito dall’editrice napoletana Città del Sole, come primo volume d’una collana internazionale su “storia, cultura, condizione e lotta dei popoli e dei migranti” dal titolo “Rosso: i colori del mondo”.

Note: Distribuito nelle principali librerie al prezzo di 16 Euro per 320 pagine, può essere ordinato per una distribuzione militante al prezzo di 10 Euro a copia (con pagamento in contrassegno più spese di spedizione per un minimo 10 copie) presso la libreria Jamm’ di Napoli, e-mail jammnapoli@libero.it , fax 081.5529783.
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