Attilio Lolini, “Notizie dalla necropoli”, poesie 1974-2004

“Mi ero irrimediabilmente stancato delle poesie scritte per le carriere di poeta e per vedere il proprio nome stampato nelle recensioni; e mi ero altrettanto irrimediabilmente persuaso che nel nostro tempo la poesia, se è veramente tale, richiede un prezzo sempre più alto in termini di vita. Che non è una carriera ma, al contrario, un buttarsi via, una dissipazione di sé: cosa che Attilio sa fare benissimo…”. Così Sebastiano Vassalli (nella postfazione) sull’ultimo libro del poeta Attilio Lolini, “Notizie dalla necropoli”, una raccolta di scritti più o meno “clandestini” che va dal 1974 al 2003 edita da Einaudi. Quindi: massimo rispetto e attenzione per Vassalli che dice cose vere e condivisibili, tranne una che cercherò di spiegare in coda. Certo, la poesia non può essere un cammeo da esibire sul vestito buono, né un esercizio narcisistico o di stile. Tantomeno un ghetto nauseabondo dove accademici e critici si parlano addosso, rinnovando solo a sé stessi spazi e opportunità. La poesia è, credo, e lo dico da lettore e da giornalista, un luogo alto dove qualcuno è arrivato prima di noi e dove quel qualcuno ha saputo cogliere tra le righe il presente e anticipare così una fetta di futuro prossimo venturo. Regalandocelo senza cauzione né ritorno. Un futuro nero come la pece che però ogni tanto lascia spazio ad una piccola speranza o a un invettiva o a una lacrima. Ma soprattutto ci accompagna, senza pedaggi esosi e ossessive telepromozioni, nei luoghi e nei tempi che verranno. Partendo sempre, come dicevo, dall’adesso. Da quei “giorni allineati” che “orlano la notte / che splende d’una luce / che abbaglia / credemmo in tutto / poi in nulla /perdonami e sopportami”.
Quasi le consegna in punta di penna –Lolini- le sue scuse. E’ uomo appartato ma non sepolto, un poeta civile come ce ne sono pochi ormai in patria: colto, sensibile, attento, sarcastico. E per questo (e qui mi permetto l’appunto al maestro Vassalli sulla “dissipazione di sé”) non fragile ma al contrario scientemente votato alla critica radicale, anche sperimentata sulla propria pelle.
Soffrono i poeti, soffrono e gridano a volte:” Oggi non so / se sto bene o male /ma sono sbocciati / iris di plastica / come accade spesso / di mattina / quando incontro / la signora / anfetamina .”. Oppure ci guardano dall’alto verso il nostro basso rasoterra:” …vivo rincantucciato / come non fossi nato / ombre curve e sbandate: / dico a quelli che passano / ehi, voi chi siete / dove andate?”. Essiccati, noi non poeti, dalle nostre antipatie e false morali, dai nostri baccanali quotidiani, dall’ economia globale che impoverisce e da una politica sorda cieca arrogante. Da mille guerre preventive. E allora “ le gazzette, i tigì / ci dicono chi siamo / mentre mettiamo / nel computer / canti e comizi / altezze e precipizi”.
Ecco perché, forse, Lolini non fa dissipazione di sé. Piuttosto ci provoca, a volte ci frusta o ci irride, senza soffrirne troppo. Con la sua vita e con la sua poesia. Che sono poi la stessa cosa:” … guardo il cielo alla tv / l’inviato speciale / la madre e il figlio / di quattro salti in padella / coraggio amici insonni: / la notte si fa bella “. s.m.

Note: Giulio Einaudi Editore, pp. 189, euro 14.00
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