Cronache a ritmo di jazz

La raccolta «Tu paria dai mille occhi» di Marisa Zoni
Attilio Lolini
Fonte: Il Manifesto - 03 marzo 2005

Con una breve, ma significativa prefazione di Vauro, Marisa Zoni pubblica un volume di poesie tra i suoi migliori, titolato Tu paria dai mille occhi (Edizioni Pendragon, € 6) che è anche l'ultimo capitolo di una biografia incamminata lungo tutta la vita della scrittrice bolognese amica di Sereni, Volponi, Roversi. La sua è una poesia civile ma assai lontana da ogni retorica, anzi immersa in scorci e paesaggi di francescana semplicità, contrassegnata da versi brevi, rapidi, che «narrano» di guerre lontane e vicine, di «battaglie» politiche più perse che vinte, di sconfitte e delusioni che il tempo ordina e poi disperde. Ma la poesia di Zoni si anima e si realizza soprattutto quando «contatta» le piccole cose, ciò che chiamiamo inezie, come la giunchiglia aperta in un sacchetto di plastica della coop che le faceva da serra. Non a caso il libro precedente della Zoni si ispirava al ritmo del tamburo, e anche qui potrebbe dirsi jazzistico, scandito com'è da parole infilate una dietro l'altra e, come scrisse Volponi, strillate e tese a formare variegate collanine se non ci fosse, come c'è, l'ordine di un canto sorretto da regole e da una propria sintassi.

Lo scenario di questa raccolta è attraversato da «proiezioni» di guerre combattute in Palestina, in Afghanistan, in Iraq, dai bambini morti e feriti che «hanno occhi sfaldati» ma anche dalla desolazione delle periferie urbane dove le commesse dell'ipercoop fanno la muffa / come gendarmi / la quantità / di cibi che transitano / sul tapis roulant / le costringe a / lente gestioni / di spazio. La «cronaca» veritiera degli ultimi dieci anni scorre dalla fine del '900 all'inizio del nuovo millennio con alla ribalta l'eterna mediocrità dei suoi capi e capetti, il crollo dei sogni di una gioventù presto mutata in una sconsolante maturità e poi in una vecchiaia piena di rimorsi e lamenti. Cosa rispondere a tale grigiore?

La poesia, che nessuno legge e considera, resta ancora una specie di zona protetta. Il suo totale isolamento le permette di dire cose che da altre parti non sarebbero tollerate anche se i poeti ufficiali da tempo si sono messi a disposizione dei rituali accademici, e dei premi truccati.

I versi sulla guerra di Marisa Zoni, per la loro forza e incisività, ci dicono di più sui massacri di questi anni che non le cronache, in fondo asettiche, che i media ci propinano fino ad una voluta saturazione. La testimonianza resta dunque assegnata alla parola e all'invenzione, facendo pulizia dei luoghi comuni con i quali la televisione perennemente si alimenta. Così chi è morto non tace ma dobbiamo ascoltare le sue grida e coglierle nel vento. Il panorama proietta un'apocalisse minore; il sole che si alza dal sonno è largo, invecchiato, una specie di fantoccio che non sa cosa fare, sorge, tramonta senza scopo o ragione. E anche la memoria diventa un fossile: La tua voce/ ricarica / i morti innocenti / un filo / di ferro / coi panni controvento / solleva / un polverone / di ricordi.

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