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La storia si ripete: usiamo violenza contro violenza

Perché fingiamo di non capire?

Dopo la lettura del Diario di Etty Hillesum, è inevitabile constatare che la storia nulla ci ha insegnato e che continuiamo a perseguire i nostri interessi seminando violenza e morte. Quanto tempo è necessario per smettere di fingere di non capire?
11 marzo 2004
Santi Greco

Leggere il diario di una persona, le sue riflessioni e confessioni, il racconto delle sue esperienze e dei momenti intimi della sua vita, e poi, ad un tratto, scoprire che quel dialogo personale si interrompe perché chi scrive viene rinchiuso in un campo di concentramento e presto ucciso, è un’esperienza che lascia sconvolti.
Ho letto il Diario di Etty Hillesum; il racconto della sua vita dal 1941 al 1943, le riflessioni che la situazione storica la spingono a fare e la fede in Dio che la aiuta ad andare avanti, senza temere per la sua vita, fino all’ultimo giorno. Ci si ritrova a riflettere su una storia passata, ma che continua a non averci insegnato nulla. Ancora oggi ci sono popoli perseguitati, ancora oggi si combattono guerre.
Quante Etty ci sono nei paesi in cui c’è la guerra? Quante di loro non riusciranno a completare i loro diari e cadranno vittime della violenza? Credo che tutte le donne, ma questo vale anche per gli uomini, racchiudono in se un tesoro di possibilità che nessuno dovrebbe avere il potere di frenare. Invece in nome della nostra giustizia arriviamo a considerare i morti in guerra come dei semplici effetti collaterali, che bisogna tollerare per raggiungere gli scopi che ci si è prefissati. Dove troviamo il coraggio di sopportare che tante vite si spengano? Adducendo deboli giustificazioni che mascheriamo con belle parole fino a farle sembrare reali.
Pensiamo solo alle nostre missioni umanitarie: sono davvero tali? Una vera missione umanitaria è quella in cui si gettano al macero le armi e ci si presenta alle porte di un paese imbracciando strumenti di lavoro con cui aiutare gli altri a sollevarsi dai guai in cui si trovano.
Invece pretendiamo di intervenire in aiuto di un popolo sofferente stringendo in mano strumenti di morte, ai quali diamo il nome gentile di armi di deterrenza, pur sapendo che, anche solo per un errore, potranno stroncare la vita di qualcuno.
Come accaduto negli anni di cui racconta Etty nel suo diario, ancora oggi crediamo di poter far tacere la violenza con altra violenza, di costringere al silenzio chi grida, gridando più forte. Continuiamo a fingere di non capire. Prima o poi verrà fuori un altro diario, scritto da qualcuno che sta vivendo nel cuore di un’altra guerra e sapremo di aver contribuito ad aggiungere dolore a chi già soffre.
Allora, forse, proveremo un po’ di vergogna. Sarebbe meglio se ci vergognassimo prima di seminare altra morte. Invece continuiamo a fingere di non vedere e di non capire.

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