Latina

Nicaragua - Bananeros contaminati dal Nemagón nuovamente in marcia

Sono partiti il 20 maggio ed entreranno a Managua il 1 giugno
24 maggio 2007
Giorgio Trucchi

Bananeros durante la marcia del 2005

La prima volta che sentii parlare del dramma del Nemagón fu nel 1999.
Migliaia di ex lavoratori e lavoratrici del banano colpiti dagli effetti di questo mortale pesticida avevano percorso a piedi i 140 chilometri che separano la città di Chinandega dalla capitale Managua.

Venivano a protestare affinché la Asamblea Nacional approvasse una legge speciale per poter processare le multinazionali che avevano prodotto, commercializzato ed applicato il prodotto incriminato.
Sembrava non avessero paura della morte e nemmeno vergogna di mostrare i loro corpi deformati dalle malattie e di raccontare le loro tristi storie fatte di dolore e sofferenza. Erano disposti a tutto pur di ottenere questa legge e rimasero di fronte al Parlamento fino al raggiungimento del loro obiettivo.

Quell'esempio di lotta sociale e di determinazione per ottenere il riconoscimento dei loro diritti negati, obbligò le istituzioni a inserire il tema del Nemagón e degli effetti dei pesticidi sulla salute umana e sull'ambiente nell'agenda nazionale.
Migliaia di umili contadini obbligarono il Nicaragua ed il mondo intero a guardarsi allo specchio e a riflettere sugli orrori che aveva generato il modello di produzione utilizzato per decadi.
Non si cercava solamente di processare le multinazionali, ma si chiedeva anche allo Stato di riconoscere l'esistenza di un'emergenza nazionale, di accettare la vergogna del suo decennale silenzio e di lavorare per dare risposte effettive e definitive al problema.

La lotta degli ex lavoratori delle bananeras fece il giro del mondo. I loro visi cotti dal sole, la deformazione degli arti, le loro proteste piene di rabbia di fronte all'intransigenza delle multinazionali e delle istituzioni valicarono i confini del Nicaragua ed approdarono in tutti i continenti, insieme a quella capacità di prendersi in giro e ridere del domani, quasi fosse un modo per esorcizzare l'ineluttabile futuro che li aspettava dietro l'angolo.

E dovettero continuare a marciare, di fronte alle manovre di politici accecati da ciò che l'analista politico Ignacio Ramonet chiama il "Pensiero unico" e dalla tragica abitudine di obbedire fedelmente agli ordini impartiti dalla potenza dal Nord.
Ritornarono nel 2002, per difendere la Legge 364 contro le pretese dell'ambasciata nordamericana di farla dichiarare incostituzionale, e nel 2004 affinché lo Stato si facesse carico di questa emergenza nazionale.
Il terreno di fronte alla Asamblea Nacional, dove sorge il monumento al giornalista martire Pedro Joaquín Chamorro, venne ribattezzato "la Ciudadela del Nemagón". La gente cominciò ad avvicinarsi a quelle tende fatte di fogli di plastica nera, a fermarsi per domandare, conoscere le loro storie, condividere momenti e cibo con le migliaia di persone accampate. Managua, poco a poco, iniziò a conoscere il coraggio e l'ostinazione di quella gente de occidente, imparando a convivere con i loro sogni e speranze che, molte volte, si infrangevano contro il muro del disinteresse istituzionale.

L'ultima marcia fu nel 2005 e le diedero il nome di "Marcha sin Retorno".
L'evoluzione della loro lotta li portò ad unirsi con altri settori, come gli ex lavoratori della canna da zucchero ammalati di Insufficienza Renale Cronica (IRC) ed a chiedere sostegno alle organizzazioni della società civile nazionale ed internazionale.
Insieme presentarono alle istituzioni una lunga lista di richieste, che non abbracciava solo l'aspetto sociale e sanitario, bensì tematiche molto più ampie, come la riforestazione, la proibizione di una lunga lista di pesticidi altamente tossici, le analisi delle acque inquinate della zona occidentale del paese, progetti produttivi, il controllo degli incendi nelle piantagioni di canna da zucchero, l'implementazione di un modello produttivo sostenibile.
Furono otto mesi di lotta e di intense negoziazioni con il governo e la Asamblea Nacional, che sfociarono nella firma di accordi con entrambe le istituzioni, non senza aver alla fine lasciato una lunga sequela di morte ed acutizzazione delle malattie.

Non tutto fu però positivo. Con il passare degli anni, i bananeros si divisero in molte fazioni, in un vortice di associazioni, organizzazioni, studi legali, leader sindacali, politici e pseudo leader popolari. La divisione fu, senza ombra di dubbio, uno degli elementi più negativi e dannosi di questa esperienza di lotta sociale.
La Asociación de Trabajadores y ex Trabajadores Afectados por el Nemagón y Fumazone (Asotraexdan), presieduta da Victorino Espinales, continuò ad essere protagonista delle marce e delle proteste, decidendo alla fine di abbandonare la via dei processi contro le multinazionali per mezzo di avvocati e cercando una negoziazione diretta con l'impresa Dole.
Altri gruppi, ognuno dei quali con i propri leader ed avvocati nazionali e nordamericani, si riunirono formando il Grupo de los Ochos e continuarono con il progetto iniziale delle denunce contro le multinazionali, rifiutando le proteste pubbliche e le marce.
Le istituzioni e le multinazionali stesse, approfittarono di questa situazione di confusione per seminare zizzania ed alla fine, le accuse, le denunce e le offese tra i diversi gruppi, oltre a una certa mancanza di chiarezza su una serie di decisioni e di modalità di lavoro, gettarono pesanti ombre sullo spirito della lotta iniziale, debilitandola e creando sconcerto anche tra la gente che, con entusiasmo, aveva dimostrato il proprio sostegno e la propria solidarietà.

La nuova marcia
Lo scorso 20 maggio, i bananeros della Asotraexdan hanno deciso di intraprendere la loro quinta marcia verso Managua, questa volta per reclamare al nuovo governo il rispetto degli accordi firmati dall'amministrazione Bolaños nel 2005 e denunciando che era stata sospesa l'assistenza sanitaria prioritaria definita in questi accordi. Alle richieste iniziali del 2005, i bananeros dovrebbero presentare altri punti che per il momento si ignorano.
Una volta ancora, questo gruppo di ammalati marcerà con i propri sacchi in spalla e con i teli di plastica nera sotto il braccio, pronti ad affrontare la pioggia che sta cadendo copiosa in gran parte del paese.

Secondo Victorino Espinales, questo è l'unico modo possibile per far sì che il governo li ascolti, dato che hanno già inviato tre lettere al presidente Ortega senza ricevere risposta. Nelle lettere si chiedeva al presidente di formare nuovamente una Commissione Interistituzionale ed iniziare le negoziazioni.

È trascorso più di un anno e mezzo dalla partenza dei bananeros verso Chinandega e gli accordi del 2005 sono lettera morta.
Ora i bananeros stanno tornando, ma molte delle condizioni iniziali sono cambiate.

Dalla prima marcia del 1999 sono morte quasi 1.700 persone (196 da quando i bananeros sono tornati a casa in ottobre del 2005) ed altre 1.600 non potranno partecipare alla nuova marcia per il loro delicato stato di salute.
La stessa drammatica situazione viene denunciata dagli altri gruppi di bananeros e si ha sempre più l'impressione di essere di fronte a una vera e propria ecatombe.
A Managua si attende l'arrivo di circa 1.500 persone, ma al momento di iniziare la marcia se ne contavano poco più di 300.
Si è anche rotta l'unità tra i settori che furono protagonisti della "Marcha sin Retorno". I cañeros di ANAIRC non faranno parte di questa nuova protesta per divergenze con Asotraexdan.
Bisognerà inoltre vedere quali saranno le reazioni della popolazione, della società civile e anche del nuovo governo, di fronte a questa nuova ed inaspettata decisione di ritornare a Managua ed allo scambio di accuse che è già iniziato tra i vari leader, dirigenti sindacali ed avvocati dei differenti gruppi.
La polemica, ancora una volta, potrebbe offuscare il vero significato di una lotta che ha attraversato le frontiere del Nicaragua ed è stata un importante esempio di resistenza a livello mondiale.

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