n. 9 - 1° giugno 2006

LA PACE SI FA IN DUE

Venezia, conferenza pubblica con il giornalista israeliano Zvi Shuldiner.
Di fronte ad un perplesso amico Zvi, i giornalisti Rai invitati a partecipare con lui ad una riflessione sul possibile contributo dei media alla pace, asseriscono uno dopo l'altro: “ Certo che in questo momento è solo Israele che sta facendo qualcosa per la pace!”

Cari amici di Bocchescucite, abbiamo poi a lungo potuto parlare con Zvi, che ci ha raccontato di una situazione complessa in Israele e Palestina, del rischio di semplificare che spesso si abbatte sulla voglia di capire e di conoscere… ma che ci ha ancora una volta confermato con forza, come aveva fatto in un articolo pubblicato qualche giorno prima, dal titolo inequivocabile “Nuovo governo, vecchia politica”, che “L'unilateralità si è rafforzata con la vittoria elettorale di Hamas sull'Autorità Palestinese. La democrazia tanto amata, elogiata e rispettata da Israele e dall'Occidente improvvisamente sparisce e l'assedio minaccia di creare una vera tragedia. Sì, Hamas deve dire di sì agli accordi e deve accettare il diritto di esistere di Israele, ma la forma migliore per arrivare a questo risultato è attraverso i negoziati, che devono essere iniziati urgentemente invece di aggravare l'assedio per far cadere il governo palestinese. Se la campagna israeliano-americana portasse alla caduta del governo legittimamente eletto di Hamas, la frammentazione e l'esplosione conseguenti produrrebbero scontri sanguinosi, e chi sostiene il contrario continua con la linea che ha portato all'attuale tragedia in Iraq. Anche qui nello scenario israelo-palestinese manca uno Zapatero e quella politica estera italiana che portò nel 1980 alla Dichiarazione di Venezia (sullo stato indipendente palestinese). Una chiara politica europea potrebbe portare a un dialogo necessario con tutti i palestinesi. I segnali di moderazione sono chiari, e per accentuarli è necessario parlare ed interrompere la violenza”.
[da “Il Manifesto”, 9 maggio 2006]


Prossimamente vi presenteremo l’intervista che Zvi ha rilasciato in esclusiva per Bocchescucite.
Ma intanto, ecco che un lucido professore e giornalista israeliano ha messo a fuoco quello che ancora una volta troppi non vedono: Israele non sta mettendo in atto alcuna strategia di pace. Il linguaggio, purtroppo non solo verbale che utilizza, è quello della sopraffazione. Non c’è contrattazione, ma unilateralismo. Non negoziati, ma ‘piani di convergenza’ volti a definire arbitrariamente confini, sicurezza e vita sociale di una sola parte perpetrando impunemente una delle colonozzazioni più pesanti della storia.
E allora ecco, in nome della sicurezza, il blocco dei fondi israeliani e europei, che stanno azzerando le risorse di migliaia e migliaia di famiglie palestinesi. Ma non se ne può parlare, perché, come ha scritto Erri De Luca, ‘fame è una parola gigantesca’, e forse i palestinesi non sono abbastanza dei morti di fame per arrogarsi il diritto di pronunciarla. È il taglio dei fondi di paesi esteri non è assedio’, dice sempre De Luca, ospitato con questa raccappricciante 'analisi' sul Manifesto. Ma forse è una strategia per arrivare alla pace nella paura. Alla pace nella sicura sottomissione dell’altro. La pace di un cimitero.
Ecco l’ufficializzazione della legge sulla cittadinanza che, impedendo il ricongiungimento familiare per palestinesi dei territori occupati sposati con israeliani, ma arabi, viola un diritto fondamentale del cittadino. Per una sicurezza unilaterale. Basata ancora una volta sulla forza e non sulla fiducia. (Più sotto il link perchè ANCHE TU PUOI FIRMARE CONTRO questa legge)
E aumenta sempre di più la forza, ma non la sicurezza… E la paura, che a discapito del desiderio di giustizia per tutti fa dire a molti israeliani ma anche a molti europei e ai servizi dei nostri tg, con somma ipocrisia che purtroppo ora la pace è proprio difficile, perché i palestinesi si scannano tra di loro (e di questo ne danno ampio risalto, mentre tacciono delle uccisioni di palestinesi per mano dell’esercito occupante); ci fanno tutti concludere che l’interlocutore inaccettabile ora è Hamas, e che “l’UE e gli Usa lavorano alla ricerca dell’uomo, per salvare i palestinesi nella fame e nella malattia al di là di Hamas’ (Fiamma Nirenstein, La Stampa 17 maggio 2006). Perché la causa delle nuove sofferenze del popolo palestinese non è l’occupazione, ma la nuova leadership votata legittimamente in elezioni democratiche finché vuoi, ma così sgradite a noi occidentali.

Meglio fare da soli e darci un taglio. E arrivare in incognito in una delle città più vive dei Territori occupati ed esercitarsi un po’ all’unilateralità. Ecco, mentre scrivevamo queste righe, la testimonianza giuntaci da Ruba Saleh, architetto di Ramallah:
“Cari amici, vi scrivo e sono sconvolta: oggi 10 uomini dei servizi speciali Israeliani sono entrati a Ramallah in una macchina Ford con la targa Palestinese travestiti da civili. Alcuni ragazzi Palestinesi si sono insospettiti e hanno circondato la macchina. Poco dopo 15 carri armati sono entrati al centro di Ramallah e l'esercito ha aperto il fuoco sulla folla presente nella Manara square (per chi conosce Ramallah è la piazza con i leoni). Dopo 3 ore di scontri con i civili, i soldati se ne sono andati portando via i 10 agenti speciali che sono venuti a salvare. Come risultato di questa incursione 4 ragazzi Palestinesi sono stati uccisi (il quarto è deceduto proprio ora), 35 sono stati feriti e 5 sono stati arrestati (uno fa parte di Al-Jehad e gli altri quattro non appartengono a nessun partito)."
[25 maggio 2006]

“La morte dell’agonizzante Palestina non sarà mai vita per Israele. È solo con la vita di entrambi che si può risorgere”. Così Ali Rashid ha replicato alle parole di Erri de Luca e a tutti coloro che vedono nella pace unilaterale una soluzione inevitabile. E magari giusta.

Unendoci alle sue parole abbiamo pensato di offrirvi due voci libere al riguardo. Insomma, non demordiamo: ecco il numero NOVE di BoccheScucite ancora tutto controcorrente. In cambio di questa nostra piccola fatica chiediamo ad ognuno di voi di trovare almeno un nuovo lettore: se ognuno inoltra e fa iscrivere anche una sola persona a BoccheScucite moltiplichiamo la denuncia di chi vuole gridare più forte (anche al nostro nuovo Ministro degli esteri!) che una cosa l'abbiamo capita: LA PACE SI FA IN DUE.


Il nuovo piano israeliano: un furto di terra
di Jimmy Carter


Il nuovo Primo Ministro Ehud Olmert ha annunciato che Israele provvederà, sulla base di azioni unilaterali, a stabilire i propri confini geografici nei prossimi quattro anni della sua amministrazione. Il suo piano, così come proposto durante le recenti elezioni israeliane e la formazione della nuova coalizione di governo, si impossesserebbe all’incirca di metà della Cisgiordania e intrappolerebbe le aree urbane in un mastodontico muro, mentre le zone maggiormente rurali della Palestina rimarrebbero dietro un'ulteriore barriera protetta. La barriera non è stata localizzata sui confini tra Israele e Palestina, riconosciuti a livello internazionale, ma si trova completamente dentro e profondamente all’interno dei territori occupati.

L’unica divisione del territorio tra Israele ed i palestinesi riconosciuta dagli USA o dalla comunità internazionale riguarda il 77% della terra, che è in mano alla nazione di Israele, mentre l’altra piccola porzione è divisa tra la Cisgiordania e Gaza. Quest’ultima non è che il doppio della grandezza di Washington D.C. Gaza è oggi una regione non sostenibile economicamente e politicamente, quasi completamente isolata dalla Cisgiordania, da Israele e dal resto del mondo.

Il piano di Olmert lascerebbe con le stesse inaccettabili caratteristiche, ciò che resta della Cisgiordania palestinese. Continuerebbero le profonde intrusioni nei territori, che effettivamente rimarrebbero divisi in tre porzioni. Il primo ministro ha inoltre annunciato che i soldati israeliani rimarrebbero comunque nei territori palestinesi; questi ultimi si troverebbero completamente circondati dal controllo israeliano nei suoi confini ad Est, nella valle del Giordano.

È inconcepibile che qualsiasi palestinese, leader arabo o membro oggettivo della comunità internazionale possa accettare questa azione illegale come soluzione permanente dei continui scontri in Medioriente. Questa confisca di terra vuole essere portata avanti senza intraprendere negoziati di pace con i palestinesi, e viola chiaramente la “Road Map for Peace”, che il presidente Bush ha aiutato ad iniziare e che ha fortemente sostenuto.

Nonostante l’ex primo ministro Ariel Sharon e il governo israeliano abbia rigettato i punti chiave della Road Map così come proposti dal quartetto di negoziatori – USA, Unione Europea, Nazioni Unite, Russia – sono stati invece inequivocabilmente accettati dal moderato presidente palestinese Mahmoud Abbas.

(…) Qual'è l’alternativa a questa folle movimento verso la confisca unilaterale e la colonizzazione della maggior parte della Cisgiordania?

Le negoziazioni, quelle in buona fede, dovrebbero iniziare sotto l’auspicio del quartetto internazionale con il presidente Abbas. Durante i recenti giorni, Abbas ha girato per le capitali internazionali sottolineando l’opportunità di trovare un sentiero di pace permanente nella terra santa. Anche se i neo-eletti legislatori di Hamas non riconosceranno o non negozieranno con Israele, finche la terra palestinese continua ad essere occupata, il primo ministro di Hamas, Ismail Haniyeh, ha espresso la sua approvazione per i colloqui di pace bilaterali tra Abbas e Olmert. Ha detto “il problema non è la parte palestinese o il suo consenso ai negoziati …se il capo dell’Autorità (palestinese), come presidente eletto, vuol far si che i negoziati si muovano, noi non poniamo nessuna obiezione. Se i risultati che Abu Mazen presenterà alla gente, servirà gli interessi delle persone, noi ridefiniremo le nostre posizioni.”

Presumibilmente, questi negoziati saranno monitorati e orchestrati dagli USA, e qualsiasi negoziato di successo in termini della Road Map sarebbero conseguentemente approvati sia da Israele che dai palestinesi. Questo tipo di approvazione relativo a un accordo finale di pace fu un importante punto negli Accordi Camp David.

Sarebbe uno sbaglio sottostimare le difficoltà nel trovare un mutuo accordo accettabile per entrambe le parti, ma molti rappresentanti israeliani, palestinesi e internazionali sono ormai a conoscenza dei risultati basici necessari che devono scaturire dai colloqui. Ciò include compromessi ragionevoli sui confini basati sullo scambio della terra, e questo lascerebbe un numero sostanziale di coloni indisturbati sulla terra palestinese.

Un mutuo accordo tra israeliani e palestinesi dovrebbe risultare indubbiamente in un pieno riconoscimento di Israele da parte di tutte le nazioni arabe, con normali relazioni economiche e diplomatiche, e pace e giustizia permanente per i palestinesi.

Rimuoverebbero inoltre una delle maggiori cause del terrorismo internazionale e alleggerirebbe sostanzialmente le tensioni che rischiano di precipitare in un conflitto regionale o addirittura globale.
[tratto da USA Today del 15 maggio 2006]


Quello che non avete letto nei giornali
(ma che è realmente accaduto!)


All'inizio della scorsa settimana si è seriamente sfiorata la guerra civile in Palestina, con scontri a fuoco che hanno visto contrapposti membri della sicurezza preventiva di Fatah da una parte e attivisti di Hamas e dei Comitati di Resistenza Popolare dall'altra. Il risultato è che tra lunedì 8 e martedì 9 maggio, in varie località della Striscia di Gaza, sono stati uccisi due mililitanti di Fatah e uno di Hamas, e che una ventina di Palestinesi sono rimasti feriti, tra cui ben otto ragazzini all'uscita da scuola; la tensione è tutt'ora altissima, malgrado il fatto che Hamas e il partito di Abu Mazen abbiano diramato un comunicato congiunto in cui si avvisava che, d'ora in avanti, chiunque fosse stato sorpreso a circolare armato sarebbe stato dichiarato "fuorilegge". Prova ne è che, altri due attivisti di Hamas sono stati uccisi ed uno gravemente ferito nella striscia di Gaza, nel corso di due separati agguati di cui non è stata rivendicata la paternità. Di questi sanguinosi scontri tra le diverse organizzazioni palestinesi i media italiani hanno dato una copertura giornalistica davvero notevole, ben lontana dagli usuali standard che vedono la morte di civili Palestinesi quasi sempre omessa o riportata con brevi accenni, e persino all'interno di Uno mattina, tra gli errori di Luca Giurato e una ricetta di cucina, ne è stato dato ampio resoconto. Peccato che, complice forse il bel tempo degli ultimi due weekend, analoga copertura informativa non sia stata data alle violente e brutali azioni dell'esercito israeliano che, prima e dopo i fatti in questione, hanno reclamato l'ennesimo tributo di sangue palestinese.

Giovedì 4 maggio, un tassista palestinese di 37 anni, Zakhariah Daraghmeh, è stato ucciso a sangue freddo dai soldati israeliani nei pressi del check-point di Ba'adan, a est di Nablus. È successo che Daraghmeh - come quasi tutti i tassisti della zona - si era avvicinato al check-point in cerca di clienti diretti a Nablus ed era entrato in una zona vietata al traffico veicolare; all'avvicinarsi di una jeep israeliana, il povero Daraghmeh ha cercato di allontanarsi a piedi, ma è stato colpito alla schiena da un colpo di fucile ed è morto qualche ora dopo al Rafadiya Hospital di Nablus.
Venerdì 5 maggio, l'aviazione israeliana ha ucciso 5 militanti dei Comitati di Resistenza Popolare nel corso di un raid aereo a Rafah, nel nord della Striscia di Gaza; in aggiunta, durante un'incursione dell'Idf nel campo profughi di Balata, nel West Bank, truppe israeliane con l'appoggio di una trentina di jeep e di alcuni bulldozer hanno ferito tre attivisti delle Brigate al-Aqsa e ne hanno arrestati altri due.
Sabato 6 maggio, verso sera, nel corso dei consueti, massicci bombardamenti della Striscia di Gaza, l'esercito israeliano ha ucciso un anziano agricoltore palestinese, il 65enne Mousa Salim al-Sawarka, colpito in pieno dalle schegge mentre portava al pascolo i suoi cammelli; in precedenza, nel corso della mattina, altri 4 Palestinesi erano rimasti feriti nel corso dei bombardamenti, che hanno riguardato soprattutto le aree a nord e a est di Beit Lahia.
Domenica 7 maggio, nuovi bombardamenti da parte degli Israeliani che, sia detto incidentalmente, in questo e nei giorni successivi hanno sparato una media di 300 colpi di artiglieria al giorno contro obiettivi civili (cfr. la corrispondenza di Amos Harel su Ha'aretz, 9.5.2006); il risultato è stata la morte di un altro agricoltore palestinese, il 55enne Hassan Khader al-Shaf'ei, ed il ferimento della 59enne Fatema Sahweel, colpita all'occhio destro dalle schegge delle granate cadute a meno di 300 metri dalla sua casa a est di Beit Hanoun.
Tra lunedì 8 e martedì 9 maggio, infine, si sono contati "soltanto" cinque feriti a causa dei bombardamenti, tra cui un ragazzino di 15 anni e due donne, ricoverate all'ospedale di Beit Lahia, e questo nonostante l'intensità dei bombardamenti sia ulteriormente aumentata fino a giungere, in alcuni momenti, alla frequenza di un colpo d'artiglieria ogni 15 secondi, causando notevoli danni a varie infrastrutture ed a case di civile abitazione. Questi bombardamenti indiscriminati, che vanno avanti ormai da oltre due mesi, alla data del 7 maggio, e solo in 20 giorni, hanno causato 8 vittime, inclusi due bambini e due membri delle forze di sicurezza palestinesi che cercavano di rimuovere un proiettile d'artiglieria inesploso, mentre i feriti ammontano ad almeno 60, di cui 21 minori di 18 anni (cfr. Palestinian Centre for Human Rights, press release del 7.5.2006).
Si tratta, dunque, di atti irresponsabili e disumani, che costituiscono una gigantesca punizione collettiva a danno della popolazione della Striscia di Gaza e che, per la loro gravità e sistematicità, costituiscono dei veri e propri crimini contro l'umanità. Complessivamente, nel periodo compreso tra il 4 ed il 10 maggio, l'esercito israeliano ha ucciso 9 Palestinesi e ne ha feriti 24 (14 a Gaza e 10 nel West Bank); tra questi ultimi, ben 7 erano bambini e 3 le donne.

Eppure, mentre da una parte si da ampio risalto alle perdite causate dagli scontri intestini tra le varie fazioni palestinesi, dall'altra si mantiene un silenzio pressoché assoluto sui Palestinesi uccisi e/o feriti dall'esercito israeliano. Per quale ragione? Un primo motivo, più evidente e banale, consiste naturalmente nel fatto che è molto più facile raccontare di Palestinesi uccisi per mano di altri Palestinesi, piuttosto che affrontare la spinosa questione delle spietate e illegali esecuzioni extra-giudiziarie commesse da Israele e, ancora di più, quella dei crimini contro l'umanità perpetrati dall'esercito israeliano ai danni degli abitanti della striscia di Gaza.
Ma un secondo, recondito motivo è rappresentato dalla strategia, condotta sia sul piano politico sia su quello mediatico-propagandistico, che tenta di accreditare l'immagine dei Territori palestinesi occupati come quella di una regione allo sbando, stretta tra una situazione economica e sanitaria disastrosa ed una guerra civile strisciante, e ciò non al fine di protestare contro l'inumano trattamento riservato alla popolazione palestinese, ma piuttosto di fornire il pretesto ad Abu Mazen di procedere alla rimozione del legittimo governo di Hamas, giustificandola con lo stato di emergenza e l'incapacità di Hamas di provvedere ai bisogni della popolazione. E qui ci si ricollega al disegno più generale, tanto caro ad Israele e agli Usa, che cerca di inserire ogni vicenda mediorientale nell'unico calderone della lotta al terrorismo "globale", unendo tutto e il contrario di tutto, Hamas, la Jihad islamica, al-Qaeda, l'Iran di Ahmadinejad, la Siria, il Libano degli Hezbollah, la monarchia saudita e quant'altro. Persino la disastrosa situazione ospedaliera e sanitaria dei Territori Occupati, soprattutto a Gaza, denunciata con sdegno e angoscia dagli editoriali del N.Y. Times o di Le Monde e dai report di organizzazioni come Gush Shalom, B'tselem, Amnesty International, Medici per i Diritti Umani ed altre ancora, viene piegata a questa diabolica macchinazione. Si attesta la carenza di materiale sanitario e di medicine, e la morte di alcuni bambini per mancanza di cure adeguate, ma non per denunciare l'assurda punizione collettiva e l'inumano trattamento riservato ai Palestinesi dalla comunità internazionale, che ha tagliato ogni aiuto finanziario all'Anp, e da Israele, che illegalmente rifiuta di riversare ai Palestinesi le imposte e i dazi doganali trattenuti per loro conto, ma, al contrario, proprio al fine di incolpare "l'entità terrorista" guidata da Hamas di tale disastro umanitario, giustificando a priori l'eventuale rimozione del governo democraticamente eletto. (…)

Le uniche notizie a non circolare continuano ad essere, inopinatamente, quelle relative al crescendo di esecuzioni extra-giudiziarie e di assassinii di Palestinesi ad opera dell'esercito israeliano.
Domenica, 14 maggio, durante un raid nel villaggio di Qabatya, nel West Bank, l'esercito israeliano ha ucciso un militante delle Brigate al-Quds, il 23enne Tha'er Sadiq Hanaisha; il fratello, il 21enne Mujahed, accorso per cercare di soccorrerlo e di portarlo al riparo, è stato anch'egli ucciso da diverse pallottole al petto e al capo, pur essendo disarmato; poco dopo, a seguito di un violentissimo scontro a fuoco e al lancio di alcuni razzi, venivano ritrovati i corpi di altri due Palestinesi, entrambi devastati dalle schegge: si trattava, in particolare, di Mo'tassem Ja'ar e di Elias al-Ashqar, quest'ultimo il vero obiettivo dell'intera operazione, in quanto ritenuto responsabile di vari attentati suicidi.
Nel corso dell'attacco a Qabatya, numerosi Palestinesi, in maggioranza ragazzini, sono scesi in strada tirando pietre ai soldati israeliani e questi, per tutta risposta, hanno sparato ad altezza d'uomo, uccidendo il 20enne Jihad Abdul Rahman e ferendone altri 16 civili, tra cui 7 bambini e un giornalista. Sempre domenica, nella città di Jenin, una unità israeliana sotto copertura ha ucciso Jihad Kamil, un militante delle Brigate al-Aqsa ed il 21enne Ali Jabbarin; quest'ultimo è stato brutalmente assassinato a sangue freddo per la semplice circostanza di trovarsi di guardia al vicino Quartier Generale dell'intelligence palestinese.

Lunedì sera, 15 maggio, l'aviazione israeliana ha lanciato un missile contro un pick-up che si sospettava trasportasse alcuni razzi Qassam pronti ad essere lanciati, nei pressi del campo profughi di Khan Yunis, ferendo tre militanti della Jihad islamica, di cui uno in maniera grave, ma anche una donna che si trovava nei pressi.
Mercoledì pomeriggio, 17 maggio, l'esercito israeliano ha circondato una casa a Nablus, nel West Bank, uccidendo i due militanti della Jihad islamica che la occupavano e ferendone un terzo. Nel corso dell'operazione ha trovato la morte anche un povero anziano palestinese, il 74enne Mosharraf al-Mbaslat, colto da un infarto a seguito dei colpi sparati dai soldati israeliani contro la sua casa; raccontano i vicini che, in realtà, l'anziano ha più volte chiamato aiuto durante l'attacco, ma i valorosi soldati di Tsahal hanno impedito al personale medico di entrare nella sua casa per aiutarlo. In soli quattro giorni, dunque, l'esercito israeliano ha causato la morte di ben 10 Palestinesi, a cui vanno aggiunti, nel solo periodo compreso tra l'11 ed il 17 maggio, altri 41 feriti (di cui 13 bambini).

II nuovo ministro della Difesa israeliano Amir Peretz, secondo un comunicato ufficiale, "ha personalmente approvato" il raid di Tsahal del 14 maggio e "ha seguito da vicino la sua esecuzione"; più tardi, egli ha voluto pubblicamente elogiare l'Idf, la polizia e lo Shin Bet per la riuscita conclusione dell'operazione, affermando che si tratta di un'azione in linea con la politica israeliana, in base alla quale si continuerà a
combattere il terrorismo e contemporaneamente a facilitare le condizioni di vita dei Palestinesi (cfr. "Peretz lauds killing of Islamic Jihad" su Ha'aretz, 15.5.2006): la prima parte di questa affermazione è ben chiara, la seconda un po' meno... Questa è la risposta a chi si aspettava un "addolcimento" di Tsahal a seguito del cambio della guardia tra Shaul Mofaz e il laburista Peretz: al peggio non c'è mai fine! (Mentre scriviamo, in un solo giorno, il 26 maggio, la terapia Peretz continua a dare risultati devastanti: tre palestinesi uccisi dall'artiglieria e un contadino che lavorava la terra). Secondo le statistiche fornite dalla Mezzaluna rossa, l'esercito israeliano ha ucciso, dall'inizio dell'anno ad oggi, ben 118 Palestinesi (di cui 17 bambini) e ne ha feriti oltre 460; considerato che nei primi cinque mesi del 2005 i Palestinesi uccisi erano stati "solamente" 90, ciò mostra di tutta evidenza la portata dell'escalation di violenza, terrore e morte scatenata da Tsahal nei Territori occupati, nonostante il "decisivo" passo verso la pace rappresentato dal ritiro dalla Striscia di Gaza. Si tratta di un vero e proprio massacro, di cui tuttavia, misteriosamente, nessuno parla né, tanto meno, cerca di trovare rimedi. Resta l'incredulità e la rabbia per il solito doppio standard utilizzato sulla questione palestinese dalla comunità internazionale, che da una parte taglia gli aiuti finanziari ad Hamas se non rinuncia "ufficialmente" alla violenza (causando una gravissima crisi umanitaria) e dall'altra non adotta alcuna sanzione, sia pur minima, a carico di un Paese come Israele che quella violenza feroce e bestiale la pratica sul campo, quotidianamente.
(Vittorio)


Firma anche tu la petizione contro la sentenza discriminatoria della corte suprema israeliana


Il 14 Maggio 2006, la Corte Suprema Israeliana ha votato, 6-5 in favore degli emendamenti sulla legge di Cittadinanza e di Entrata in Israele che vieta il ricongiungimento familiare per gli Israeliani, in particolare palestinesi-israeliani, che sposano palestinesi della Cisgiordania e della Striscia di Gaza. Questa legge coinvolge e nuoce decine di migliaia di coppie israelo-palestinesi, incluse quelle dentro la linea verde e Gerusalemme, che sono soggette al diritto israeliano e che spesso sposano palestinesi dei territori occupati.
Amnesty International afferma che questa legge viola il divieto assoluto di discriminazioni contenute nel diritto internazionale in materia di diritti umani, molti trattati importanti che la stessa Israele ha ratificato ed è quindi obbligata ad adempiere, tra cui la Convenzione Internazionale per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazioni razziali, il Patto Internazionale sui diritti civili e politici, il Patto Internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, e la Convenzione sui diritti del fanciullo.

Israele viola inoltre la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. L’art. 16 della dichiarazione dice, “Uomini e donne in età adatta hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia, senza alcuna limitazione di razza, cittadinanza o religione” e “La famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato”.
Noi chiediamo quindi di firmare questo appello diretto a diverse parti interessate affinché questa legge venga annullata, in quanto proibisce alle famiglie palestinesi di abitare in pace e prosperità con i relativi coniugi in Israele e a Gerusalemme e che inoltre viola tutte le leggi sull’umanità, che rispettano l’importanza centrale del nucleo famigliare. Ciò è vero soprattutto per ciò che riguarda i bambini e il loro diritto a crescere in un ambiente stabile senza dover correre il rischio di essere deportati o attaccati sulla sola base della nazionalità.

Per firmare la petizione ciccare sul seguente link: www.miftah.org

ULTIM'ORA.

Appello ai Governi della Unione Europea e ai Ministri partecipanti alla riunione del 15 giugno affinché ritirino la decisione di bloccare i fondi alla Autorità Nazionale Palestinese

Al Ministro degli Affari Esteri del Governo Italiano
Massimo D’Alema

cc. Mr Javier Solana

Segretario Generale del Consiglio della Unione Europea

Noi sottoscritte/i, organizzazioni europee e individui, facciamo appello ai Governi dei nostri rispettivi Paesi ed ai loro Ministri degli Affari Esteri che si incontreranno il 15 giugno c.a. affinché ritirino la decisione di bloccare i fondi alla Autorità Nazionale Palestinese.

Questa decisione è una punizione collettiva del popolo Palestinese per aver esercitato i propri diritti democratici. Inoltre, rafforza la attuale violazione dei diritti delle popolazioni sotto occupazione (4a Convenzione di Ginevra).

Sia il rapporto OCHA dell’aprile 2006 che il rapporto della Banca Mondiale del maggio 2006 hanno messo in evidenza la crisi umanitaria, conseguente a questo attacco ai diritti politici e nazionali della popolazione palestinese occupata. Il blocco economico dei territori occupati da parte di Israele, della UE e degli USA deve finire.

Sono adesso quasi due anni da quando la Corte Internazionale di Giustizia ha espresso il proprio parere circa la illegalità del muro di “separazione” e degli insediamenti israeliani.

E’ aberrante sanzionare gli occupati mentre si lascia la potenza occupante proseguire impunemente nelle gravi violazioni del diritto internazionale.

Chiediamo alla UE di ristabilire pienamente il sostegno economico alla Autorità Palestinese.

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