Il gatto di Piazza del Grano
27.10.05
I ragazzi scappano, il signore chiama un veterinario, la bambina piange. Anche il gattino, piange. Anzi, "emette miagolii lancinanti": "alla visita clinica sono state riscontrate una lesione alla colonna vertebrale, la rottura del femore sinistro e un’ernia sottocutanea addominale (chiara conseguenza di un forte trauma). Inoltre era semi paralizzato. Una situazione gravissima." Il veterinario deve sopprimerlo. In seguito scrive una lettera indignata al giornale locale: "un cucciolo è un cucciolo", dice.
Il giornale riprende la notizia, il paese si indigna: "è un atto increscioso che non appartiere alla cultura locale", dice il sindaco. Parte perfino un'indagine dei carabinieri.
Non lo so. In campagna sopravvive l'abitudine di annegare le cucciolate indesiderate; i gatti finiscono impallinati e avvelenati; i bambini torturano gli animali più spesso di quanto vorremmo ammettere e forse non è neanche detto che da grandi diventeranno Jeffrey Dahmer. Le "comunità" continueranno a indignarsi e a dire che lì queste cose non succedono, e se succedono è colpa di gente venuta da fuori.
Sabato pomeriggio, in quel paese dove queste cose non succedono, associazioni animaliste, Verdi, comitati spontanei di cittadini e anche una famosa e simpatica astrofisica parteciperanno a un corteo che partirà da Piazza del Duomo per arrivare a Piazza del Grano, dove ciascuno deporrà un fiore nel luogo in cui è stato massacrato il cucciolo.
L'inutilità del gesto mi commuove, non riesco a sorriderne. Non so come articolare questa cosa se non così: non serve, ma serve.
"Lasciamo un po' di cibo ai topi, non accendiamo lumi affinché le farfalle non vengano a morirvi," è scritto negli Aforismi sulla radice degli ortaggi di Hong Zicheng: se non fosse per questi pensieri saremmo solo "forme umane modellate con la terra o scolpite nel legno".
Non serve, ma serve.
Al signor G. non ho raccontato nulla, ma da gatto sensibile si sarà chiesto il perché degli abbracci che l'hanno lasciato intontito e felice.
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