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Il sogno di Orlando

Per Graziano:
13 febbraio 2007
Daniele Barbieri

«Avete perso, siete nei sotterranei della storia» sghignazza una voce a Orlando che, palmi sulle orecchie, resta immobile come a non voler sentire e a chiedersi se è vero. Siamo nell’incubo di chi teme a niente sia servito aver “costruito” la sua vita contro la guerra, per la giustizia, contro gli sprechi. Una vita coerente, dicono i suoi amici, con l’unico difetto [sarà solo una differenza? o magari un pregio?] di una vita sentimentale non propriamente sobria. E se invece fosse proprio un’esistenza inutile?

Poco dopo è Orlando stesso a ripetere «abbiamo perso» quando il suo amore, Sara, lo ritrova. Lei lo incalza così: «Abbiamo lottato mica per un vittoria? […] Una poltrona? […] Un maledetto, cagato prestigio sociale?». Ma lo sconsolato Orlando continua a ripetere «Abbiamo perso» e a Sara che gli chiede di spiegarsi meglio risponde: «siamo pochi, deboli, siamo un pugno di niente rispetto alla moltitudine che per vari maledetti motivi sceglie la via dell’obbedienza agli ordini dei potenti».

Siamo quasi alle ultime pagine de «Il sogno di Orlando» e ovviamente non ci sarà un banale lieto fine; scorgeremo solo, in lontananza, un flebile lume di speranza. Non è facile continuare a camminare e intanto rilassarsi. La fuga di Orlando – forse verso le Ande, forse verso il nulla – si intreccia con i ricordi delle persone che da lui furono aiutate: molto diverse fra loro come l’ex jugoslavo Petar che ora in Canada ha trovato la fortuna e ha coltivato il suo cinismo latente o come Ivan che traccia un suo ironico ritratto con le parole «traditore, disertore, vigliacco, fuggiasco, sangue misto serbo-croato […] e con moglie musulmana».

Orlando è uno dei volti delle crisi che il movimento contro la guerra e l’alter-mondialismo attraversano. Le sue angosce lo porteranno a gesti estremi come Alex Langer? O tutti noi dobbiamo, con Orlando, arrenderci e assomigliare a Petar che ripete l’ipnotico ritornello dei nostri tempi: «Ogni ideologia può portare alla pazzia. Perciò attenti pure con i pacifisti, inclusi quegli squilibrati no-global». Ma in queste tempeste c’è anche una Sara che rabbiosamente prosegue: «Camminerò finché mi porteranno avanti il cuore e i piedi». Ci sono le incertezze di Ivan e Azra. C’è una luce che illumina il volto di Orlando quando riflette: «La gioia, una di quelle poche cose con le quali i poveri riescono a fregare i ricchi».

Incubi? Vaneggiamenti? «Chi non sogna forse non è neanche vivo». E’ un racconto che si svolge fra Pordenone e Udine con flashback che riportano a Trieste e ad Aviano, sotto la tenda di Beati i costruttori di pace. Ma c’è anche un salto nel 2052. E un manicomio. Quando poi compare Cassandra è il caso di chiedersi se siamo fuori dal tempo. Ma poi per due volte ecco gli amici concretissimi di Orlando [e di Carta]: Ernesto Balducci, Alex Zanotelli, Rigoberta Menchù….Gandhi, la scuola di Nevè Shalom, don Milani. Poi quella maledetta, terribile domanda posta da Agnes Heller: «Perché esistono le persone buone e come può accadere che esse siano in assoluto possibili?». Siamo dunque nell’oggi pur se questa vicenda potrebbe appartenere a molte epoche, passate e future; almeno fino a quando gli umani non metteranno la guerra fuori dalla Storia.

«Il sogno di Orlando» è l’ultimo libro di Bozidar Stanisic che vive in Friuli dal 1992 vive ma pochi anni prima [sembrano secoli però] abitava in un luogo chiamato Jugoslavia. Di quell’altra vita in Bosnia e dell’esilio Stanisic ha scritto più volte: molte poesie, la raccolta di prose «I buchi neri di Sarajevo» [nel ‘93] e nel 2003 «Bon Voyage» con due racconti che – come scrive Paolo Rumiz nella prefazione – sbirciano «il nostro spaesamento, la nostra ignoranza, il nostro nulla».

Ed è preoccupante se un autore che ha già pubblicato, sia pure con piccoli editori, molto stimato e tradotto in 5 lingue, stavolta per far uscire queste 122 bellissime, sofferte pagine abbia dovuto far tutto da sé.

«Sì, è un’auto-produzione» chiarisce Stanisic : «E’ un testo del 2002 che avevo pensato per una messa in scena ma mi sono stufato di aspettare che la gente di teatro alla quale lo proponevo si decidesse. Incoraggiato da amici, che pensavano funzionasse anche come un racconto, a ottobre 2006 l’ho pubblicato a mie spese». Come averlo? «Beh mi si può scrivere su bozidar56@yahoo.it ... ». Quanto costa? C’è come una esitazione in Stanisic, poi: «diciamo 10 euro, incluse spese postali». Finirà in teatro? «Non so» risponde: «finora vi sono state solo letture pubbliche di alcuni frammenti».

In teatro se sarà possibile o nelle pagine auto-prodotte, «Il sogno di Orlando» merita di circolare in mezzo al popolo no-war, fra «gli squilibrati no-global» e magari portato in mezzo «alla moltitudine che sceglie la via dell’obbedienza». Parla di noi, delle grandi possibilità e necessità che a volte si mutano in disperazione totale. Quando il cinico Petar parla a Ivan di quel vecchio bar che si chiamava Speranza e lo sbeffeggia per quella lucina «che si accende e poi si spegne» ascoltarlo fa male. Poi con Orlando e Sara, con Bozidar Stanisic, comunque bisogna rimettersi in cammino. Tenere accesa quella lucina forse si può.

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