Una legge da cambiare immediatamente

21 maggio 1994
Raf Valvola della redazione di Decoder
Fonte: Il Manifesto

Attribuita inizialmente a carico di due persone di Pesaro per riproduzione e smercio di software coperto da copyright e addotta a ragione delle perquisizioni di massa nel frattempo eseguite, l'accusa fa leva su un concerto di norme che configurano nel complesso un profilo penale pesantissimo. Difatti si parla da una parte di norme relative alle due leggi sull'informatica recentemente approvate (la Computer Crime e la legge sul software) e dall'altra la legge doganale relativa al contrabbando. Infine quasi a voler fornire un quadro generale ancora piu' pesante di quanto gia' siano i singoli addebiti, e' stato ipotizzato il perpetrato in concorso, l'art. 416 C.P., un tipico reato associativo, che prevede per la sola "partecipazione" da uno a cinque anni di reclusione. Quest'ultimo articolo ha così "giustificato" legalmente il ricorso alla vasta operazione giudiziaria.
Ma al di la' del ricorso al reato associativo, elemento estremamente grave ma che probabilmente non potra' resistere a lungo a un'analisi accurata che faccia leva sulla descrizione effettiva della scena telematica italiana, preoccupa in maniera seria la "plasticita'" con cui la procura di Pesaro ha utilizzato le due leggi relative ai reati di tipo informatico. A questo proposito bisogna difatti ricordare che l'art. 171 bis del D.LGS. 518/1992, uno dei reati ipotizzati nell'operazione "Hardware1", prevede un significativo inasprimento delle pene rispetto alla legge generale relativa al diritto d'autore dell'aprile 1941. Al contrario dell'impianto di quest'ultima (dove solo in casi particolari ed estremamente limitati si prevedono pene con reclusione) nel decreto del dicembre 1992 il ricorso alla detenzione e' metodico e centrale. Si prospettano pene dai tre mesi ai tre anni e multe variabili fino ai sei milioni di lire e il reato da civile, sanzionabile in termini amministrativi, si trasforma in penale, nel momento in cui si duplichino abusivamente programmi "a fini di lucro". Sul senso da attribuire al "fine di lucro" non casualmente si concentrano le diverse interpretazioni date alla legge. E' forse a fine di lucro copiare, da parte di uno studente, un programma di cui necessita per studiare? E' a fine di lucro cio' che analogamente fa lo scrittore o il giornalista? E' forse a fine di lucro l'operazione di copiare centinaia e centinaia di programmi propria del collezionista? La risposta data dalle grandi lobby, le stesse che hanno fortemente spinto per far approvare la legge (la Business Software Association, la Assoft ecc.), e dai molti ambiti di tipo accademico (Un. di Pavia) e giornalistico (McMicrocomputer) concordi sull'impianto generale della legge, e' stata fortemente restrittiva: e' a scopo di lucro qualsiasi azione che miri al risparmio di danaro.
Nel caso specifico dell'operazione iniziata a Pesaro l'interpretazione corrente suona quindi come una grave spada di Damocle discrezionalmente pendente non solo sul capo di ogni indagato, ma di qualsivoglia utilizzatore di computer. A quando n'azione così muscolare per rinvenire cassette duplicate "abusivamente" nelle case dei possessori di videoregistratori? Purtroppo il senso e la filosofia di fondo di cio' che sta accadendo con la rivoluzione digitale sembra sfuggire al legislatore e di rimando ai giudici incaricati di applicare queste nuove leggi.
La vita di coloro che frequentano la "nuova frontiera elettronica" e' in realta' composta in maniera importante di comportamenti "ai confini della legalita'" e sperimentali, proprio perche' il mezzo con cui si ha a che fare e' in un tale movimento, da porre continuamente questi appassionati esploratori al di la' del testo di legge, nonostante l'evidente utilita' sociale della propria azione pionieristica. Anche per queste ragioni e per l'altissimo costo sociale che l'intera societa' ne avrebbe a patire se dovesse restare in vigore l'attuale ordine di cose, che si deve quindi procedere nel senso di una depenalizzazione immediata di questa brutta legge. I primi disastri sono gia' sotto gli occhi di molti: la rete amatoriale telematica italiana e' a un passo dal crash, decine e decine di BBS sono chiuse e il diritto fondamentale dell'uomo del nuovo millennio, il diritto alla liberta' di comunicazione, leso e minacciato nei suoi fondamenti costitutivi.
Peraltro il medesimo impianto filosofico, strano melange di gretta difesa di pochi gruppi monopolistici e visione punitiva del corpo sociale, lo si ritrova all'opera nella piu' recente legge sul computer crime, detta legge Conso, del dicembre del 1993: legge giuridicamente raffinata, ma dai toni sinistri. Essa e' congegnata in maniera tale da appoggiarsi alla Costituzione, ma al contempo sanziona con pene detentive pesantissime tutti coloro che dovessero avere dei "comportamenti di indubbio disvalore sociale", come ebbe a dire Carlo Sarzana di S.Ippolito, uno dei principali ispiratori della legge, in occasione del convegno Ipacri del marzo 1994. Comportamenti che si sostanziano anche nell'essere involontari portatori di virus o nell'accedere a un sistema informatico o telematico senza danneggiare, toccare o "rubare" nulla o nel solo possesso di password utili, ad accedere in maniera non autorizzata ai sistemi telematici.
Anche in questo caso si vuole intendere per problema cio' che viceversa ne e' solo l'indicatore. Non sono gli hacker il problema delle reti, viceversa lo sono coloro che alacramente lavorano per "recintare" lo spazio elettronico, inventando servizi telefonici a valore aggiunto, utili a supplire su base censitaria al bisogno sempre piu' urgente di comunicazione espresso dalla societa'. Lo stesso progetto delle autostrade elettroniche targato Clinton-Gore ha dato avvio negli ultimi mesi difatti alla privatizzazione della rete delle reti per eccellenza (Internet). Ma e' altrettanto chiaro che il problema dell'intrusione non autorizzata nei sistemi potra' essere ridotta al minimo solamente con una politica socialmente orientata verso l'apertura assoluta delle reti e la possibilita' di potervi accedere liberamente a costi telefonici minimi. Per affrontare con ragione di causa la filosofia della comunicazione del nuovo millennio sembrerebbe quindi necessario un coerente approccio antiproibizionista, ma le nubi all'orizzonte appaiono gia' cariche di pioggia e l'operazione in corso il primo tuono di una lunga serie.

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