Oltre tutti gli eserciti
L'esercito di leva non va bene per chi ricerca la pace. Gli eserciti permanenti sono "causa di guerre aggressive" e "fanno uso di uomini come di semplici macchine e strumenti" (Kant, 1795). Ma l'esercito professionale è ancora più negativo e pericoloso. Negativo eticamente, perché vede la guerra come una professione per una normale funzione sociale, e non come una eccezionale tragica necessità (ammesso e non concesso che lo sia). Pericoloso politicamente, perché attira soggetti (che saranno poi privilegiati nell'accesso al lavoro) disposti a "risolvere" i conflitti con la stolta potenza delle armi (contro l'art. 11 Costituzione). Le armi sono capaci unicamente di minacciare, distruggere, uccidere, di dare ragione alla forza e non al diritto, non di comprendere e mediare la ragioni.
La retorica degli "eserciti di pace" è finora del tutto smentita dalla natura distruttiva delle recenti "guerre umanitarie". Altra cosa sarebbe l'attuazione della Carta dell'Onu, con una forza di polizia (diversa per cultura, etica e scopi dagli eserciti di guerra, perché deve limitare e non estendere la violenza), regolata da una vera democrazia cosmopolitica, finora impedita dalle grandi potenze. Ma meglio di tutto sarebbe sviluppare la cultura e l'addestramento alla "difesa civile non armata e nonviolenta" (come vuole la legge 8 luglio 1998, n. 230, art. 8), e all'intervento di mediatori civili nei conflitti. I popoli hanno la possibilità, verificata nella storia anche recente, di svuotare con la non-collaborazione anche poteri ingiusti e violenti, senza usare violenza.
L'Italia ha il privilegio civile nel mondo di essersi impegnata per legge in tale direzione, che prefigura il necessario superamento storico dell'istituzione guerra, ma invece di procedere in questa civilizzazione, rende professionale il criterio delle armi, assolutamente impotente a riconoscere la ragione e il diritto. Ma c'è chi non si arrende.
Enrico Peyretti - e.pey@libero.it
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