Agricoltura ecologica: una speranza dal Tigray
Le ultime notizie, in un reportage dell'inglese "Guardian", arrivano dai verdi altipiani del Badawacho occidentale. Si', verdi. Le campagne non hanno il volto rinsecchito della carestia: e' piovuto. Ma troppo tardi. L'anno scorso i raccolti sono stati scarsi e le mancate piogge di marzo-maggio hanno dato il colpo di grazia. E adesso, anche dopo le tanto attese piogge, il 50% della terra non e' stato seminato: molti agricoltori sono costretti a far tutto a mano senza l'aiuto degli animali da tiro, morti di fame. Cosi' e' mancato il tempo... Comunque anche chi e' riuscito a seminare tutto non raccogliera' prima di settembre.
In tanta tragedia vale la pena accennare a un'esperienza luminosa. Un recente rapporto della Swedish Society for Nature Conservation, dal titolo "Ecological Agricolture in Ethiopia" (Agricoltura ecologica in Etiopia), fin dal sottotitolo parla chiaro: "Coltivare insieme alla natura aumenta le rese e riduce la vulnerabilita'". Descrive un esperimento innovativo e tradizionale insieme in corso da anni nella regione settentrionale del Tigray. Protagonisti sono i coltivatori tigrini e diverse strutture nazionali, regionali, locali. Un progetto partecipato e autoctono.
I due "genitori" sono Tewolde Berhan Gebre Egziabher, direttore della Ethiopian Environmental Protection Authority, stimato a livello internazionale per aver guidato i paesi piu' impoveriti a negoziare il Trattato per il riconoscimento dei diritti degli agricoltori sulle risorse genetiche; e sua moglie Sue Edwards, inglese che vive in Etiopia dal 1968 e dirige l'Institute for Sustainable Development.
Iniziato in pochi villaggi, questo progetto di agroecologia e' ora esteso al 25% dei coltivatori della regione. Ha detto Sue Edwards a un recente incontro in Italia: "Tutti i contadini con cui lavoriamo da dodici anni sono in una situazione di sicurezza alimentare". Per lei "la carestia non e' un male inevitabile del paese" e quelle zone del Tigray sembrano dimostrarlo.
Cos'hanno fatto? Intanto hanno insistito sulla fertilizzazione organica del suolo, con il compostaggio e sull'uso di pesticidi fatti con erbe locali. Poi la lotta contro l'erosione, disciplinando il pascolo. E la gestione dell'acqua: riserve di piovana, canali, dighette, pozzi. Importanti l'incoraggiamento alla policoltura e alla rotazione colturale, la piantumazione di alberi con piu' funzioni. Essenziali la conservazione e ridiffusione di specie produttive locali, "in genere piu' rustiche, e anche piu' nutrienti, si pensi al cereale teff".
Ecco la piccola grande storia di Woldu e Hawaryia, una fra le altre riportate dal rapporto svedese: "Siamo emigrati in campagna dalla citta' con i nostri figli, per poverta'. Il governo ci ha assegnato un ettaro" (le terre sono tuttora pubbliche e sono date in usufrutto agli agricoltori).
"Abbiamo costruito muretti e protezioni, arricchito il suolo con compost da noi prodotto, scavato pozzi a mano, predisposto sistemi di irrigazione, ridotto il numero di animali pascolanti. Adesso produciamo frutta, ortaggi e cereali. Viviamo piu' tranquilli". Un progetto che tutela la biodiversita' e migliora la vita rurale. Un progetto antifame. Da imitare.
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