Coltivare in città

Vado sul terrazzo a zappare

Terrazze e grattacieli per coltivare frutta e ortaggi, ma anche allevare galline e maiali. Così dai campi l’agricoltura si trasferisce in città.

25 ottobre 2008
Francesca Rolando
Fonte: Panorama

Vertical farm

Se pensate che i contadini debbano vivere per forza in campagna vi state sbagliando. Philip Schilds, per esempio, è un «contadino urbano» e ogni mattina va sul suo tetto che si affaccia su Londra a controllare i suoi otto alveari. Con tre raccolti riesce a produrre 225 chilogrammi di miele l’anno. Che tiene per sé oppure vende ai vicini o al mercato. Sembra strano, ma l’ecosistema cittadino piace alle api: «Questo perché le piante di città tendono a fiorire per periodi di tempo più lunghi rispetto a quelle di campagna, e con maggiore varietà» precisa Ivory Davis, della British beekeeping association.
Schilds non è un eccentrico né un caso isolato. Orti e allevamenti sugli unici spazi inutilizzati delle città, i tetti di case o persino di grattacieli, stanno diventando una moda tra l’ecologico e il sociale, soprattutto negli Stati Uniti (e in alcuni paesi europei), dove la figura del «contadino urbano» è sempre più diffusa.
D’altronde non c’è da stupirsi: la popolazione mondiale cresce ogni anno di circa 80 milioni di persone; e, secondo stime dell’Onu, nel 2050 gli abitanti del pianeta saranno 9,2 miliardi, di cui l’80 per cento in aree urbane. E il 23 maggio scorso la popolazione che vive nelle città ha superato per la prima volta quella che abita in campagna. Così, la gente con il pollice verde o amante degli animali da fattoria si arrangia come può.
Un esempio? Affacciandosi dal balcone di un albergo di Manhattan, al 28° piano del grattacielo di fronte si vedono scorrazzare maiali e polli.
L’idea, in realtà, non è del tutto inedita: già nei primi anni del Novecento sui palazzi Ansonia di Manhattan una piccola fattoria cittadina allestita sul tetto forniva uova fresche a domicilio. E i primi tetti verdi risalgono al 500 a.C., nei giardini pensili di Babilonia. Oggi Dickson D. Despommier, professore di scienze ambientali e microbiologia alla Columbia University, è convinto che il futuro dell’agricoltura si trovi nelle «vertical farms». Ovvero in coltivazioni sviluppate verticalmente in gigantesche biotorri autosufficienti.
«L’idea mi è venuta sette anni fa a New York. Con un gruppo di studenti stavamo discutendo sul fabbisogno alimentare di una metropoli e ci siamo chiesti: perché non spostare le coltivazioni in città?» racconta lo scienziato a Panorama. «Nel grattacielo che sto progettando, a ogni piano si potranno coltivare ortaggi e frutta, ma anche allevare polli e bestiame; 150 di queste torri basterebbero a sfamare gli 8 milioni di abitanti di New York. Porle nei centri delle città potrebbe servire a tagliare i costi di trasporto dei prodotti dalle campagne, riducendo l’inquinamento».
In base al progetto, l’umidità che le piante emanano nell’aria viene assorbita da un impianto che produce 200 milioni di litri d’acqua all’anno. Le eliche a vento poste sulle torri forniscono energia senza emettere anidride carbonica. Un habitat completamente autosufficiente, dunque, e a impatto zero.
«Abbiamo già ricevuto finanziamenti per un centro di agricoltura urbana a Dubai e la fondazione Bill e Melinda Gates sarà uno dei nostri prossimi sponsor».
In Canada un’altra costruzione, la Toronto Sky Farm, promette di rivoluzionare il modo di coltivare. Il grattacielo sorgerà su una superfice di 1,32 ettari nel centro della città e sarà in grado di produrre l’equivalente di ciò che si ricava da un terreno tradizionale di 500 ettari. E di sfamare 35 mila residenti all’anno.
In tutto il mondo progetti di questo tipo si stanno facendo strada. A Singapore, al 40° piano dell’hotel svizzero Stamford si coltivano ortaggi e c’è un allevamento di pesci. E sempre nella penisola asiatica, pomodori ed erbette crescono indisturbati sul tetto del General Hospital. In Colombia, Thailandia e Russia, tetti e balconi ospitano frutta e ortaggi. L’Environmental program delle Nazioni Unite stima che se a Pechino il 70 per cento dei tetti venisse ricoperto di vegetazione, i livelli di anidride carbonica si ridurrebbero dell’80 per cento.
Vertical farm Ma come si costruiscono i tetti verdi? «Strati di vegetazione vengono impiantati sulla superficie» spiega Anna Cooper del Green roof centre di Sheffield, in Gran Bretagna. «Il costo medio si aggira intorno alle 50-80 sterline per metro quadrato. Ovviamente lo spessore varia a seconda del tipo di coltivazione cui ci si vuole dedicare. Per consistenti allevamenti di maiali o galline in palazzi che già esistono occorrerà apportare modifiche strutturali all’edificio». Oggi sono i paesi scandinavi, la Germania, la Svizzera e l’Austria, a essere all’avanguardia in questo campo. Le autorità locali incentivano la presenza di tetti verdi con sovvenzioni, arrivando a pagare anche il 50 per cento del costo totale. «I vantaggi sono molteplici» continua la ricercatrice. «La vegetazione dei tetti assorbe l’acqua, evitando che straripi e causi inondazioni. In più protegge il tetto contro le intemperie del clima».
E in Italia? Stefano Boeri, docente di progettazione urbana alla facoltà di architettura di Venezia, chiarisce: «Da noi la moda dello sky farming non ha ancora attecchito. Quello che sta prendendo piede invece è una nuova visione dell’architettura urbana, dove la vegetazione si fonde con gli edifici. Il progetto cui sto lavorando per l’area Isola-Garibaldi di Milano prevede due torri rivestite da alberi, 700 per ognuna». Oltre alla bellezza dell’estetica, i palazzi serviranno a ridurre le temperature con un notevole risparmio energetico. E aiuteranno a combattere lo smog grazie alle foglie che assorbono le polveri sottili.

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