Latina

Maquila: la crisi annunciata dei capitali "rondine"

Tra il 2008 e il 2009 si sono persi 79 mila posti di lavoro nella regione centroamericana
24 aprile 2009
Giorgio Trucchi

Sandra Ramos durante l'esposizione © (Foto G. Trucchi)

Governi neoliberali, organismi finanziari internazionali ed impresa privata avevano fatto fronte comune durante gli anni 90 per presentare la "maquila" come una panacea per i settori più impoveriti della regione.
Il Plan Puebla Panama (PPP), fortemente voluto dall'ex presidente della Coca Cola per l'America Latina ed ex presidente del Messico, Vicente Fox, prevedeva l'installazione di migliaia di imprese maquiladoras in tutta la regione mesoamericana, predicando che la loro presenza avrebbe risolto il problema della fame e della povertà di milioni di persone.
Coloro che mettevano in dubbio tali convinzioni e questa visione paradisiaca del futuro venivano trattati come volgari agitatori.

La crisi economica che sta scuotendo il mondo ha finalmente portato a galla le tante bugie che queste istituzioni e tante persone ci hanno venduto per anni e che ora, di fronte alla fuga incessante di capitali "rondine" verso i paesi dell'Asia, si stracciano le vesti.

Secondo Sandra Ramos, coordinatrice del Movimento di Donne Lavoratrici e Disoccupate "María Elena Cuadra" (Mec), "ci preoccupa molto l'ermetismo con il quale le imprese stanno gestendo le informazioni sulla perdita di posti di lavoro nella settore della maquila. Qui -ha continuato Ramos- non si vuole creare maggiore instabilità nel paese diffondendo dati preoccupanti, bensì non stare zitti su un tema che interessa direttamente la vita di migliaia di lavoratori e lavoratrici".

L'informazione che il Mec ha presentato è stata corroborata sul terreno dalla rete organizzativa di questa organizzazione ed attraverso le testimonianze di lavoratori e lavoratrici, che sono le persone che maggiormente hanno il polso della situazione in questo momento di crisi del settore.

L'industria tessile in America Centrale ha rappresentato una crescita significativa per le economie della regione. In Honduras rappresenta il 65 per cento del totale delle esportazioni verso gli Stati Uniti, in Salvador il 50 per cento, in Guatemala e Nicaragua il 37 per cento ed in Costa Rica il 18 per cento.

Oltre a contribuire all'aumento delle esportazioni, l'industria tessile ha anche tolto all'agricoltura il ruolo di principale voce all'interno delle economie dei paesi centroamericani. Negli anni 90, il 50 per cento delle esportazioni era rappresentato dai prodotti agricoli, mentre l'industria tessile rappresentava solamente il 24 per cento. Dopo il 2000, la situazione si è invertita ed attualmente l'industria tessile rappresenta il 50 per cento delle esportazioni totali della regione, mentre l'agricoltura è stata relegata ad un misero 5 per cento.

"Questo dimostra il grande impatto che genera l'attuale crisi economica nei nostri paesi, dato che siamo fortemente dipendenti dall'industria "maquiladora" a causa delle politiche errate dei governi centroamericani, che si sono dedicati ad attrarre investimenti veloci a discapito della produzione agricola", ha manifestato Ramos.

Per quanto riguarda la creazione di posti di lavoro, il settore tessile rappresenta per il Nicaragua il 30 per cento della popolazione occupata nel settore manifatturiero. Il 20 per cento nel Salvador e Guatemala, il 27 per cento in Honduras e solo l'8 per cento in Costa Rica.

Riflesso della crisi in America Centrale

All'inizio del 2008, i posti di lavoro diretti generati dalla maquila in Centroamerica erano 411.502. Alla fine dell'anno, l'industria tessile aveva perso 51.538 posti di lavoro, con una diminuzione media del 13,5 per cento e con una punta massima in Nicaragua del 21,47 per cento.
Il 65 percento delle persone che hanno perso il lavoro sono donne.
Nel primo trimestre del 2009, si sono persi ulteriori 27.400 posti di lavoro ed il valore accumulato 2008-2009 raggiunge un totale di 78.938 posti di lavoro persi: 18 mila in Guatemala, 10.200 in Salvador, 3 mila in Costa Rica, 20 mila in Honduras e 27.738 in Nicaragua.

Rispetto al salario minimo dell'industria tessile, il Nicaragua risulta essere il paese col valore più basso della regione, 118 dollari, mentre El Salvador, Guatemala e Honduras si situano in un rango che va dai 164 ai 176 dollari. Il Costa Rica si evidenzia per il salario minimo più alto di 416 dollari.

La crisi in Nicaragua

Il Nicaragua è senza dubbio il paese più colpito dalla crisi economica. Per la coordinatrice del Mec questa situazione è dovuta principalmente alla crisi che ha investito gli Stati Uniti, principale mercato della produzione tessile nicaraguense, ad una struttura dell'industria tessile-vestiario molto piccola e gestita da imprenditori che preferiscono spostare la propria produzione in paesi ancora più poveri, come la Cambogia ed il Vietnam, dove il costo della manodopera è ancora più basso. Altri fattori sono l'estrema instabilità di questi capitali "rondine" ed il fatto che nel paese persiste una certa instabilità politica, che spaventa i nuovi investimenti che provengono dall'estero.

Nel 2006 hanno chiuso tre imprese licenziando 1.401 lavoratori; nel 2007 è avvenuta la stessa cosa con altre tre imprese con una perdita di 1.314 posti di lavoro.
Nel primo semestre del 2008 il grande impatto è stata la chiusura del consorzio taiwanese Nieng Hsing con le sue cinque imprese, che ha provocato il licenziamento di 14.527 lavoratori. Nel secondo semestre del 2008 hanno chiuso altre nove imprese, con un'ulteriore perdita di 5.041 posti di lavoro. Durante il 2008 la perdita totale di posti di lavoro nell'industria tessile nicaraguense è stata di 19.568 unità.

Durante i primi mesi del 2009 hanno già chiuso altre quattro imprese, mentre sono cinque quelle che hanno chiuso parzialmente, per un totale di 5.455 lavoratori licenziati.
Inoltre, nei prossimi mesi potrebbero chiudere altre quattro imprese se non riusciranno a trovare nuove commesse.

Nonostante questa situazione difficile, Sandra Ramos ha riconosciuto lo sforzo fatto dalla Commissione nazionale di zone franche, Cnzf, e la Corporazione di zone franche, Czf, per cercare di far arrivare nuovi investimenti in Nicaragua e nuove commesse per le imprese in difficoltà, evitando così ulteriori licenziamenti.
"Nei locali di alcune imprese ormai chiuse si sono installate un'impresa messicana ed una nordamericana, mentre in maggio inizieranno ad operare altre due imprese di capitale messicano, per un totale di 7.175 nuovi posti di lavoro".
Inoltre -ha continuato Ramos- la Cnzf ha già approvato nel 2009 un totale di otto imprese che stanno apportando 1.401 nuovi posti di lavoro. Ci sono anche imprese che prima hanno chiuso e poi hanno riaperto con una nuova ragione sociale, garantendo 428 posti di lavoro", ha manifestato.

Secondo i dati finali raccolti dal Mec, tra il 2006 e il 2009 hanno chiuso in modo definitivo o parziale 29 imprese e sono stati licenziati 27.738 lavoratori e lavoratrici. Nel 2009 hanno iniziato le loro attività produttive 12 nuove imprese, generando 8.576 posti di lavoro.
Grazie a questo sforzo la percentuale di recupero è stata del 42,38 per cento per quello che riguardano le imprese, mentre per i posti di lavoro il recupero non è andato oltre il 30,92 per cento.

"Segnaliamo anche altri problemi che accompagnano la chiusura delle imprese - ha continuato Ramos.
Molto spesso gli imprenditori non vogliono nemmeno liquidare i lavoratori e le lavoratrici che vengono licenziate, violando ciò che prevede la legge sul lavoro. A volte chiudono e vanno via, mentre in altri casi vogliono pagare a rate senza dare nessun tipo di garanzia. Chiediamo al Ministero del Lavoro, Mitrab, che vigili e che agisca con fermezza nei confronti di questi comportamenti illegali, esigendo loro che paghino quello che devono ai lavoratori.

Un altro punto che ci preoccupa -ha continuato la coordinatrice del Mec- ha a che vedere coi nuovi investimenti. Non vogliamo che accada come agli inizi degli anni 90 quando, nell'affanno di attrarre investimenti, il governo permise ai peggiori impresari maquileros, che violavano costantemente i diritti lavorativi, d'installarsi nel paese. Vogliamo investimenti e lavoro, ma di qualità.

Chiediamo infine che il governo promuova una politica di occupazione con un'ottica di genere, che la regolamenti, che promuova la qualificazione tecnica della forza lavoro del paese e che si regolamenti la Legge di Pari Opportunità approvata lo scorso anno", ha concluso.

© (Testo e Foto Giorgio Trucchi - Lista Informativa "Nicaragua y más" di Associazione Italia-Nicaragua www.itanica.org )

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