Brasile: le comunità indigene occupano il cantiere di Belo Monte
Il principale cantiere di Belo Monte si trova nel municipio di Vitória do Xingu, stato del Pará: è lì che all’inizio di maggio la Polizia Militare si è trovata fronte ad uno scenario imprevisto. Alle proteste dei popoli indigeni, dei ribeirinhos e dei piccoli agricoltori si sono uniti i circa duemila lavoratori del Consórcio Construtor de Belo Monte, che lavorano alla stregua degli schiavi e senza alcun diritto o tutela, dai bassi salari alle inesistenti condizioni di assistenza sanitaria. Nell’area del cantiere il Consorcio impone le sue leggi con l’appoggio delle proprie milizie di sicurezza privata. Ruy Sposati, giornalista del Conselho Indigenista Missionário (Cimi), è uno dei pochi giornalisti che, dalle colonne del quotidiano di sinistra Brasil de Fato, riesce a dare notizie ogni giorno sull’evolversi della situazione, nonostante l’impresa cerchi di ostacolare con ogni mezzo il lavoro dei cronisti. Durante l’occupazione di inizio maggio, a Sposati, ad un fotografo dell’agenzia Reuters e al corrispondente di Radio France Internationale, è giunta una multa ed è stata imposta l’espulsione dall’area dei lavori del cantiere. Norte Energia, l’impresa che ha vinto l’appalto per la gestione dei lavori, poi commissionati al Consórcio Construtor de Belo Monte, ha chiesto alla giustizia federale di Altamira (la città del Pará che sarebbe sommersa dall’acqua per buona parte se i lavori di edificazione della diga arrivassero fino in fondo) di sanzionare gli occupanti del cantiere con una multa di cinquemila reais al giorno. Gli indigeni non si sono scomposti, e per ora mantengono l’occupazione, nonostante all’esterno del cantiere stazioni in maniera permanente uno schieramento spropositato di forze militari, dai poliziotti della Força Nacional alla Polícia Rodoviária Federal, fino alla Tropa de Choque da Polícia Militar (nota per le modalità di azione particolarmente violente) e alle immancabili guardie armate del Consórcio Construtor de Belo Monte. Per far capire l’aria che tira, il giornalista Ruy Sposati ha riportato il dialogo tra gli indigeni che rifiutano di uscire dal cantiere e i militari che li accusano di essere armati. Alla risposta delle comunità, che asseriscono di non avere alcun arma, se non le lance di legno che fanno parte della loro cultura, i poliziotti hanno risposto che invece la loro cultura è quella delle pistole, mettendo la mano sulle armi da fuoco. Inoltre, la Força Nacional ha vietato la diffusione di una lettera indirizzata dalle comunità in lotta ai lavoratori dell’impresa in cui gli indigeni spiegano le loro ragioni. Gli operai non hanno mai ricevuto questa missiva, ma hanno denunciato la presenza di infiltrati tra i lavoratori, pagati appositamente dal Consórcio per seminare il caos e rompere il fronte comune tra operai e indigeni. Le comunità in lotta intendono bloccare i lavori finché non saranno consultate sul progetto di Belo Monte, ma per il momento la presidenta Dilma Rousseff non sembra intenzionata a riceverli. Al contrario, desta grande preoccupazione anche una proposta di legge che, in caso di approvazione, toglierà al presidente brasiliano la possibilità di decidere la demarcazione dei territori indigeni per attribuirla al Congresso, dove è presente in forze, e trasversale agli schieramenti tradizionali, la potente bancada ruralista. Il governo sembra essere insensibile non solo sul caso Belo Monte, ma anche su quello dei fiumi Tapajós e Teles Pires, due tra i principali affluenti del Rio delle Amazzoni dove probabilmente saranno costruite nuove dighe. L’unica offerta giunta dal Planalto alle comunità indigene è stata quella di avviare dei colloqui fuori dal cantiere occupato, ma gli indigeni non hanno abboccato. Se la diga di Belo Monte sarà costruita, la già precaria economia di sussistenza su cui hanno sempre fatto affidamento indigeni, piccoli agricoltori, ribeirinhos e contadini rischia di andare in crisi: già adesso, dopo le prime dighe provvisorie edificate per poter lavorare alla centrale idroelettrica, alcuni tratti del Rio Xingu non sono più navigabili. Inoltre, almeno un centinaio di chilometri del fiume nella Volta Grande do Xingu rischierebbero di prosciugarsi.
Le comunità indigene sono fermamente convinte che Belo Monte “è un mostro che può essere sconfitto”, ma il governo brasiliano, fin dalle presidenze di Lula, ha scommesso sull’apertura agli investimenti stranieri e sulla crescita economica: difficile che il Planalto torni indietro.
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