Latina

A 9 mesi dal suo omicidio lo Stato brasiliano continua a tacere

Verità e giustizia per Marielle Franco

Alla fiera Più libri più liberi di Roma la coraggiosa denuncia di Monica Tereza Benicio, compagna della donna, e della giornalista Fernanda Chaves
12 dicembre 2018
David Lifodi

Marielle Franco

Lute como Marielle Franco (lotta come Marielle Franco): c’è scritto così sulla maglietta nera di Monica Tereza Benicio, la compagna dell’attivista lesbica, femminista e consigliera municipale del Psol (Partido Socialismo e Liberdade), uccisa lo scorso 14 marzo a Rio de Janeiro da nove colpi di arma da fuoco all’uscita da una riunione con un gruppo di giovani donne nere.

In Italia per una serie di incontri insieme a Fernanda Chaves, la giornalista e collaboratrice di Marielle sopravvissuta all’attentato che ha ucciso la donna e il loro autista Anderson Pedro Gomes, Monica Tereza Benicio è intervenuta a Più libri più liberi, la fiera nazionale della piccola e media editoria che si è tenuta a Roma dal 5 al 9 dicembre. Nelle parole di entrambe le donne la convinzione che quello di Marielle sia stato un omicidio politico premeditato figlio della spirale di odio che sempre più soffia in Brasile, a maggior ragione a seguito della vittoria elettorale di Jair Bolsonaro, il presidente di estrema destra che il prossimo 1 gennaio 2019 si insedierà ufficialmente al Planalto.

Marielle, spiega Monica Tereza Benicio, faceva politica attiva occupandosi di tutelare i diritti umani, di sostenere i favelados (lei  stessa proveniva da una favela, quella di Maré, a nord di Rio de Janeiro, e per questo amava definirsi cria da Maré, una figlia di Maré) ed era una di quelle figure pubbliche che si batteva per una società più giusta ed ugualitaria. A nove mesi dall’omicidio, accusa la compagna di Marielle, lo Stato non si è mai dato realmente da fare per risolvere il crimine, probabilmente proprio perché ha sempre rifiutato l’impegno della donna a fianco della popolazione nera, della comunità lgbt e per i diritti civili. Non solo: lo Stato ha cercato con tutti i mezzi a sua disposizione di derubricare a crimine comune un delitto di natura politica.

È per questo che Monica Tereza Benicio è tornata ad insistere sulle responsabilità della polizia militare, sia per le violenze commesse contro gli abitanti delle favelas sia perché i proiettili sparati contro Marielle, Fernanda Chaves e il suo autista sono risultati essere proprio quelli in dotazione ai reparti speciali che in teoria dovrebbero garantire quella sicurezza per la quale così tanto la consigliera del Psol si era spesa. Si, paradossalmente proprio la sicurezza, quella tematica così cara a Bolsonaro, che probabilmente ha vinto le presidenziali puntando su frasi shock per esaltare i peggiori istinti delle persone, rappresentava una delle maggiori preoccupazioni di Marielle. Ovviamente, la giovane donna (era nata nel 1979) si occupava di questo aspetto in maniera diametralmente opposta al nuovo presidente del Brasile, chiedendo maggiori garanzie per i favelados, spesso costretti a subire i soprusi della polizia militare inviata nei loro quartieri e costretti a fare i conti con la militarizzazione delle favelas, imposta dall’allora presidente golpista Temer. Poco prima dell’omicidio, Marielle Franco era stata scelta dal suo partito per  monitorare gli abusi della polizia nella favela di Acari, nella zona nord di Rio de Janeiro, dove il 41° battaglione aveva ripetutamente terrorizzato gli abitanti.

Fernanda Chaves ha sottolineando che è compito dello Stato chiarire la provenienza di quelle pallottole che per poco non l’hanno uccisa, ma hanno fatto tacere per sempre la voce di Marielle. I killer della donna ancora non hanno né un nome né un volto, eppure, nonostante il difficile momento politico che sta affrontando il Brasile, sono in molti ad aver raccolto l’eredità di Marielle Franco, a partire dalla comunità nera, da quella lgbt e dal movimento femminista. Proprio quest’ultimo, dopo il vile assassinio della donna, non si è ritratto, ha ribadito Fernanda, ma è sceso in strada per contrastare con ogni mezzo Jair Bolsonaro, trasformando il lutto in lotta per ricordare che lo spirito di Marielle è ancora vivo.

Fernanda Chaves ha definito il Brasile un “paese senza memoria” perché abituato a vivere nella violenza: per questo la maggioranza dei brasiliani ha votato Bolsonaro, come se avesse dimenticato quella dittatura che per 21 anni, dal 1964 al 1985, ha imprigionato il paese. Oggi, le prime mosse di Bolsonaro e la quasi quotidiana esaltazione del regime militare da parte del nuovo presidente e dei suoi ministri in pectore, non fa presagire nulla di buono.

Note: Articolo realizzato da David Lifodi per www.peacelink.it
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