Colombia senza pace
L'abbandono della lotta armata da parte delle Farc, la principale, ma non unica, forza guerrigliera del paese e la sua trasformazione in partito politico è servita allo Stato e all'opinione pubblica per far passare in secondo piano la guerra sporca contro i movimenti sociali colombiani, come se la guerriglia fosse l'unica causa della spirale di violenza che fin dalla seconda metà degli anni Quaranta insanguina il paese. Santos ha disatteso gran parte degli accordi di pace firmati con le Farc e la situazione non sembra essere destinata a migliorare granché con l'ultraconservatore Iván Duque, insediatosi da pochi mesi a Palacio Nariño e dietro al quale sembra nascondersi ancora l'ex presidente Álvaro Uribe.
Una cosa è comunque certa: l'attentato del 17 gennaio non giova né ai movimenti sociali né a tutti coloro che desiderano vivere in pace. Subito dopo l'esplosione dell'autobomba, il governo ha accusato di quanto accaduto l'Eln (Ejército de Liberación Nacional, la seconda guerriglia del paese) individuando nell'autista kamikaze, José Aldemar Rojas Rodríguez, un esponente di di spicco del fronte guerrigliero Domingo Lain. Se davvero fosse così, molti analisti politici hanno evidenziato come l'Eln, impegnato in un difficile dialogo a Cuba con il governo (finora poco fruttuoso soprattutto per colpa proprio dello Stato), abbia commesso un gravissimo errore, compiendo un deliberato atto di guerra di cui a pagarne la ritorsione saranno le organizzazioni sociali e politiche colombiane.
Duque giustificherà la repressione come un atto necessario e la guerra sporca di cui sono responsabili lo Stato colombiano e i gruppi paramilitari (ancora vicinissimi a Uribe e sicuri di aver garantita l'impunità) passerà ancora una volta in secondo piano. Poco importa se tra i principali artefici dell'accusa all'Eln si è palesato il magistrato Néstor Humberto Martínez, a sua volta indagato per corruzione e contro il quale, solo pochi giorni prima dell'attentato, migliaia di persone hanno chiesto le sue dimissioni.
Nel solo biennio 2017-2018 in Colombia sono stati assassinati 426 leader sociali e attivisti per i diritti umani e, in questi primi giorni di gennaio, i caduti sono già 11. Gli autori, e i loro mandanti, appartengono alle bande criminali (Bacrim) che agiscono per perpetrare il furto della terra alle comunità indigene e contadine e favorire le condizioni ideali per le fumigazioni di glifosato, la costruzione di miniere a cielo aperto e delle centrali idroelettriche. Quello che ogni giorno di più si va configurando come un vero e proprio piano di sterminio ai danni dei dirigenti popolari, vede la collaborazione delle forze armate (almeno fino agli anni Ottanta), degli squadroni paramilitari e dei cartelli della droga, fino all'attuale eliminazione, a ritmo quasi quotidiano, degli oppositori politici. Interpellati su questa mattanza, i vertici dello Stato finora hanno preferito innalzare una cortina di fumo, limitandosi ad asserire che le vittime non erano mai state oggetto di minacce.
Sull'attentato alla Escuela de Cadetas del 17 gennaio, in molti hanno evidenziato come un fatto di queste dimensioni non avvennisse dall'epoca di Pablo Escobar. Tuttavia, l'immediata accusa formulata dallo Stato all'Eln, incolpato di essere il sicuro responsabile dell'attacco suicida, non solo ha congelato la già tortuosa strada verso una pace già ritenuta un miraggio, ma è servita a rafforzare il partito della guerra, che vanta tra i suoi più autorevoli rappresentanti la coppia Duque-Uribe, già apertamente contraria ai peraltro ambigui accordi di pace sui quali aveva insistito Juan Manuel Santos nell'evidente tentativo (del tutto personale) di passare come (presunto) uomo di pace.
Sugli autori dell'attentato restano comunque molti dubbi. Gli attentati esplosivi sono sempre stati una prerogativa dei narcos o delle organizzazioni paramilitari nate sulle ceneri delle (solo in parte) smobilitate Autodefensas Unidas de Colombia (Auc), dal Clan del Golfo alle Águilas Negras, che adesso prosperano sulla gravissima crisi economico-politico-sociale in cui versa il paese ed hanno ancora una volta il campo libero per poter scatenare la loro guerra contro i movimenti sociali e i partiti politici di sinistra. Peraltro, sono in molti a chiedersi se l'autobomba sia realmente un'azione terrorista dell'Eln o un falso postivo, in cui Uribe ai tempi della presidenza era un maestro, e quindi provocato dai paras o dallo stesso esercito colombiano allo scopo di seppellire definitivamente la pace.
L'Eln, che aveva accettato il cessate il fuoco bilaterale dal 23 dicembre al 3 gennaio scorso, si trova adesso sotto un fuoco incrociato di accuse, ma aldilà di scoprire i reali autori dell'attacco, lo Stato colombiano, una volta di più, si trova nella vantaggiosa posizione di poter negoziare la pace e la guerra sulla base dei propri interessi ed ha buon gioco nel criminalizzare i movimenti sociali. In un contesto in cui l'istituzione statale si conferma autoritaria (qualcuno ha parlato di democrazia genocida), le lotte di resistenza si radicalizzano e la concentrazione della ricchezza resta nelle mani di una ristretta minoranza, a rimetterci è quella Colombia popolare stanca di guerra e di violenza, ma costretta a fronteggiare, ancora una volta, l'uribismo tornato al potere ed incarnato dal presidente Duque.
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