Perù: Celia Ramos vittima di sterilizzazione forzata
Per la Cepal la battaglia per l’aborto libero, sicuro e gratuito si identifica, inevitabilmente, nella lotta contro un sistema che ha trasformato la vita e i corpi in merci. La femminista argentina Alejandra Rizzo, in uno speciale pubblicato online dall’agenzia di notizie nodal.am dedicato al diritto all’aborto e diffuso il 28 settembre, individua come problema principale quello della presenza di una “Nuova Aristocrazia Finanziaria e Tecnologica” che impone e controlla determinate condizioni materiali di esistenza e decide chi nasce e chi no all’insegna del cosiddetto capitalismo heteropatriarcal da cui deriva quella precarietà volta a condizionare le persone impedendo loro di prendere liberamente le proprie decisioni.
Quest’anno, in America latina, la Giornata di azione globale per l’aborto libero, sicuro e gratuito non può che portare il nome di Celia Ramos, la donna peruviana deceduta a seguito della sterilizzazione forzata imposta dall’allora regime di Alberto “el Chino” Fujimori. Il suo caso è stato il primo ad arrivare di fronte alla Corte interamericana per i diritti umani.
La donna, nonostante fosse poco convinta di sottoporsi al trattamento della sterilizzazione, decise di accettare a seguito delle forti pressioni ricevute, incentrate su informazioni fuorvianti che finirono per far presa su Celia Ramos, la quale, abitando in un villaggio povero e con poche possibilità di documentarsi, non ebbe modo di valutare i pro e i contro di una scelta così delicata. L’intervento venne effettuato il 3 luglio 1997 e, diciannove giorni dopo, la donna morì.
La sterilizzazione di Celia Ramos faceva parte del Programa Nacional de Salud Reproductiva y Planificación Familiar promosso dalla dittatura fujimorista tra il 1996 e il 2000 e rivolto volutamente a donne povere, con uno scarso livello di alfabetizzazione e residenti in zone rurali e indigene con il consenso del personale sanitario allineato con il regime. Nel 2021 la Commissione interamericana per i diritti umani dichiarò lo Stato peruviano responsabile di aver violato i diritti di Celia Ramos imponendo non solo un risarcimento alla sua famiglia, ma raccomandando anche di implementare un programma di politiche pubbliche volto a rispettare il diritto delle donne contrarie a sottoporsi alla pratica della sterilizzazione, oltre ad adoperarsi per ricevere un consenso realmente informato.
Tuttavia, di fronte all’assenza di risposte concrete dello Stato, nel 2024 si pronunciò anche il Comitato Onu per l’eliminazione delle discriminazioni contro le donne (Cedaw), definendo il piano architettato da Fujimori come “un attacco sistematico e generalizzato contro le donne indigene e contadine”. Il Programa Nacional de Salud Reproductiva y Planificación Familiar si inseriva nell’ambito del Manual de Salud Reproductiva, volto a sostituire apertamente l’autonomia decisionale delle donne con quella del personale medico tramite l’inganno, la disinformazione e minacce in evidente contrasto con il consenso previo, libero e informato.
Nonostante il Registro de Víctimas de Esterilizaciones Forzadas abbia raccolto quasi settemila casi di donne a cui è stata imposta la sterilizzazione forzata, ma si parli di circa duecentomila donne costrette, loro malgrado, a subire questo interventi (Cecilia Ramos è una delle 18 donne sottoposte a tale trattamento che successivamente sono decedute), il Perù non ha mai pagato per quanto accaduto né ha predisposto un risarcimento per i familiari delle vittime.
Al momento del decesso Celia Ramos era madre di tre figli e aveva 34 anni. Il 22 maggio di quest’anno, grazie alla caparbietà di una delle figlie, la Commissione interamericana per i diritti umani ha riconosciuto definitivamente la responsabilità dello Stato peruviano in merito alla sterilizzazione forzata. Per questo, la giornata del 28 settembre 2025 è stata dedicata a Celia e a tutte le donne peruviane che non hanno ancora ottenuto giustizia.
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