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Statement di Massimo Pastore

33° sessione del Comitato delle Nazioni Unite per i diritti economici, sociali e culturali
8 novembre 2004
Fonte: Comitato per la promozione e protezione dei diritti umani

STATEMENT alla 33° sessione del Comitato delle Nazioni Unite per i diritti economici, sociali e culturali, Ginevra 8-26 Novembre 2004

in occasione dell’esame del quarto rapporto periodico del Governo italiano sull’attuazione del Patto Internazionale sui diritti economici, sociali e culturali

MASSIMO PASTORE, ASGI – Associazione Studi Giuridici Immigrazione
a nome del COMITATO PER LA PROMOZIONE E PROTEZIONE DEI DIRITTI UMANI

DIRITTI ECONOMICI, SOCIALI E CULTURALI DEI MIGRANTI

La condizione dei lavoratori migranti e delle loro famiglie è stata oggetto negli ultimi 20 anni in Italia di diversi interventi legislativi. Attualmente la materia è regolata dal Testo unico sull’immigrazione del 1998 (basato sulla legge di riforma n. 40 del 1998), che è stato recentemente modificato dalla legge n. 189/2002 (c.d. legge “Bossi-Fini”).
Nel suo complesso, la riforma apportata dalla legge Bossi–Fini risulta caratterizzata dalla preoccupazione di affrontare il fenomeno dell'immigrazione soprattutto come una questione di ordine pubblico, ponendo in primo luogo l’esigenza di allontanare gli immigrati irregolari e di contrastare il traffico di clandestini. La nuova legge - oltre ad inasprire l’apparato sanzionatorio - riduce fortemente le possibilità di ingresso legale per lavoro, accentuando la precarietà dei lavoratori migranti, costretti di fatto all’ingresso clandestino o a limitate possibilità di ingresso per lavoro prevalentemente stagionale.
La riforma del 2002 ha lasciato pressoché inalterate le disposizioni del 1998 in materia di diritto alla salute, all’istruzione, alla casa, all’assistenza e all’istruzione sociale, ma ha profondamente modificato la disciplina dei permessi di soggiorno, delle espulsioni e del ricongiungimento familiare.
Le restrizioni introdotte dalla legge 189/2002 hanno prodotto una pericolosa precarizzazione di tutti gli immigrati, anche di quelli in regola da anni nel nostro paese, e ne stanno di fatto riducendo l’effettiva possibilità di fruire dei diritti economici, sociali e culturali sanciti dal Patto. Il godimento dei diritti umani fondamentali civili, culturali, economici, politici e sociali è infatti per lo più legato, per gli stranieri non-comunitari, alla effettiva titolarità del permesso o della carta di soggiorno.
I principali punti critici da evidenziare sono i seguenti:

1) RINNOVO DEI PERMESSI DI SOGGIORNO. Dopo l’entrata in vigore della legge di riforma del 2002 i tempi impiegati dalle Questure per rinnovare i permessi di soggiorno, che già erano molto lunghi, si sono enormemente dilatati. In molte città, il periodo di attesa del rinnovo varia da 5-6 mesi a più di un anno. Poiché poi la riforma del 2002 ha stabilito che i permessi non possono comunque valere per più di due anni (nella maggior parte dei casi sono però rilasciati per un anno), un numero crescente di lavoratori migranti si trova a vivere in Italia “in attesa del rinnovo del permesso di soggiorno”. In molti casi, lo straniero ritira un permesso già scaduto e lo deposita nuovamente in Questura per il successivo rinnovo. Nella fase di rinnovo del permesso, i diritti del lavoratore sono incerti e spesso lasciati alle diverse decisioni delle autorità locali. In ogni caso, i lavoratori non possono allontanarsi dall’Italia e farvi rientro: in moltissimi casi quindi non riescono nemmeno a usufruire delle ferie.
Q: Che cosa intende fare il Governo italiano per ridurre drasticamente i tempi necessari per rinnovare i permessi di soggiorno e per mettere le Questure in condizione di rispettare il termine previsto dalla legge, che è di 20 giorni?

2) PERMESSO DI SOGGIORNO, CONTRATTO DI SOGGIORNO E RINNOVO DEI PERMESSI.

Aspetto centrale della nuova disciplina introdotta nel 2002 (legge Bossi-Fini) è il nuovo "contratto di soggiorno", la cui concessione è legata all'esistenza di un contratto di lavoro, con la conseguenza che lo status giuridico dell'immigrato dipende dalla persistenza del rapporto di lavoro, quindi, in definitiva, dalla volontà del datore di lavoro. La stabilità lavorativa diventa quindi un requisito determinante per ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno. E’ possibile infatti affermare che già dal 1998, e ancora di più dal 2002, la maggior parte dei rigetti di domande di rinnovo sono dovuti alla precarietà delle occupazioni e alla ritenuta insufficienza dei mezzi di sostentamento.
La riforma del mercato del lavoro introdotta con la “legge Biagi” nel 2003, con la forte differenziazione e flessibilità dei rapporti di lavoro che ne è seguita, ha accresciuto le difficoltà che incontrano gli immigrati in Italia nella stipula di rapporti di lavoro che - in base al T.U. sull’immigrazione, come modificato dalla legge 189/2002 - dovrebbero invece essere caratterizzati dalla stabilità e dalla durata nel tempo per garantire la possibilità di rinnovare il permesso per lavoro subordinato. Vi è quindi un contrasto evidente tra quanto viene richiesto ai lavoratori migranti e la nuova disciplina generale del mercato del lavoro che invece promuove flessibilità e rapporti di lavoro diversi dal contratto a tempo indeterminato.
Il Comitato sottolinea con preoccupazione che legare la possibilità di soggiorno legale alla stipula (ed alla permanenza) di tipi contratti di lavoro che l’evoluzione del mercato tende a superare, significa esporre gli immigrati ad ogni sorta di pressioni, che possono tradursi in comportamenti ricattatori a danno dei soggetti più deboli. Significa inoltre porre le basi per un massiccio fenomeno di “ritorno alla irregolarità” da parte di lavoratori che, proprio perché costituiscono il settore più debole della forza lavoro, più difficilmente possono avere accesso ai contratti più garantiti. La conseguenza più evidente che ne deriva, anche tra gli immigrati regolarmente residenti, è da una parte la diffusione delle diverse tipologie di lavoro informale, fino al vero e proprio lavoro nero, dall’altra la perdita del permesso di soggiorno da parte di soggetti che in molti casi sono regolarmente residenti in Italia da diversi anni.
3) RICONGIUNGIMENTO FAMILIARE.
Ai richiedenti asilo non è consentito, fino alla decisione della Commissione centrale sul riconoscimento dello status di rifugiato, di attuare il ricongiungimento con i familiari. Per i rifugiati riconosciuti è invece previsto il diritto al ricongiungimento, con modalità agevolate rispetto a quanto previsto per i lavoratori migranti. Per i lavoratori migranti è richiesto di dimostrare un reddito annuo suddiviso in tre scaglioni (a seconda del numero dei componenti il nucleo familiare). I tre scaglioni sono calcolati sulla base dell’importo annuo dell’assegno sociale. La conseguenza paradossale è che tanto più aumenta di anno in anno l’importo dell’assegno sociale (di cui usufruiscono quasi solo gli italiani), tanto più diminuisce la possibilità per i migranti di attuare il ricongiungimento famigliare.
4) ASSISTENZA SOCIALE.
Le limitazioni introdotte con la legge finanziaria del 2001 (v. Supplementary Report, p. 48, lett. f) hanno escluso la possibilità per i titolari di permesso di soggiorno di usufruire della maggior parte delle prestazioni economiche di assistenza sociale, che sono ora riservate ai titolari di carta di soggiorno. Ciò crea una grave violazione dei diritti fondamentali, soprattutto nel caso di persone che diventano invalide al lavoro. Questue ultime non possono ottenere la carta di soggiorno perché non possono dimostrare il reddito richiesto, e non possono ottenere l’assistenza sociale perché non hanno la carta di soggiorno. Particolarmente grave è la situazione dei figli portatori di handicap o gravi invalidità, che avranno diritto alle prestazioni di assistenza economica solo se i genitori ottengono la carta di soggiorno prima che essi diventino maggiorenni.
5) RAZZISMO E DISCRIMINAZIONE.

La normativa nazionale del 1998 contro gli atti di discriminazione razziale ha avuto un’applicazione molto limitata. Non sono stati neppure costituiti gli osservatori regionali contro la discriminazione razziale, pur previsti dalla legge 40 del 1998. Dopo l’attuazione delle direttive comunitarie (decreti legislativi n. 215 e 216 del 2003), le prospettive sembrano ancora peggiori. I decreti attuativi infatti non prevedono espressamente la regola della inversione dell’onere della prova, e contengono una clausola “omnibus” che rischia di costituire la giustificazione di molti comportamenti concretamente discriminatori, siano essi istituzionali e non (v. Supplementary Report, p.p. 44-45).
Mentre la Convenzione ONU sui diritti dei lavoratori migranti e il Piano di azione della Conferenza di Durban sollecitavano i diversi paesi firmatari a modificare le legislazioni interne che risultassero in contrasto con il divieto di discriminazione razziale, la clausola omnibus viola gli standard internazionali e afferma la intangibilità della legislazione interna in materia di condizione giuridica degli immigrati, anche quando questa risulta direttamente o indirettamente discriminatoria.
In questo modo si chiude quasi completamente la possibilità di perseguire tanto il cd. razzismo istituzionale, spesso nella forma di atti o comportamenti posti in essere da pubblici ufficiali, riconducibili al concetto di discriminazione indiretta, quanto le sempre più diffuse discriminazioni verificate nell’ambito dei rapporti di lavoro.
A questo si aggiunga che il neo-istituito Ufficio per la promozione della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni, non essendo in alcun modo qualificabile come un organismo indipendente, non ha assolutamente le caratteristiche per poter garantire la “imparzialità”, la “piena autonomia di giudizio”, la “eguaglianza di trattamento” e la “effettività degli strumenti addottati per combattere le discriminazioni”, come invece sostiene il Governo italiano (v. Replies by the Government of Italy, Point 15, p. 3)

6) LA CONVENZIONE ONU SUI DIRITTI DEI LAVORATORI MIGRANTI E DELLE LORO FAMIGLIE.
L’Italia non ha ancora neppure firmato la Convenzione ONU del 1990 sulla protezione dei lavoratori migranti e delle loro famiglie. La condizione dei migranti lavoratori in una condizione di irregolarità rimane pertanto caratterizzata dalla massima precarietà. In realtà la presenza di lavoratori irregolari sul nostro territorio è spesso tollerata, per soddisfare le esigenze del mercato del lavoro. La persistenza di un folto numero di lavoratori migranti irregolari, e il loro assorbimento da parte del mercato del lavoro”informale” costituiscono una caratteristica italiana, che si riflette sulla generale precarizzazione della condizione dei lavoratori nazionali. La ratifica della Convenzione del 1990 costituirebbe un indubbio passo avanti verso l’effettiva possibilità da parte dei lavoratori migranti (sia regolari sia irregolari) di beneficiare dei diritti economici, sociali e culturali previsti dal Patto internazionale del 1966.

PROPOSTE DI INTERVENTO
1) modificare la disciplina legislativa del permesso di soggiorno per lavoro subordinato, rendendola compatibile con la riforma del mercato del lavoro introdotta con la “legge Biagi” quanto ai requisiti di stabilità e durata dei contratti di lavoro, e di idoneità dei mezzi di sostentamento. Escludere che la disciplina del “contratto di soggiorno” si applichi anche a chi è già autorizzato a lavorare in Italia, e non solo in occasione del primo ingresso;
2) introdurre modifiche legislative al Testo unico sull’immigrazione per definire chiaramente lo status del lavoratore in attesa del rinnovo del permesso di soggiorno, parificandolo completamente alla condizione di chi è titolare di permesso non scaduto per quanto riguarda la possibilità di trovare una nuova occupazione, il diritto al ricongiungimento familiare, la possibilità di conseguire titoli di studio e licenze (per es. le patenti di guida), la possibilità di accedere agli alloggi di edilizia pubblica, la possibilità di lasciare il territorio nazionale con la sicurezza di farvi rientro, ecc. In altre parole, per garantire che anche nella fase del rinnovo il lavoratore abbia pieno accesso ai diritti civili, culturali, economici, politici e sociali;

3) prevedere la possibilità anche per i richiedenti asilo di attuare il ricongiungimento familiare alle stesse condizioni previste per i rifugiati, eventualmente previa concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari (art. 29 regolam. attuaz.) in tutti i casi in cui il richiedente asilo non può comunque essere rimpatriato per il rischio di subire persecuzioni (principio di non refoulement, art. 33 Conv. di Ginevra, art. 3 C.E.D.U., art. 19 co. 1 Testo unico immigrazione);

4) rivedere la disciplina dei requisiti di reddito previsti per il diritto al ricongiungimento familiare, evitando che la possibilità di ricongiungimento si riduca ogni volta che viene aumentato l’importo dell’assegno sociale;

5) estendere le possibilità di usufruire dei servizi di assistenza sociale, anche in forma di assistenza economica, anche agli stranieri titolari di permesso di soggiorno

6) dare effettiva e piena attuazione alle disposizioni contro le discriminazioni, rivedendo le norme che contrastano con le direttive comunitarie, istituendo un’autorità nazionale effettivamente indipendente, istituendo i centri di osservazione previsti dall’art. 44 del Testo unico, promuovendo capillari campagne di sensibilizzazione ecc. Prevedere per l’attuazione delle norme contro la discriminazione adeguate risorse finanziarie

7) ratificare la Convenzione ONU del 1990 sulla protezione dei lavoratori migranti e delle loro famiglie

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