LETTERA

Al Direttore di AVVENIRE ...un banale errore

E' proprio vero, non è più come una volta. Quando non c'era la posta
elettronica, e anche i giornali si facevano con più calma....

Oggi c'è l'e-mail, si clicca e via, l'articolo è spedito. Solo che è anche più
facile sbagliare. Ti scappa il clic sull'indirizzo sbagliato ed è fatta. Invece di inviare a Giuseppe, hai spedito a Franco o a Martina e magari
non volevi neanche che venisse a sapere quello che scrivevi. E' la tecnologia, affascinante ma fallace.
Lo abbiamo visto anche con i missili e le bombe intelligenti, qualche volta si sbaglia obiettivo. E pazienza, si chiede scusa e si va avanti. Probabillmente è successo così anche all'editorialista di Avvenire, Vittorio E. Parsi, che, forse su invito diretto del Ministro della Difesa ha scritto un articolo dal titolo: Le nostre Forze Armate, In prima linea per gli altri e per il Paese. Vengono celebrate le missioni di pace; si legge che "le Forze Armate della Repubblica hanno spesso rappresentato il biglietto da visita del Paese, e sempre hanno sostenuto l'immagine e il prestigio della nazione." E via via viene decantata la professionalità del 'mestiere delle armi', delle motivazioni per i fronti e le missioni di pace. "Siamo in Afghanistan e in Iraq per assicurare il nostro contributo nella difesa - scrive Parsi - contro
quelle formazioni terroristiche che hanno dichiarato guerra a chiunque creda nella libertà e nella tolleranza, a qualunque cultura o fede appartenga." Un bell'articolo da giornalista embedded, 'arruolato', come si usa adesso. Perfetto per il Ministero della Difesa.

Peccato che il clic sull'e-mail sbagliata lo abbia fatto arrivare alla Redazione del quotidiano cattolico AVVENIRE che lo ha pubblicato, forse senza leggerlo bene, fidandosi dell'autorevole firma, venerdì 5 agosto.

Solo un banale errore può aver consentito la pubblicazione sul quotidiano cattolico di un articolo dove come biglietto da visita dell'Italia non si indicano i missionari, a volte anche uccisi, o i numerosi volontari, ma le forze armate.

Solo un banale errore può aver consentito la celebrazione della guerra
dimenticando tutto il magistero della chiesa: da Benedetto XV " Questa guerra, un'inutile strage", a Giovanni XXIII, che nella Pacem in Terris parla della guerra "alienum est a ratione", cioè fuori di testa; a Giovanni Paolo II che sempre ha condannato la guerra come "avventura senza ritorno" e che affermò, nel 1979 in Irlanda: "Proclamo, con la convinzione della mia fede in Cristo e con la coscienza della mia missione, che la violenza è un male, che la violenza è inaccettabile come soluzione dei problemi, che la violenza è indegna dell'uomo. La violenza distrugge ciò che sostiene di difendere: la dignità, la vita, la libertà degli esseri umani".

Sono un banale errore può aver consentito la pubblicazione sul quotidiano cattolico di un articolo che non tiene conto della condanna della assurdità della guerra preventiva.
Sono un banale errore può aver consentito la pubblicazione sul quotidiano cattolico una riflessione che poco ha a che vedere con riferimenti evangelici, che sembrerebbero andare in altre direzioni, quali quelle del disarmo, della nonviolenza, del dialogo e della riconciliazione: tu non uccidere, tu dona la vita, non calpestarla mai in nessun modo, ci ricorda Gesù.

Facciamo queste considerazioni oggi 6 agosto 2005, a 60 anni dallo sgancio della bomba di Hiroshima, davanti all¹aeroporto militare di Ghedi (Brescia) in cui sono stipate 40 bombe atomiche e da cui sono partiti i tornado per la guerra del Golfo: saranno anche questi strumento per un "nuovo fronte di pace" e modo per "sostenere l¹immagine e il prestigio del nostro Paese"?

Accidenti a questi sistemi tecnologici, dove basta un clic per sbagliare.
Saranno rimasti stupiti, come noi, i lettori di Avvenire.Ma siamo certi, non tarderanno le scuse per il "banale" errore.

6 agosto 2005

don Fabio Corazzina, coordinatore nazionale Pax Christi

don Renato Sacco, Mosaico di Pace

per contatti:

don Fabio Corazzina,
tel. 030 3756650
cell. 3343436522
e-mail: alqantara@tin.it

don Renato Sacco,
tel 0323 827120
e-mail: drenato@tin.it


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Segue editoriale di Avvenire del 5 agosto 2005

Le nostre Forze Armate
In prima linea per gli altri e per il Paese

Vittorio E. Parsi Avvenire 5 agosto 2005

Ieri il generale Graziano ha assunto per i prossimi sei mesi il comando della Brigata Internazionale di stanza nella regione di Kabul. Va così ad aggiungersi al generale di corpo d'armata Del Vecchio, che per un periodo di nove mesi ha la responsabilità militare dell'intero Afghanistan. Negli avvicendamenti che portano ai vertici della catena di comando due generali italiani non c'è nulla di casuale o automatico. Si tratta invece del riconoscimento alle truppe italiane, che hanno ben meritato in questo scacchiere, come negli altri in cui sono impegnate.

E sono molti i teatri operativi che in questi anni han visto i nostri
militari ottimamente comportarsi: dall'Africa all'Estremo Oriente, dall'Asia Centrale al Medio Oriente, fino ai Balcani. Le Forze Armate della Repubblica hanno spesso rappresentato il biglietto da visita del Paese, e sempre hanno sostenuto l'immagine e il prestigio della nazione.

Esse sono ormai composte da professionisti, ben lontani dallo stereotipo del "soldatino", uomini e donne in grado di operare fianco a fianco dei migliori eserciti del mondo. Non solo, in un Paese che fatica più del dovuto a esprimere classi dirigenti e capitani d'industria in grado di misurarsi a livello internazionale, le Forze Armate italiane rappresentano una confortante certezza, capace di assicurare uno standard elevato di prestazione. Eppure, ancora una volta a discapito dei tanti luoghi comuni, l'incremento della professionalità nel difficile "mestiere delle armi" non ha minimamente intaccato quelle qualità di umanità, flessibilità e solidarietà che, anzi, le ha fatte apprezzare non solo dagli alleati, ma soprattutto dalle popolazioni che sono incaricate di proteggere.

I "fronti" su cui i nostri militari sono impegnati sono tutti "fronti di
pace", missioni di carattere internazionale dedicate al mantenimento o
al ripristino di que lle condizioni minime di sicurezza senza le quali
nessuna società e nessun Paese può sperare di lasciarsi alle spalle le
distruzioni, fisiche e morali, che qualunque guerra comporta. È uno sforzo importante e costoso che, mentre consente a uomini e mezzi di operare in situazioni operative non simulate, logora gli uni e gli altri, e sottrae risorse e tempo alla necessaria routine di addestramento.
Con quale criterio, allora, dovremmo decidere le missioni a cui è opportuno partecipare? Molto sommariamente, a puro titolo esemplificativo, si possono individuare tre tipologie. Le prime sono quelle che hanno come teatro regioni nelle quali, per collocazione geografica, per eredità storica e per potenziale di destabilizzazione o sviluppo, si vede un interesse diretto dell'Italia: è il caso dei Balcani. Nelle seconde il nostra intervento è dettato da motivi di
urgenza umanitaria, come nel Darfur. Il terzo tipo, infine, è quello che
possiamo definire di carattere strategico, orientato cioè a conseguire
obiettivi sistemici, coordinati con i nostri alleati. Siamo in Afghanistan e in Iraq per assicurare il nostro contributo nella difesa contro quelle formazioni terroristiche che hanno dichiarato guerra a chiunque creda nella libertà e nella tolleranza, a qualunque cultura o fede appartenga. Sono queste ultime le operazioni più difficili da attuare e, per molti aspetti, le più rischiose. Di sicuro sono quelle più "politiche". Ma in nessun modo possono essere intese diverse dalle altre nello scopo di «ripristinare le condizioni di sicurezza necessarie allo sviluppo pacifico delle popolazioni locali e delle loro istituzioni».


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