Il dialogo si impara dialogando
Simone Morandini, membro dell’esecutivo del SAE e docente di teologia ecumenica
"La convergenza di sensibilità, contatti e competenze diverse, assieme alla generosità dell'impegno che tanti hanno profuso, ha permesso di realizzare un appuntamento davvero intenso e vivace".
Alla luce del successo del convegno ecumenico giovanile "Osare la pace per fede", abbiamo chiesto una valutazione ed una riflessione a posteriori ad uno degli organizzatori, Simone Morandini, membro del comitato esecutivo del Segretariato attività ecumeniche (Sae) e docente di teologia ecumenica presso l'Istituto di studi ecumenici "S. Bernardino".
"Osare la pace per fede" è stato promosso da diciassette enti diversi, tra chiese, associazioni e riviste. Come si è giunti a costituire questo gruppo e come si è svolto il lavoro comune?
L'idea originaria è nata durante la Sessione di formazione ecumenica del Sae del 2003, dedicata alla lettura dei segni dei tempi. Tra i giovani partecipanti è emerso il desiderio di provare a costruire uno spazio di dialogo ecumenico specificamente dedicato al mondo giovanile italiano. È stato, in particolare, Massimo Ferè di Pax Christi a sottolineare la valenza strategica del tema della pace, mentre diversi hanno indicato la città di Firenze come una sede possibile. Via via il giro delle adesioni e dei consensi si è esteso alle chiese fiorentine (cattoliche, evangeliche e ortodosse) e poi ad un vasto pool di soggetti ecclesiali, cattolici ed evangelici. Grazie all'impegno comune, persone che non si conoscevano, e talvolta non sapevano neanche dell'esistenza le une delle altre, si sono incontrate e hanno scoperto la possibilità di lavorare insieme in un'ottica di dialogo e di ricerca comune - e di lavorare bene. La convergenza di sensibilità, contatti e competenze diverse, assieme alla generosità dell'impegno che tanti hanno profuso, ha permesso di realizzare un appuntamento davvero intenso e vivace.
Giustizia, pace e salvaguardia del creato: perché sono stati scelti proprio questi temi per il convegno?
Si è scelto di riprendere le tematiche che, dalle grandi Assemblee ecumeniche europee di Basilea (1989) e Graz (1997) e dalla Convocazione ecumenica di Seul (1990), sono poi confluite nella Charta oecumenica, che le chiese europee hanno firmato a Strasburgo nel 2001. È un filone di riflessione cui si è voluto dare continuità, perché in esso appaiono più promettenti gli spazi di collaborazione ecumenica. In un momento che vede il dialogo procedere lentamente in aree come l'ecclesiologia, i sacramenti etc., appare difficile suscitare l'interesse e l'entusiasmo dei giovani per prospettive che hanno necessariamente tempi lunghi. Giustizia, pace e salvaguardia del creato costituiscono invece sfide forti per le chiese, cui i giovani sono particolarmente sensibili; esse disegnano un orizzonte di incontro e discussione in cui è possibile condividere fin d'ora la dimensione di un impegno comune.
Il convegno ha mostrato il volto giovane dell'ecumenismo. Quali sono per lei i vantaggi e le sfide che spettano alle nuove generazioni del movimento ecumenico?
La prima sfida credo sia quella di tornare a rendere giovane l'ecumenismo. Nato nel XIX secolo all'interno dei movimenti giovanili (soprattutto di matrice protestante), con il tempo l'ecumenismo è diventato una questione che coinvolge le chiese nella loro totalità e in questo senso talvolta sembra essere diventato più difficile, complesso e meno immediatamente legato alle pratiche quotidiane dei credenti. "Osare la pace per fede" ha aiutato a riscoprire la gioia concreta dell'incontro ecumenico, la fraternità in Cristo; ha aiutato a ritrovare la percezione delle diversità delle confessioni come ricchezza da valorizzare all'interno dell'ecumene cristiana. Tale riscoperta da parte dei giovani, d'altra parte, dona al cammino ecumenico una freschezza di cui abbiamo un estremo bisogno, specie nel nostro paese. Tra l'altro, credo che in questo tempo di globalizzazione il dialogo ecumenico costituisca per le chiese una palestra del dialogo di estrema importanza. Nell'incontro reciproco alla luce della fede in Gesù Cristo esse possono apprendere e praticare alcuni atteggiamenti che appaiono fondamentali per l'incontro con le altre fedi dell'umanità.
Pur trattandosi di un incontro ecumenico di giovani cristiani di diverse denominazioni, non sono mancate le rappresentanze dei giovani musulmani ed ebrei. Qual è per lei il rapporto tra ecumenismo e dialogo interreligioso?
Credo che il gruppo organizzatore abbia fatto una scelta interessante in questo senso: "Osare la pace per fede" è stato un convegno ecumenico promosso da soggetti cristiani (cattolici, ortodossi, protestanti), in cui erano però presenti anche ebrei e musulmani, come ospiti, graditi e ricercati anche quando poteva sembrare difficile avere la loro presenza. Con loro è stato possibile condividere messaggi e contenuti e percepire un senso di reciproca vicinanza. Certo, la prossimità che talvolta si riscontra tra lo stile del dialogo interreligioso e quello dell'incontro ecumenico non può farci dimenticare che, sul piano più propriamente teologico, gli orizzonti di queste due forme di dialogo sono diversi. Il dialogo ecumenico ha come scopo la ricostruzione di quella piena comunione in Cristo, che un giorno (vicino, speriamo!) potrà esprimersi, ad esempio, nell'accesso comune alla tavola del Signore. Il dialogo con le altre fedi, invece, segue un cammino diverso, mirato alla convivenza, alla conoscenza e al rispetto reciproco, alla costruzione della pace in un mondo minacciato, ma sempre nella nitida percezione di una diversità che è costitutiva delle rispettive identità.
In che modo si può promuovere il valore del dialogo tra i giovani?
Promuovere il dialogo è cosa necessaria e difficile e non soltanto in ambito ecclesiale, ma - ad esempio - anche in campo politico: la globalizzazione è attraversata da tensioni che non riguardano tanto singole questioni socio-economiche, ma si configurano come conflitti tra identità. Se la strategia ecumenica è quella del dialogare per scoprire che le identità sono meno rigide, che le distanze non sono sempre motivi di contrapposizione, tale pratica diviene essenziale anche per il vivere comune nello spazio socio-politico. Anche per questo diviene più acuta la domanda: come diffondere tale pratica? Come farla crescere? Io credo che a dialogare si impari dialogando, trovandosi di fronte l'altro nella sua concretezza, esponendosi alle sue parole o magari anche alle sue critiche, purché sempre fatte con rispetto ed attenzione. Mi sembra che su queste linee sia davvero possibile suscitare l'entusiasmo e il coinvolgimento anche dei giovani: la necessità di un diverso rapporto con l'alterità, al di là di paure e steccati, è presente nel mondo giovanile, anche se non sempre riesce a trovare spazi e parole per esprimersi. Le chiese, per parte loro, dovrebbero educare ad una visione dell'ecumenismo che non lo riduce ad una sorta di diplomazia applicata al mondo ecclesiale, ma che vi coglie una dimensione qualificante della sequela di Gesù Cristo. Lo stesso Gesù era uomo che abitava sui confini: proprio nell'incontro e nel dialogo con l'altro (pagani, samaritani, donne, bambini…) vediamo dischiudersi elementi qualificanti della sua identità.
Il convegno si è chiuso con l'auspicio a proseguire il lavoro avviato, in vista della III Assemblea ecumenica europea che avrà luogo in Romania nel 2007. Quali sono i progetti per il futuro?
Dall'incontro è uscita una grande voglia di dare continuità all'esperienza vissuta: la comunione sperimentata è stata troppo intensa, forte e ricca per lasciarla cadere. Tutti i soggetti promotori hanno evidenziato la necessità di continuare in qualche modo il cammino intrapreso insieme. Certo, adesso occorre individuare le forze disponibili e definire i tempi ed i possibili progetti futuri: a tal fine contiamo di ritrovarci presto, per fare un bilancio del lavoro svolto e per rilanciare nuove idee. Certamente, comunque, l'intenzione è quella di non perdersi di vista: la III Assemblea ecumenica europea di Sibiu è un riferimento fondamentale, ma, chissà, si potrebbe andare anche più lontano. Certamente si tratta di un cammino appena iniziato, dinanzi al quale si aprono orizzonti ampi e promettenti.
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