Firenze, 13 novembre 2005

Osare la pace – ecumenismo e giustizia

Antonella Visintin


Nell’orizzonte della terza assemblea ecumenica (Sibiu, 2007), vorrei sottolineare l’importanza di questa iniziativa che nasce dal cosiddetto popolo ecumenico, quello che aveva affollato Graz nel 1997 e che talvolta sembra così lontano dalla diplomazia ecumenica sia essa multilaterle che bilaterale particolarmente fra la chiesa cattolica e le altre due più consistenti confessioni cristiane, ortodossa e protestante.

Ricordo quando nel 1997 si stava lavorando in vista della seconda assemblea ecumenica (che si sarebbe svolta a Graz) il cui tema era la riconciliazione, nel solco di JPIC/pace, giustizia ed integrità del creato.
In quell’occasione si diceva che la pace non può essere solo fondata sulla giustizia perchè essa perderebbe la connotazione dell’aspetto di Dio che più è stata enfatizzata dalla tradizione cristiana e cioè la misericordia: lo stato di disarmo unilaterale che solo consente di rinegoziare i conflitti e quindi la riconciliazione.
Questo non significa che non mi atterrò al tema (  ) ma che nell’éra degli ossimori vorrei restituire in primis al termine “giustizia” una plasticità che travalica la sua connotazione dominante di braccio esecutivo dei poteri forti (anni fa si sarebbe detta giustizia borghese)
“Giustizia divina e giustizia umana” era il titolo di un convegno organizzato da Biblia nel 2002 nell’ambito del progetto “Roma città della pace” . In quella sede Paolo Ricca, pastore valdese, aveva detto che è oscuro dove finisca la giustizia e dove inizi la misericordia, sebbene, come aveva aggiunto Abdel Fattah (l’imam supplente del Centro islamico di Roma) nel Corano è scritto che "Dio applica prima la misericordia e poi la giustizia". Se dunque praticassi la misericordia arriverei alla giustizia nelle relazioni umane (verso lo straniero, nei rapporti fra i generi, nell’economia e nella informazione) e nei confronti del resto del creato, declinando “ius” e “pietas”: pratica di una giustizia relativa e non assoluta la cui ratio sarebbe follia agli occhi del mondo cristianizzato.
Nei testi biblici, infatti, uno di fili più dibattuti è l’irriducibilità della giustizia divina ai parametri umani (da Caino, al Giubileo, ai Salmi, ai lavoratori dell’ultima ora, al “Dio miete dove non ha seminato”, al figlio prodigo, alla precedenza agli ultimi), ovvero, in altri termini, l’indisponibilità ad una sperimentazione sociale impostata sulla giustizia distributiva (a ciascuno secondo i suoi bisogni, il reddito di cittadinanza), salvo episodi generalmente conclusisi malamente.
L’esperienza più vicina a noi era lo stato sociale fondato sull’idea di diritti universali inalienabili associati alla persona ma il vento liberista la sta spazzando. Questa volta il traguardo sembrava a tal punto acquisito da lasciare interdetti di fronte al materializzarsi della peggiore vulgata della teoria della doppia predestinazione: alla salvezza –per pochi- ed alla dannazione –per tanti-. Fondamentalismi a parte.
Tant’è che non sono molte le voci di sdegno e dissociazione che si sono levate fra le istituzioni religiose del Nord, maggiormente fra gli organismi ecumenici (WCC/Consiglio ecumenico: i Decenni donne e uomini e sulla violenza, il team sul cambiamento climatico, il documento preparatorio della prossima assemblea mondiale “A.g.a.p.e.”; KEK/conferenza delle chiese europee: www.ecen.org ) e nelle strutture internazionali (WARC/alleanza riformata mondiale: processus confessionis www.fcei.it ) -a cui va il merito di aver veicolato la voce delle chiese del Sud- rispetto alle chiese nazionali (consultazioni sulla giustizia economica in Olanda, Germania, Svizzera e Gran Bretagna/Irlanda pubblicati allora dalla rivista “Il Regno” e i Kirchentag). Per quale regione? Perché non siamo chiese diaconali avendo scisso il ministero della parola da una pratica d’amore, peraltro ancora ampiamente attestata su scelte di intervento operate nei secoli scorsi (socio assistenziale ed educativa) la cui efficacia strategica può essere contestata, mentre l’esperienza dell’ECG (www.ecg.ecn.cz ), rete di esperienze di diaconia sociale, è sostanzialmente affidata alla buona volontà di singoli. L’esito di tale delega è da un lato la spiritualizzazione e la privatizzazione della fede e dall’altro la solitudine di quanti cercano il Regno di Dio e la sua giustizia accusati dai fare politica e di tradire il Maestro.
Osare la pace invece vuol dire appartenere a questo mondo con una distanza critica, contaminarsi e compromettersi pur senza perdere il fondamento della nostra fede nel Dio degli schiavi.

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