Dialoghi - giugno 2004

Le Chiese e l’Europa – Mons. Aldo Giordano

Segretario generale del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (CCEE)


Alla vigilia del più vasto e impegnativo ampliamento dell’Unione Europea, che vede l’ingresso di dieci nuovi Paesi dell’Europa centro-orientale e del Mediterraneo, la Redazione di Aggiornamenti Sociali ha promosso il 27 marzo 2004 un incontro di riflessione con i propri collaboratori sul tema «Il Cantiere Europa». Due relazioni, di diverso taglio, hanno introdotto il dibattito. Il primo articolo, che riproduce sostanzialmente l’intervento tenuto dall’A., esprime alcune delle preoccupazioni che stanno a cuore alle Conferenze Episcopali e alle Chiese in Europa circa lo storico momento che il continente sta vivendo. – Titolo, riquadro e neretti sono a cura della Redazione.

Le Chiese stanno seguendo con particolare interesse il processo della unificazione europea che vivrà una sua tappa storica il 1° maggio 2004 con l’entrata nell’Unione di 10 nuovi Paesi, in maggioranza dell’Est europeo. Altrettanto importante è il dibattito in corso che dovrebbe portare a un consenso sul Trattato costituzionale europeo, già esistente in bozza.

1. Le Chiese e l’allargamento dell’Unione Europea
Davanti a questo processo le Chiese hanno sempre guardato a «tutta» l’Europa. Sulla scia di Giovanni Paolo II, esse non amano tanto parlare di allargamento dell’UE, ma piuttosto di «riunificazione» dell’Europa o di «europeizzazione» dell’Europa: l’Europa è già quella di tutte le nazioni, dei popoli, delle culture, delle Chiese e non quella di un gruppo di Paesi. Con il nuovo sviluppo dell’Unione Europea deve chiudersi il capitolo drammatico di un continente diviso ideologicamente da un muro — eredità della seconda guerra mondiale — e aprirsi un nuovo capitolo: un’Europa «a due polmoni». Occorre ascoltare con attenzione anche le paure che sono espresse nell’Europa orientale, specie dalle Chiese ortodosse: cosa ne sarà della tradizione orientale, con i suoi valori, se finirà in braccio a un Occidente secolarizzato e relativista? L’Occidente non faccia un’opera di imposizione della propria cultura: sarebbe destinata al fallimento.
Resta aperta la questione dei confini dell’Europa. Le Chiese non sono interessate a un’Europa «fortezza», chiusa nel proprio benessere, ma a un continente che diviene più stabile per meglio realizzare lo scambio di doni con le altre regioni della terra e contribuire alla giustizia e alla pace del mondo. Il vero punto di interesse è la fraternità universale e non il benessere di un solo continente. L’Europa è uscita ferita dalla crisi dell’Iraq e deve oggi riposizionarsi nell’ordine internazionale. Questo implica un ripensare e ricostruire il ponte transatlantico, ma anche un confrontarsi con l’America Latina, con l’Africa e in particolare con l’Asia che sempre più diventa protagonista sulla scena geopolitica mondiale, anche per l’andamento demografico della popolazione del pianeta. Anche le Chiese europee sono chiamate a nuovi e più intensi rapporti con le Chiese degli altri continenti. Nel mese di febbraio del 2003 sono stato in Colombia per incontrare i segretari delle Conferenze Episcopali dell’America Latina e dei Carabi (CELAM) e dal 7 al 12 ottobre 2003 ho partecipato all’assemblea dei vescovi dell’Africa e Madagascar (SECAM) a Dakar (Senegal). Per il novembre 2004 abbiamo in progetto un simposio di vescovi europei e africani su temi di comune interesse.

2. Le Chiese e il Trattato costituzionale europeo
Perché questo si realizzi, è fondamentale che tutta la costruzione europea sia illuminata da un’«idea», da una «visione» e da regole. Esse dovrebbero essere contenute nel Trattato costituzionale, la cui bozza attuale è stata elaborata dalla Convenzione — formata dai delegati dei Governi e dei Parlamenti degli Stati membri dell’UE e dei Paesi candidati, del Parlamento europeo e della Commissione europea — che ha iniziato i suoi lavori il 28 febbraio 2002 e li ha conclusi il 10 luglio 2003.
Il vertice europeo di Bruxelles del dicembre 2003, con la presidenza italiana, ha fallito nell’approvazione del Trattato. Oggi sembra esserci un certo consenso sul fatto che si arriverà a una approvazione sotto la presidenza irlandese entro la fine di giugno del 2004.

a) L’Europa e i valori
È pienamente condivisibile la lista dei valori che troviamo nell’art. 2 del progetto di testo del Trattato costituzionale e il primo posto dato alla dignità umana: «L’Unione si fonda sui valori di rispetto della dignità umana, libertà, democrazia, Stato di diritto e rispetto dei diritti umani». Altrettanto significativo è il primato assegnato alla pace che apre l’art. 3, dedicato ai fini dell’Unione. Questi elementi sono centrali nel magistero sociale pontificio della Chiesa cattolica: «Invano si cercherebbe di estrapolare dal magistero pontificio una precisa indicazione circa la tecnica istituzionale da adottare nella configurazione di un Governo europeo sopranazionale. La Chiesa cattolica ha una sua dottrina sociale che non privilegia sistemi partitici né geopolitici particolari, ma procede come per cerchi concentrici. Al centro dell’attenzione e della considerazione vi è la persona umana e poi, attorno, come appunto per cerchi concentrici, vengono tutti gli ambiti nei quali si sviluppano le relazioni umane, sociali e politiche: dalla famiglia alla comunità locale con le sue varie aggregazioni, fino alla comunità nazionale e ai rapporti internazionali» 1.
Il problema che resta aperto per il capitolo dei valori è quello del loro fondamento, del loro contenuto e della loro interpretazione. Non è sufficiente una vuota retorica dei valori. Nel nome dello stesso valore si possono sostenere posizioni del tutto contrarie: per esempio, la dignità umana viene citata sia per lottare contro l’aborto o l’eutanasia, sia a favore dell’aborto o dell’eutanasia. L’impegno nell’ambito dei valori e dei diritti umani è urgente per non «abbandonare» un campo in cui la Chiesa ha qualcosa di veramente originale e autorevole da dire. L’impegno è anche necessario per non cadere in forme di impasse tra diritti umani e religione, tra diritti umani e diritto canonico. C’è il rischio, infatti, che alcuni insegnamenti o pratiche vissuti dalla Chiesa vengano ideologicamente visti come contrari ai diritti della persona o ai «nuovi diritti» come, ad esempio, negli ambiti del diritto alla vita sessuale o all’uguaglianza fra uomo e donna.

b) Il riconoscimento giuridico dell’identità e del ruolo delle Chiese
La necessità di avere una luce che fondi e guidi l’interpretazione dei valori e l’importanza di riconoscere che il potere pubblico non è assoluto, sono certo tra i motivi dell’attesa da parte delle Chiese che il Trattato costituzionale garantisca spazio alla religione, alla libertà religiosa e al ruolo delle Chiese e comunità religiose.
Giovanni Paolo II è tornato insistentemente e con forza sull’argomento in questi ultimi tempi: «Se qualcuno intendesse emarginare le religioni cha hanno contribuito e ancora contribuiscono alla cultura e all’umanesimo dei quali l’Europa è legittimamente fiera», ciò «sarebbe al tempo stesso un’ingiustizia e un errore di prospettiva» 2.
Anche gli organismi delle Chiese europee (cfr riquadro a p. 471) si sono occupati intensamente di questo tema ed è stata importante la collaborazione ecumenica.
Si può dire che le attese espresse dalle Chiese sono state fondamentalmente recepite nell’attuale art. 51 della bozza del Trattato, dedicato allo «Status delle chiese e delle organizzazioni non confessionali»:
– comma 1: «L’Unione rispetta e non pregiudica lo status previsto nelle legislazioni nazionali per le chiese e le associazioni o comunità religiose degli Stati membri».
– comma 2: «L’Unione rispetta ugualmente lo status delle organizzazioni filosofiche e non confessionali».
– comma 3: «L’Unione mantiene un dialogo aperto, trasparente e regolare con tali chiese e organizzazioni, riconoscendone l’identità e il loro contributo specifico».
Possiamo osservare:
– I primi due commi riprendono la dichiarazione n. 11 già contenuta nel Trattato di Amsterdam.
– Il comma 1 offre una garanzia legislativa ai Concordati o Trattati o accordi o intese esistenti a livello nazionale tra Chiese e Stato.
– Sarebbe più coerente collocare il comma 2 altrove nel Trattato, per salvare la specificità delle Chiese e organizzazioni religiose.
– Particolarmente interessante è il terzo comma che parla di un dialogo regolare (le Chiese avevano chiesto in realtà un dialogo «strutturato») e soprattutto riconosce l’identità e il contributo specifico delle Chiese. Questo comma rischiava di essere integrato nell’articolo dove si parla dei rapporti dell’Unione con la società civile. L’opzione di scrivere un articolo a parte è un importante riconoscimento della peculiarità delle Chiese rispetto agli altri organismi della società civile.
Occorre anche considerare che elementi utili riguardo alla libertà di religione sono contenuti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea che è integrata nel Trattato come parte seconda 3.

c) Le radici cristiane dell’Europa
Un altro punto che ha suscitato e sta suscitando grande discussione, anche nell’opinione pubblica, con posizioni contrastanti, è quello della possibilità di un riferimento esplicito a Dio o alle radici cristiane nel preambolo o nel testo stesso del Trattato.
– Come riferimento possiamo considerare il preambolo della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, firmato a Nizza. In esso è scritto: «Consapevole del suo patrimonio spirituale e morale, l’Unione si fonda sui valori […]». All’ultimo momento la presidenza francese aveva chiesto e ottenuto di eliminare la parola «religioso» per salvare radicalmente la «laicità» delle istituzioni. Curiosamente questo termine è rimasto nella traduzione tedesca 4.
– Per il Trattato costituzionale le proposte sono state diverse: a) citare il nome di Dio (invocatio Dei); b) fare riferimento alla eredità religiosa dell’Europa; c) nominare chiaramente le radici cristiane dell’Europa; d) fare riferimento alla trascendenza.
– Il 6 febbraio 2003 è stata resa pubblica la proposta dei primi 16 articoli da parte della presidenza della Convenzione. Le Chiese si attendevano che nei seguenti articoli avrebbero potuto trovare spazio le proprie esigenze: art. 1. (Istituzione dell’Unione); art. 2. (Valori dell’Unione); art. 3. (Obiettivi dell’Unione). In realtà nella proposta dei primi 16 articoli non si trova alcun riferimento esplicito al fatto religioso. Le Chiese in genere sono soddisfatte per quello che è scritto (ad es. il posto riservato alla dignità umana o alla pace), ma sono «deluse» per quello che non è scritto. Si attende che il vuoto sia colmato altrove.
– Il 28 maggio 2003 è stata pubblicata la prima bozza del preambolo. In essa è scritto: «Ispirandosi ai retaggi culturali, religiosi e umanistici dell’Europa i quali, nutriti dapprima dalle civiltà greca e romana, segnati dallo slancio spirituale che ha attraversato l’Europa e che continua ad essere presente nel suo patrimonio, e successivamente dalle correnti filosofiche del secolo dei lumi, hanno ancorato nella vita della società la sua percezione del ruolo centrale della persona umana, dei suoi diritti inviolabili e inalienabili e del rispetto del diritto […]».
Notevole la reazione. È vero che la parola religione è presente in questa proposta, ma il punto che ha sorpreso molti cristiani, molti autorevoli rappresentanti delle Chiese, ma anche molti laici e uomini di cultura, è il fatto che nella proposta di preambolo si fa riferimento alle radici dell’Europa e tra esse si parla di civiltà greca e romana e poi si salta al secolo dei lumi, senza citare esplicitamente il cristianesimo. Si parla solo di un generico «slancio spirituale che ha attraversato l’Europa». Appare una grossolana «ignoranza» della storia.
– Il 12 giugno la Convenzione ha pubblicato l’attuale preambolo modificato:
«La nostra Costituzione si chiama democrazia perché il potere non è nelle mani di una minoranza, ma della cerchia più ampia di cittadini» (Tucidide II, 37).
«Consapevoli che l’Europa è un continente portatore di civiltà; che i suoi abitanti, giunti a ondate successive fin dagli albori dell’umanità, vi hanno progressivamente sviluppato i valori che sono alla base dell’umanesimo: uguaglianza degli essere umani, libertà, rispetto della ragione;
«Ispirandosi ai retaggi culturali, religiosi e umanistici dell’Europa, i cui valori, sempre presenti nel suo patrimonio, hanno ancorato nella vita della società la sua percezione del ruolo centrale della persona umana, dei suoi diritti inviolabili e inalienabili e del rispetto del diritto […]».
Il testo è migliorato, perché si è eliminato il paradosso di riferirsi alle radici dell’Europa senza nominare il cristianesimo. La frase più incriminata è stata semplicemente eliminata. Tuttavia si è scelta la strada dell’impersonalità, del generico e del tentativo di trovare un consenso su un minimo comune denominatore: «retaggi culturali, religiosi e umanistici».

d) Qualche osservazione circa il dibattito sulla religione e il cristianesimo
Il dibattito è stato particolarmente vivo, interessante e anche doloroso. Perché tanta difficoltà a citare il cristianesimo? Pesano contrasti ideologici già piuttosto datati, l’autoritarismo di un certo laicismo, ma soprattutto una incomprensione di fondo del fatto religioso e cristiano. Alcuni pensano a una questione di privilegi, altri alla necessità di dividersi una torta; alcuni ritengono che citare il cristianesimo sarebbe fare un torto alle altre religioni, altri che sarebbe un pericolo per la laicità, ecc. C’è una sorta di paradosso. Da un lato le istituzioni europee sono aperte alle Chiese in quanto comprendono che esse hanno un grande contributo da dare specie riguardo alla base etica, all’«idea» dell’Europa e sul versante della pace e del senso della vita. Dall’altro si sente una sorta di allergia diffusa verso tutto ciò che è legato alla religione, la tendenza a considerare la religione come fatto esclusivamente privato o almeno la convinzione che Dio e religione non hanno niente a che fare con un trattato giuridico. Non possiamo anche negare problemi «nostri», interni, che creano difficoltà: l’incapacità di mostrare che non si tratta di difendere dei privilegi, la divisione fra le Chiese, lo sfruttamento deleterio della religione o del nome di Dio per posizioni violente, come nel caso della crisi dell’Iraq o del terrorismo.

3. Per una nuova prospettiva
Invece di tentare la via di trovare un consenso su un minimo comune denominatore, sarebbe tempo di cercarlo sul massimo. Occorre volare più in alto. Non si tratta di trovare un minimo su cui tutti si trovano impersonalmente e «noiosamente» d’accordo, ma di esplorare la ricchezza più vera e profonda che ognuno e ogni esperienza può dare. Il cristianesimo ha qualcosa di grande da dare, non tanto come generica esperienza religiosa, ma come la specifica rivelazione di Gesù Cristo, volto di Dio, Figlio del Padre, morto e risorto. È Lui il punto interessante per tutti! Il tentativo di accontentare tutti annacquando ogni cosa non contiene alcuna novità ed è sottilmente violento, perché non rispettoso della vera e profonda identità di ciascuno.

a) Il problema o la domanda
Invece di dare l’impressione di spartirci privilegi o briciole, proviamo a partire insieme dai problemi «seri» che gli europei devono affrontare. Per esporre la sfida fondamentale che è presente nella storia di oggi, si può fare riferimento a un’esperienza culturale tipica del Mediterraneo: le tragedie dei greci. In un Paese mediterraneo come l’Italia, viene spontanea una domanda: perché i greci, padri della cultura europea, in questo nostro Sud dell’Europa hanno scritto le tragedie? Spesso si è affermato che i greci erano un popolo amante della vita, solare, capace di divertirsi, danzare, giocare con l’esistenza. Perché allora proprio essi, così vitali, hanno scritto le tragedie? I greci in realtà erano ben consapevoli del fatto che la vita è tragica, in quanto è segnata dal male, ma essi hanno tentato l’impresa più ardua, cioè hanno cercato di trasfigurare il tragico della vita, il male, il negativo, in un’opera d’arte, in un teatro, per farne un oggetto di meraviglia, di ammirazione, di spettacolo. Questa mi sembra la più grande sfida, quella estrema: c’è un segreto per trasformare il tragico della vita e il male in un capolavoro artistico, in uno spettacolo? O si tratta di pura illusione? Forse possiamo trovare un consenso sul fatto che questo è il problema radicale di tutti.
Sono soprattutto due gli spazi del tragico che i greci ben conoscevano e che anche oggi, mi sembra, costituiscano le due domande di fondo che l’Europa pone ai cristiani e alle Chiese.
Il primo spazio dove la tragedia può esplodere è quello della convivenza tra i popoli, le culture, le etnie, le religioni. È la questione della pace. Ho visitato Dachau e Auschwitz. Nel mese di agosto 2002 ho pregato con una delegazione europea nel lager di Spassk presso Karaganda nelle immense steppe del Kazakistan. Il 3-6 ottobre 2002 abbiamo realizzato l’assemblea plenaria della CCEE a Sarajevo, città simbolo di una catastrofe. In luoghi come questi ci si domanda: come costruire una «casa» europea capace di ospitare popoli diversi, senza, da un lato, annientare le singole identità con sistemi totalizzanti e senza, dall’altra, cadere nel conflitto distruttivo tra le differenze o nel terrorismo? Come assumersi, in quanto europei, i problemi dell’umanità intera, specie del Sud del mondo, in una logica di scambio di doni? È giunta l’ora di un salto di qualità storico nei rapporti fra gli uomini?
Il secondo spazio di tragedia, ancora più radicale, è quello del senso della vita. Esiste un senso del vivere e della storia? Il dolore e la morte sono l’ultima parola per l’uomo e come tali sono lo scacco a ogni mio desiderio? È emblematico un testo di Nietzsche: «L’uomo era principalmente un animale malaticcio: ma non la sofferenza in se stessa era il suo problema, bensì il fatto che il grido della domanda “a che scopo soffrire?” restasse senza risposta [...]. L’assurdità della sofferenza, non la sofferenza, è stata la maledizione che fino ad oggi è dilagata su tutta l’umanità» 5. Questa domanda esistenziale di fondo è ridiventata più udibile in un’Europa post-ideologica. Essa rimanda immediatamente alla domanda sul trascendente, su Dio. Ad essa sono anche legate le grandi questioni etiche che l’umanità affronta: dalla biomedicina all’ecologia. C’è un bene o qualcuno a cui posso affidare la mia vita, in grado di rispondere al mio desiderio di vita, di felicità, di festa, di affetto e di eternità e che sia criterio per il mio agire?
Probabilmente concordiamo tutti sul fatto che questi sono i reali spazi di domanda e anche di tragedia che dobbiamo affrontare.

b) Il segreto del cristianesimo
Davanti a queste questioni di fondo ci ridomandiamo anche noi oggi in Europa: c’è una via per passare dentro il tragico della vita e trasfigurarlo in «opera d’arte»? Chi può dirci qualcosa od offrirci una luce per queste domande di fondo decisive per l’umanità? In realtà queste questioni appartengono al cuore dell’esperienza cristiana.
Per trovare il segreto possiamo ripartire da quella cattedra «inattesa e scandalosa» che è il Dio crocifisso, quando si fece buio su tutta la terra e il Figlio giunse a gridare l’abbandono da Dio: la grande tragedia della storia. È dalla Pasqua che possiamo ripartire per incontrare la nostra cultura europea. Il cristianesimo ha nel suo cuore una «morte di Dio» e una notte che sono andate al di là di ogni proclamazione culturale del nulla o della «morte di Dio».
Nella tragedia della vita il Cristo ha introdotto la novità dell’amore. Egli ha vissuto la sofferenza e la morte come la più grande opportunità per amare. «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15, 13). L’amore vissuto dal Cristo e da Lui portato sulla terra è l’origine della comunione tra gli uomini: nasce una nuova socialità che ha le sue radici nel seno della Trinità di Dio, dove il vivere coincide con il dono totale di sé all’altro. Quando le nostre identità, le nostre diversità e i nostri talenti diventano dono e questo è vissuto reciprocamente, si aprono sentieri di riconciliazione in ogni ambito, da quello ecumenico a quello politico.
Il Risorto, vita e bellezza rese eterne, presente fra noi, rende eterno anche il nostro desiderio di festa, di bello, di vero e lo salva dallo scolorimento e dalla morte. Il senso esiste perché l’Eterno è entrato nel tempo e ha assunto in sé la nostra storia concreta.

4. Il contributo delle Chiese per l’Europa
a) L’annuncio del Vangelo quale contributo prioritario
Il primo contributo che le Chiese possono dare all’Europa è il cristianesimo stesso, il Vangelo. Da alcuni anni ormai parliamo, anche sulla scia di Giovanni Paolo II, dell’esigenza di una evangelizzazione di nuova qualità per l’Europa. Su questo tema propongo due considerazioni.
La responsabilità di ridonare il Vangelo all’Europa non nasce solo dal fatto che l’Europa ha radici cristiane (questo è un fatto che direi ovvio: non si può comprendere nulla dei due ultimi millenni dell’Europa senza il riferimento al cristianesimo), ma dal fatto che il cristianesimo in se stesso — direi in termini oggettivi — è un dono per l’umanità. Parlando un po’ paradossalmente direi che, se anche scoprissimo che l’Europa non ha radici cristiane, sarebbe responsabilità dei cristiani donare ora all’Europa, per la prima volta, il grande dono di umanità, di socialità, di fraternità e di trascendenza che è contenuto nella rivelazione cristiana. Questo non significa introdursi in vicoli fondamentalisti. L’essere cristiani e il credere nella verità cristiana è essere discepoli di un Signore che dà la vita per l’altro, perché l’altro esista.
Mi sembra importante ancora un chiarimento. Non dobbiamo rischiare di confondere cristianesimo e Occidente: se vogliamo comprendere cosa è il cristianesimo dobbiamo guardare a Gesù Cristo. Il cristianesimo non coincide mai con nessuna realizzazione storico-culturale e quindi neppure con l’Europa o l’Occidente, pur riconoscendo la «vocazione» speciale e il ruolo storico dell’Occidente per la storia del cristianesimo.

b) La dimensione della comunione, co-essenziale a quella della evangelizzazione
Vedrei nel futuro dell’Europa in particolare tre luoghi di comunione o tre sentieri prioritari da percorrere. Essi mi sembrano tre contributi essenziali per la «ri-unificazione» dell’Europa.
La universalità o cattolicità. – Nel suo senso più ampio la cattolicità è la possibilità di realizzare una comunione universale, un’unità, senza alcun tipo di frontiera, in modo che le differenze non siano cancellate, ma piuttosto si realizzino nella loro identità.
L’ecumenismo. – Nonostante le situazione di «crisi» che tutti conosciamo, viviamo segnali di speranza. Durante l’assemblea ecumenica europea che si è svolta a Graz nel 1997 si è percepito che c’è un popolo ecumenico che abita l’Europa e che incarna uno stile di vita di comunione e una ricerca della riconciliazione e della collaborazione a tutti i livelli. L’ecumenismo è uscito dalle strutture istituzionalizzate, dalle facoltà teologiche, da cerchie ristrette di pionieri e sta diventando un’esigenza di tanti cristiani d’Europa, un fatto «normale», e questo indica che è iniziata una nuova fase del cammino di riconciliazione.
Un’esperienza paradigmatica è il processo avviato dal Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (CCEE) insieme alla Conferenza delle Chiese Europee (KEK) con la Charta Oecumenica - Linee guida per la crescita della collaborazione tra le Chiese in Europa, un documento firmato ufficialmente a Strasburgo il 22 aprile 2001. La Charta Oecumenica contiene 26 impegni che le Chiese in Europa sono invitate ad assumersi per rendere di nuovo visibile storicamente l’«una, santa, cattolica, apostolica» Chiesa di Cristo 6.
La terza parte della Charta Oecumenica — la più ampia — delinea i contributi fondamentali che le Chiese sono chiamate a offrire all’Europa: «La nostra comune responsabilità in Europa». Le Chiese, senza pretendere di avere una riposta esaustiva su tutti i problemi della società e della cultura, si sentono responsabili di contribuire a plasmare l’Europa.
L’incontro tra le religioni. – L’incontro con le altre culture e fedi è diventato un fatto in conseguenza del fenomeno delle migrazioni o più in generale della mobilità umana. Ma il tema ha assunto un’impressionante attualità dopo l’11 settembre 2001. Paradossalmente si può dire che il terrorismo ha richiamato l’attenzione del mondo sulle religioni e sul loro ruolo per la costruzione (o la distruzione) della pace.
Nella Chiesa questo tema è stato affrontato da decenni, ma la novità è che esso, ora, è affrontato anche dalla politica, dai Governi, dalla società civile, soprattutto a causa del terrorismo. Questo può avere un lato positivo, ma contiene il rischio che le religioni si ritrovino in dialogo fra loro come per un’imposizione, secondo criteri politici, cioè esterni al fatto religioso. La Chiesa deve riprendere in mano questo dialogo alla luce della sua grande esperienza.
Per realizzare questo senza equivoci o pericolose superficialità, è giunto il momento dell’approfondimento. È urgente in particolare un approfondimento dei concetti di verità, identità, dialogo, carità, annuncio, per evitare sterili contrapposizioni o riduzioni.
È emblematico il fatto che la terza parte della Charta Oecumenica dedichi il maggior numero di capitoli al tema della riconciliazione tra culture e religioni: «Riconciliare popoli e culture» (n. 8); «Approfondire la comunione con l’Ebraismo» (n. 10); «Curare le relazioni con l’Islam» (n. 11); «L’incontro con altre religioni e visioni del mondo» (n. 12). C’è coscienza che il primo contributo che possiamo dare all’Europa è l’esperienza di riconciliazione, di dialogo, di pace che possiamo vivere tra noi credenti in Dio, insieme alla difesa della centralità della persona umana e la proposta di un senso.

c) La vocazione culturale dell’Europa
Nonostante tutti i sentieri interrotti, smarriti o anche devianti che l’Europa ha intrapreso, essa ha prodotto enormemente nel campo della cultura ed è stata anche il luogo in cui la cultura si è lasciata rinnovare dal cristianesimo. Nell’Europa ci sono anche idee impazzite, ma ci sono idee! La nostra responsabilità è di ridare ordine, unità e senso a queste idee. L’Europa può tentare un salto di qualità storico a livello di umanità, socialità, diritti, doveri, dignità, libertà, fraternità, ecc., se ritorna a quella sorgente che rende possibile questa novità. Dall’Europa sono partiti i testimoni del Vangelo verso tutti i confini del mondo: questo appartiene alla sua vocazione ed è quindi irrinunciabile anche oggi. Un’Europa nuovo laboratorio di inculturazione del cristianesimo, dell’evangelizzazione e dell’incarnazione storica del cristianesimo, sarà molto significativa per gli altri continenti. Se l’Europa sarà se stessa — «diventerà ciò che è» — potrà sperimentare il dono che è contenuto nelle altre religioni e culture e potrà comprendersi più in profondità.

5. Conclusione
Da queste veloci osservazioni forse si intuisce che dietro alle attese dei cristiani non c’è solo l’interesse di vedere riconosciuto il ruolo e la libertà delle Chiese, che pur sono fondamentali. Quello che interessa è soprattutto non chiudere il cielo dell’Europa nei puri confini del terrestre e del mortale, che in definitiva coincide con il non senso. Desideriamo lasciare il cielo aperto per una trascendenza e un mondo di valori che, come cristiani, riteniamo sia la via per disinnescare l’odio e per realizzare pienamente la persona umana.
C’è un proverbio arabo che dice: «Se vuoi tracciare un solco diritto, attacca il tuo aratro a una stella». Il nostro primo compito come Chiese e comunità ecclesiali in Europa è quello di indicare la stella per eccellenza: Gesù crocifisso e risorto. Da lui derivano anche le tracce per un cammino diritto per l’Europa.

NOTE

1 MIGLIORE C. (già Sottosegretario vaticano per i Rapporti con gli Stati), «La Santa Sede e l’Europa», in Il Regno Documenti, 9 (2002) 317.
2 GIOVANNI PAOLO II, Discorso al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede (10 gennaio 2002), in L’Osservatore Romano, 11 gennaio 2002.
3 Cfr Progetto di trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa, artt. II-10; II-14; II-21; II-22.
4 «In dem Bewusstsein ihres geistig-religiösen und sittlichen Erbes gründet sich die Union […]».
5 NIETZSCHE F., Genealogia della morale, Adelphi, Milano 1993 (ed. orig. 1887), 156.
6 KEK – CCEE, Charta oecumenica - Linee guida per la crescita della collaborazione tra le Chiese in Europa, in Il Regno Documenti, 9 (2001) 315-318. Il testo è pubblicato anche sul sito .
Per un commento a più voci della Charta, cfr CCEE – KEK, Charta Oecumenica. Un testo, un processo, un sogno delle Chiese in Europa, Elledici – Claudiana, Torino 2003 (il documento è pubblicato integralmente alle pp. 7-18).

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