Pensare l’Europa: riflessioni del Cardinal Martini

Intervento al Convegno "EUROPA: SPAZIO APERTO"
Milano - Università Bocconi, 28 gennaio 2002

Sono lieto di partecipare a questo importante e significativo Convegno su "Europa: spazio aperto", promosso da questa Università "Luigi Bocconi" nel quadro delle celebrazioni per il suo servizio ormai centenario alla cultura e, attraverso di essa, al presente e al futuro della convivenza e della società. Ringrazio il Presidente dell'Università e il Rettore per l'invito che mi hanno rivolto a prendere la parola in questa prima parte del Convegno. Con loro saluto cordialmente le autorità accademiche, le diverse componenti di questa stessa Università, le illustri personalità che interverranno lungo la giornata, a iniziare dal Presidente delle Commissione Europea, e tutti i presenti.

Nell'affrontare l'interrogativo "Quale dimensione socio-culturale per la nuova Europa?", vorrei proporre alcune riflessioni, senza la pretesa di una particolare organicità e completezza, che aiutino e provochino la riflessione di tutti. In particolare, intendo:

a) richiamare qualche elemento descrittivo dell'Europa di oggi,

b) tratteggiare i lineamenti principali della "nuova Europa" da costruire,

c) sottolineare le sfide socio-culturali che l'Europa è chiamata ad affrontare.

L'EUROPA DI OGGI

Per individuare le sfide socio-culturali che l'Europa è chiamata ad affrontare occorre realizzare un'attenta opera di lettura della realtà, che permetta di riconoscere e discernere i fattori principali del processo che sta caratterizzando il cammino dell'Europa di oggi.

Quella che abbiamo di fronte a noi e di cui noi siamo parte è un'Europa caratterizzata da una certa "ambivalenza", che dice compresenza, nei medesimi fenomeni, di elementi di speranza e di preoccupazione. Limitandoci qui agli aspetti più propriamente culturali, sociali e politici, vanno ricordati alcuni fenomeni quali:

a) il processo di transizione politico?istituzionale che attraversa l'intero Continente e interessa, in particolare, alcuni suoi Paesi, un processo tuttora incompiuto e talora segnato da gravi momenti e forme di conflitto;

b) l'allargarsi dei flussi migratori dall'Est europeo, ai quali vanno aggiunti quelli dal Sud e da diversi paesi dell'Africa e dell'Asia, con tutti i problemi sociali e culturali che stanno creando e che chiedono di essere affrontati con attento discernimento e con responsabilità;

c) il generale fenomeno della globalizzazione - nei suoi risvolti economico-finanziari, culturali, sociali e politici - che sta interessando e coinvolgendo anche i popoli e gli Stati europei nel più complessivo quadro mondiale e che è andato assumendo rilevanza e dimensioni ulteriori dopo i fatti dello scorso 11 settembre, con la conseguente lotta al terrorismo e le azioni belliche tuttora in atto;

d) la fase di accelerazione del processo di unificazione e di integrazione europea, con l'introduzione della moneta unica e l'effettivo inizio della circolazione dell'Euro, le prospettive e i progetti di allargamento dell'Unione Europea anche ad altri Paesi del Continente, l'istituzione della "Convenzione dell'Unione Europea" con il compito di realizzare la riforma dei Trattati della stessa Unione e di stenderne la prima Costituzione.

Di fronte a un simile scenario, non è difficile notare alcuni segni di speranza, che convivono con alcuni aspetti problematici e preoccupanti. Ad esempio, dietro e dentro il processo di transizione politico-istituzionale in atto, non è difficile scorgere elementi e istanze di tipo etico che rimandano sia a un profondo anelito alla libertà politica e, ancora più radicalmente, alla possibilità di costruire una società pluralista dove i diritti di tutti, comprese le minoranze, siano di fatto tutelati, sia a un desiderio di libertà, anche economica, che pure domanda di essere guardato e assunto come possibile fattore positivo di sviluppo e di responsabilità, sia alla possibilità di dare attuazione ad una convivenza serena tra popoli e Nazioni, in una prospettiva capace sia di superare una visione assolutistica della sovranità degli Stati, sia di rispettare e valorizzare quel "policentrismo" che nasce da una concezione organica della vita sociale e che sa contemplare una pluralità di soggetti e di attori, senza escluderne nessuno e assolutizzarne nessuno. D'altra parte, però, non mancano risorgenti spinte verso nuove forme di nazionalismi o di frammentazione della convivenza, con le degenerazioni che ne potrebbero derivare.

Anche la compresenza di diversi popoli, culture e religioni può rivelarsi come occasione propizia per tendere a una nuova unità e "convivialità" culturale, ma può pure diventare un fattore in grado di scatenare contrapposizioni, esclusioni e conflitti, fino a prospettare il rischio, da tutti verbalmente esorcizzato, di "scontri tra civiltà".

Per parte sua, il fenomeno della globalizzazione può certamente significare aumento dell'efficienza e incremento della produzione e può rafforzare il processo di interdipendenza e di unità tra i popoli, offrendo un reale servizio all'intera famiglia umana; nello stesso tempo però, se governato solo o prevalentemente da logiche di stampo mercantilistico, porta a ulteriori disuguaglianze, ingiustizie, emarginazioni.

La stessa unione monetaria, da una parte, pone di fronte a una grande opportunità: oltre a esigere un ripensamento del senso e degli ambiti della sovranità dei singoli Stati, se realizzata in un'ottica globale di solidarietà, essa può dare maggiore stabilità all'Europa e al suo sviluppo economico, può essere un grande strumento di libertà permettendo e favorendo la moltiplicazione degli scambi, può costituire un salto di qualità nel modo di concepire la convivenza nel nostro Continente. D'altra parte, l'introduzione dell'Euro può comportare dei rischi sia perché può favorire l'egemonia della finanza e il predominio degli aspetti economico-mercantilistici, sia perché può contribuire a innalzare nuovi muri in Europa, rivolti soprattutto all'Est, per proteggere le economie più forti, fino a ritardare il necessario processo di allargamento dell'Unione.

Tra gli altri segnali preoccupanti che, all'inizio del terzo millennio, sembrano agitare l'orizzonte del Continente europeo si possono inoltre menzione: lo smarrimento della memoria e dell'eredità cristiana, accompagnato da una sorta di agnosticismo pratico e di indifferentismo religioso; la tendenza continuamente risorgente a una riduzione economicistica della costruzione dell'Europa, con il rischio di contribuire a innalzare nuovi muri nel già complesso e delicato processo di unificazione; la diffusione di una cultura in larga parte in contrasto con il Vangelo e con la dignità della persona umana; una sorta di eclissi del valore della vita umana di cui sono sintomo, tra gli altri, la notevole diminuzione della popolazione a cui si assiste in diversi Paesi, la diffusione e legalizzazione dell'aborto e la richiesta dilegalizzazione dell'eutanasia; il rischio di una chiusura in sé stessa da parte dell'Europa con una possibile conseguente perdita della solidarietà.

Se poi si intendesse andare alla scoperta delle radici profonde di questa situazione, non sarebbe difficile ritrovare cause, ultimamente di ordine culturale, che hanno a che fare con una crescente frattura tra coscienza privata e valori pubblici. Con questo si vuol dire che a livello pubblico si intende professare una sorta di neutralità di fronte ai valori, per cui ogni scelta di valore viene relegata alla sfera di opzione privata di colui che la opera: di qui la diffusione, tra l'altro, di fenomeni di ateismo pratico, di agnosticismo e di indifferenza religiosa. A tutto ciò si collega una malintesa nozione di libertà, intesa e vissuta come autodeterminazione dell'individuo, non regolata da riferimenti a valori trascendenti e non opinabili. La libertà, in altri termini, viene disgiunta dalla verità. Di qui il diffondersi di fenomeni come il relativismo etico, il soggettivismo individualista, l'edonismo nichilista.

Da questi semplici accenni, si può cogliere come l'attuale fase della storia europea sia caratterizzata da forti cambiamenti e da non pochi problemi, ma pure come essa racchiuda in sé anche insperate possibilità. L'Europa, in altri termini, sembra trovarsi a una specie di crocevia nel quale la costruzione e l'unione dello stesso Continente si presentano come altrettante sfide fondamentali.

LA "NUOVA EUROPA" DA COSTRUIRE

Si tratta, a questo punto, di provare a delineare alcuni tratti del volto della "nuova Europa" che si intende costruire, così da precisare la direzione da imprimere all'intero processo europeo.

La meta da raggiungere in questo vasto e articolato processo è quella di un'Europa intera, che torni pienamente a respirare con i suoi "due polmoni", quello della cultura, tradizione e spiritualità orientale e quello della cultura, tradizione e spiritualità occidentale. È ormai tempo, infatti, di dare davvero al nostro Continente quel volto e quell'ampiezza che sono richiesti dalla geografia, ma più ancora dalla storia e dalla cultura; si tratta - come ha detto Giovanni Paolo II a Vienna nel giugno 1998 - di dare attuazione non tanto a una "amplificazione dell'Europa verso oriente", ma a una "europeizzazione" dell'intera area continentale . In questo quadro va adeguatamente inteso anche il tema dell'allargamento dell'Unione Europea. Come hanno scritto i Vescovi a termine del secondo Sinodo per l'Europa, voltosi nell'ottobre 1999, occorre proseguire, "con coraggio e con tempestività, il processo dell'integrazione europea allargando la cerchia dei popoli membri dell'Unione, valorizzando in una saggia armonia le diversità storiche e culturali delle nazioni, assicurando la globalità e l'unità dei valori che qualificano l'Europa in senso umano e culturale" . Continuando con determinazione in questo processo, si potrà addivenire a una progressiva complementarietà dei popoli, nel rispetto dell'identità e della storia di ognuno di essi, e a una maggiore condivisione di quel patrimonio di valori che ogni nazione ha contribuito a far sbocciare. Si potrà anche consolidare la pace in Europa e offrire un segnale forte all'intera umanità, testimoniando che è possibile vivere nella cooperazione e nella pace.

Quella da edificare per l'oggi e per il futuro è, inoltre, un'Europa che sappia presentarsi, interpretarsi e realizzarsi come una "famiglia di nazioni" aperta agli altri Continenti e coinvolta nell'attuale processo di "globalizzazione mondiale". Pensare così all'Europa significa fare riferimento a qualcosa che - sia nel rapporto tra le diverse Nazioni del Continente, sia nei rapporti dell'Europa con gli altri Continenti - vada al di là dei semplici rapporti funzionali o della sola convergenza di interessi. Infatti, come sottolineava Giovanni Paolo II parlando all'ONU nell'ottobre 1995, "la famiglia è, per sua natura, una comunità fondata sulla fiducia reciproca, sul sostegno vicendevole, sul rispetto sincero. In un'autentica famiglia non c'è il dominio dei forti; al contrario, i membri più deboli sono, proprio per la loro debolezza, doppiamente accolti e serviti. Sono questi, trasposti al livello della "famiglia delle nazioni", i sentimenti che devono intessere, prima ancora del semplice diritto, le relazioni fra i popoli" . Ne segue la necessità e l'urgenza di rafforzare l'unione tra i popoli e gli Stati dell'Europa, salvaguardando la specificità di ogni Nazione, tenendo conto della realtà storica, sociale e culturale dei popoli del Continente, per tanti aspetti diversi anche se con forti radici e interessi comuni, fino a individuare, secondo la logica della sussidiarietà, sia ciò che deve essere sempre più demandato alla competenza e alla responsabilità diretta dell'Unione Europea, sia ciò che sembra assai più opportuno mantenere nella competenza delle singole Nazioni .

Nello stesso tempo e nella medesima linea, la "nuova Europa" da costruire deve presentarsi sempre più come vera "casa comune", ossia come realtà capace di dare spazio a forme di intelligente e matura apertura, accoglienza e ospitalità, nella quale non ci sia spazio per discriminazioni, disuguaglianze e ingiustizie, ma tutti - a qualunque cultura o religione appartengano - siano trattati come membri di una sola famiglia. È questa un'esigenza che si accompagna al crescente fenomeno delle immigrazioni, che provoca l'intera società europea e le sue istituzioni a ricercare modi di convivenza rispettosi di tutti e della legalità, in un processo di sempre più vera integrazione. Solo così si potrà realizzare, tra l'altro, una globalizzazione umana e umanizzante, che non diventi una radice mortifera di esclusione e di emarginazione, ma una sorgente di inclusione progressiva di tutti nella partecipazione solidale allo scambio dei beni: la grandezza di una civiltà, infatti, si misura anche dalla sua capacità di condividere le proprie risorse con chi ne avesse bisogno.

Coerentemente con quanto è già avvenuto nella storia, la "nuova Europa" è pure chiamata a presentarsi e ad operare come un Continente aperto e solidale: lungi dall'arrestare e dall'affievolire il suo slancio di solidarietà verso i Paesi meno favoriti, l'Europa deve continuare a realizzare, anche nel contesto attuale della globalizzazione, forme di cooperazione non solo economica, ma anche sociale e culturale. Essa, infatti, come ha più volte ricordato Giovanni Paolo II, non può "ripiegarsi su se stessa. Non può né deve disinteressarsi al resto del mondo, ma deve al contrario conservare la piena coscienza che altri Paesi, altri continenti, si aspettano da essa iniziative coraggiose per offrire ai popoli più poveri i mezzi per il loro sviluppo e la loro organizzazione sociale, e per costruire un mondo più giusto e più fraterno" .

Siamo pure chiamati a costruire un'Europa che sia artefice e esportatrice di pace. Essa, come hanno più volte ricordato i Papi dell'ultimo secolo, deve adoperarsi fattivamente per contribuire a ricercare e a realizzare il bene comune della comunità internazionale, nella pace e nella giustizia, offrendo una testimonianza originale e concreta di vita democratica, nella convinzione che la pace richiede l'azione comune e solidale di tutte le Nazioni di un Continente e che la costruzione della grande Europa non può che favorire la pace e l'intesa fra tutti i popoli, nel rispetto delle peculiarità, poste al servizio di tutti. Perché tutto ciò si possa realizzare, occorre tendere a una unificazione e integrazione europea vista e interpretata come tappa e passaggio per l'unità di tutto il genere umano e, quindi, come figura e anticipazione di una pace mondiale giusta e duratura. In particolare - nella lotta contro il terrorismo, di fronte all'annoso e sempre più tragico conflitto in Medio Oriente, come di fronte alle tragedie e alle guerre che continuano ad attraversare popoli e Nazioni - l'Europa non può rimanere assente, inerme o in posizione supinamente gregaria: insieme con l'intera comunità internazionale e facendo sentire in essa la sua voce chiara e concordemente precisata, essa deve prendere l'iniziativa, deve farsi parte attiva nei negoziati, deve mostrare la sua capacità effettiva di influire sul nuovo ordine mondiale, concorrendo ad assicurare a tutti popoli le condizioni per un libero sviluppo, un'autentica democrazia, una pace vera basata sulla giustizia e sulla solidarietà e animata dall'amore, dal perdono, dalla riconciliazione.

In fedeltà creativa alle sue radici più autentiche, la nuova Europa da costruire è, infine, una "Europa dello spirito", nella quale vengano riscoperti e riproposti per l'oggi i valori che l'hanno modellata lungo tutta la sua storia: la dignità della persona umana; il carattere sacro della vita; il ruolo centrale della famiglia; l'importanza dell'istruzione; la libertà di pensiero, di parola e di professione delle proprie convinzioni o della propria religione; la tutela legale degli individui e dei gruppi; la collaborazione di tutti per il bene comune; il lavoro come bene personale e sociale; l'autorità dello Stato, sottoposta alla legge e alla ragione e "limitata" dai diritti della persona e dei popoli. Sono valori che si sono venuti affermando grazie al contributo di molteplici radici culturali - dallo spirito della Grecia, alla romanità; dagli apporti venuti dai popoli latini, celtici, germanici, slavi e ugro-finnici, alla cultura ebraica e agli influssi islamici - e che hanno trovato proprio nella tradizione giudeo-cristiana una forza capace di inverarli e di promuoverli. Oggi è necessario e urgente ritornare ad essi e viverli in modo rinnovato nel momento presente: solo così l'Europa può rinnovarsi e trovare nuovamente se stessa.

LE SFIDE SOCIO-CULTURALI PER L'EUROPA

Se questa è la "nuova Europa" da costruire, possiamo ora sottolineare le sfide socio-culturali che l'Europa deve affrontare se vuole realizzare il più compiutamente possibile quel volto che siamo venuti delineando.

Perché si possa effettivamente parlare di Europa come realtà veramente unitaria, pur nel rispetto e nella valorizzazione elle peculiarità e delle differenze che la abitano, occorre raccogliere la sfida di ripensare l'idea stessa di nazione, sia mantenendo e coltivando come fondamento della solidarietà europea le legittime differenze nazionali, sia riconoscendo che la stessa identità nazionale non si realizza se non nell'apertura verso gli altri popoli e attraverso la solidarietà con essi. Ne segue che la stessa nozione e realtà della nazione va mantenuta e interpretata entro la tensione vitale tra universalità e particolarità che caratterizza la condizione umana, una tensione inevitabile, ma singolarmente feconda se vissuta con sereno equilibrio.

Si tratta, quindi, di distinguere adeguatamente tra nazionalismo e patriottismo; di discernere tra sentimenti nazionali positivi e negativi; di riconoscere e difendere i diritti delle minoranze contro la tendenza all'uniformità; di rispettare e promuovere il diritto di ogni nazione di preservare la propria sovranità nazionale; di ricercare formule che, superando l'immediata identificazione tra "Stato" e "nazione", consentano a popoli diversi di vivere in un'unica entità statale vedendo ampiamente salvaguardati i propri diritti e la propria identità.

L'ottica per realizzare questo necessario e urgente ripensamento dovrebbe essere quella della "cultura della nazione", vista come luogo nel quale si manifesta la sovranità fondamentale della società, quella sovranità per la quale l'uomo è supremamente sovrano: è proprio mediante tale cultura che la nazione esiste ed è in forza del diritto a tale cultura che la nazione ha diritto ad esistere .

La seconda sfida riguarda la possibilità di integrare le diversità culturali e religiose presenti in Europa. Ne nasce l'impegno a realizzare una "convivialità delle culture", in modo tale da trasformare ogni rinascente tentazione di contrapporre tra loro culture e civiltà - come rischia di accadere anche oggi dopo i tragici fatti di questi ultimi mesi - in una gara di mutuo servizio e di accoglienza tra culture diverse, in una sintesi a misura di uomo e di cittadini, in una grande realtà dove possano trovare casa tante piccole nazioni e culture. Lo richiede non solo una fedeltà creativa a quanto il cristianesimo ha seminato nella cultura europea, ma anche la situazione di accentuato pluralismo, acuito anche dalla compresenza nella stessa Europa di diverse e molteplici tradizioni, culture, etnie, religioni e storie.

Perché ciò si possa verificare, occorre ricordare che ogni cultura è un processo ed è soggetta a cambiamenti continui: non esiste, infatti, una cultura statica, a meno che si tratti di una cultura morta, una cultura del passato. Ogni cultura del presente è esposta a continue variazioni e a continui scambi. Per questi scambi è presupposto necessario il rispetto comune verso i valori umani espressi nelle nostre Costituzioni e nella grande proclamazione dei diritti e dei doveri della persona umana. Non è dunque il confronto tra culture diverse che dobbiamo temere; piuttosto dobbiamo temere la mancanza di una forte identità da parte nostra e/o la rinuncia a uno scambio reale e simpatetico di punti di vista e di valori. Inoltre il confronto dovrà farsi non tanto tra religioni o culture, bensì tra persone presumibilmente in ricerca di un modo di vita autentico e di un vero e sincero dialogo. Il futuro dei nostri paesi mostrerà se saremo capaci nei prossimi anni di favorire tra religioni e culture scambi in grado di promuovere l'unità, la mutua comprensione e la pace nella nostra società o se, al contrario, fomenteremo la creazione di ghetti e disordini nelle nostre città.

Un'altra sfida consiste nel far maturare un'autentica cultura della solidarietà. È questa la condizione urgente e indispensabile per fare dell'Europa un continente veramente solidale e per dare luogo a una globalizzazione a servizio dell'uomo, nella solidarietà e senza marginalizzazioni . Nel fare ciò, va superata ogni concezione "assistenzialistico?sentimentale" della solidarietà stessa vedendola, piuttosto, quale responsabilità per il bene comune. Bisogna pure riconoscere il nesso intercorrente tra efficienza e solidarietà, convinti che quest'ultima, proprio in quanto risponde a un principio etico superiore di fraternità verso chi si trova in condizioni di povertà, può essere considerata anche una convenienza per il funzionamento complessivo della società. Inoltre, la solidarietà può essere realizzata mediante una pluralità di "reti di sostegno", capaci di attuarsi in ordine a una molteplicità di situazioni che, di per sé, non riguardano soltanto i poveri. Infine, penso che vada attuata riconoscendo anche il vincolo o il debito che ci lega a tutto il patrimonio ambientale, economico, culturale, sociale lasciatoci in dono dalle generazioni che ci hanno preceduto nella storia europea. Questo esige, in nome della solidarietà, che ci si assuma la responsabilità di consegnarlo migliorato alle generazioni future.

Tra le sfide che l'Europa deve affrontare, un posto particolare va riconosciuto alla necessità di ritornare, con fedeltà creativa, a quelle radici cristiane che hanno positivamente segnato la storia europea: senza cadere in alcun tipo di concezione nostalgica o integrista, occorre dare consistenza e vitalità a quei valori (ultimamente riconducibili ai diritti della persona umana e in gran parte ispirati dalla tradizione giudeo-cristiana) che costituiscono il patrimonio più prezioso dell'umanesimo europeo. Come scriveva anche il Presidente Prodi nel suo Messaggio al secondo Sinodo dei Vescovi per l'Europa, "l'europeizzazione dell'Europa è possibile se accanto alla ragione illuminata - radice del suo successo tecnologico e del suo sviluppo - l'Europa saprà recuperare anche le sue memorie profonde". E aggiungeva: "nella memoria culturale dell'Europa vi sono i valori che l'hanno modellata lungo tutta la sua storia […]; nella sua memoria vi è l'impronta permanente del cristianesimo. Nelle diverse culture delle nazioni europee, nelle arti, nella letteratura, nell'ermeneutica del pensiero scorre la linfa del cristianesimo che alimenta sia coloro che credono sia coloro che non credono".

Vanno visti in questo orizzonte anche gli interventi nei quali il Papa e il Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee, pur valutando la stesura della "Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea" come un fatto positivo nel processo di rafforzamento del quadro istituzionale dell'Unione, esprimevano l'invito a non cancellare la dimensione religiosa in questo stesso processo e denunciavano alcuni aspetti problematici, quali l'assenza di ogni riferimento a Dio, le ambiguità in ordine al tema della clonazione e della famiglia, il mancato riconoscimento della specifica rilevanza giuridica e istituzionale delle Chiese e comunità religiose . Nello stesso orizzonte si comprende anche quanto Giovanni Paolo II ha detto al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede lo scorso 10 gennaio, allorché, parlando della prospettata Costituzione dell'Unione, affermava che "è fondamentale che siano sempre meglio esplicitati gli obiettivi di questa costruzione europea e i valori sui quali essa deve basarsi" e, riferendosi al "fatto che, fra i partner che dovranno contribuire alla riflessione sulla "Convenzione" istituita nel corso del summit di Laeken lo scorso mese, le comunità dei credenti non sono state citate esplicitamente", diceva: "La marginalizzazione delle religioni, che hanno contribuito ed ancora contribuiscono alla cultura e all'umanesimo dei quali l'Europa è legittimamente fiera, mi sembra essere al tempo stesso un'ingiustizia e un errore di prospettiva", aggiungendo che "riconoscere un fatto storico innegabile non significa affatto disconoscere l'esigenza moderna di una giusta laicità degli Stati, e dunque dell'Europa!".

La sfida di cui stiamo parlando consiste nel mostrare - con la forza di argomentazioni convincenti e di esempi trainanti - che un nuovo serio confronto dell'Europa con il Vangelo e con i valori da esso proposti è la carta da giocare con fiducia. Si tratta, più puntualmente, di mostrare che edificare la nuova Europa fondandola sui valori che l'hanno modellata lungo tutta la sua storia e che affondano le loro radici nella tradizione cristiana è vantaggioso per tutti, a qualsiasi fede si appartenga, e costituisce la solida base per una convivenza più umana e più pacifica, perché rispettosa di tutti e di ciascuno.

In questo quadro, occorre riproporre e risvegliare in Europa il riferimento alla necessaria dimensione spirituale. Perché la costruzione dell'Europa possa affondare le sue radici in un terreno sicuro e fecondo, è necessario far leva sui valori autentici dello spirito; è necessario che essa ritrovi in questo stessi valori dello spirito quel "supplemento d'anima" di cui ha bisogno e che i cristiani e il cristianesimo, in particolare, possono offrirle.

Da tutto quanto abbiamo detto fin qui risulta evidente che è determinante e urgente dare vita a una profonda ricostruzione culturale. Ci sollecita e incoraggia in questa direzione anche il ricordo di Jean Monnet: quando cinquant'anni fa, nel 1952, ideò la Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio, era già cosciente del fatto che "l'Europa è qualcosa di più che il prezzo del carbone e dell'acciaio" e, qualche anno più tardi, dichiarò: "Se oggi dovessi ricominciare, non ricomincerei da un mercato comune: partirei dalla cultura". Così deve essere oggi anche per noi. Come ho avuto modo di dire anche i altre occasioni: "La nuova casa comune europea o nascerà sulla base di una nuova cultura o non nascerà. Non c'è dubbio che anche l'unione monetaria ha una sua importanza e un suo significato. Ma essa non basta. C'è bisogno di un'unione più solida e sostanziale, che attiene ai valori, cioè all'uomo con i suoi diritti e doveri inalienabili, con la sua dignità trascendente. C'è bisogno di tendere ad un'unità culturale che, oggi, non può più essere pensata in termini di "sola cristianità", ma in termini di pluralismo dialogante e collaborativo, nel quale i cristiani hanno un compito al quale non possono abdicare".

Tra le condizioni per dare vita a questa profonda ricostruzione culturale, occorre recuperare e rilanciare la "soggettività della società", operando per un recupero di moralità che attraversi l'ethos diffuso e i costumi diffusi. A tale proposito, è necessario e urgente ritornare a confrontarsi sui valori e non ci si può permettere, in nome di una falsa e presunta "laicità" di trasformare i "valori" in semplici "gusti": su questi ultimi, infatti, non si può discutere e così si finisce col ritenere che anche sui valori non si deve discutere e non ci si deve confrontare, nell'illusione che in questo modo si possa andare tutti d'accordo.

Nel vivere questa "soggettività della società", occorre avere il coraggio di porsi le domande fondamentali riguardanti la questione di Dio e la questione dell'uomo. Sono le stesse domande che ricordava Giovanni Paolo II nell'ultimo discorso al Corpo diplomatico allorché, dopo aver descritto la "contrastata situazione del nostro mondo, incamminato nel terzo millennio", diceva che questa stessa situazione "se posso esprimermi così: ci mette di fronte alle nostre responsabilità. Ognuno è costretto a porsi le vere domande: quella della verità su Dio e quella della verità sull'uomo".

Queste stesse domande risuonano anche per noi parlando di "nuova Europa". Sono domande con le quale non possiamo non confrontarci; sono domande che ci portano alla radice di tutto il nostro impegno; sono domande che si presentano e si presenteranno con sempre maggiore urgenza sia per la compresenza nel nostro Continente di diversi popoli, culture, religioni, sia per quella convivenza con pari dignità nella stessa Europa della tradizione orientale e di quella orientale che andrà ancor più concretamente affermandosi grazie anche all'auspicato allargamento dell'Unione Europea. Sono domande a cui alludeva lo stesso Giovanni Paolo II durante il suo primo viaggio in Slovenia: "Questa è l'ora della verità per l'Europa. I muri sono crollati, le cortine di ferro non ci sono più, ma la sfida circa il senso della vita e il valore della libertà rimane più forte che mai nell'intimo delle intelligenze e delle coscienze. E come non vedere che l'interrogativo su Dio sta al cuore di questo problema? O l'uomo si considera creato da Dio, dal quale riceve la libertà che gli apre immense possibilità ma gli pone anche precisi doveri, oppure egli si autopromuove ad assoluto, dotato di una libertà che, essendo priva di legge, si abbandona a ogni sorta d'impulso, richiudendosi nell'edonismo e nel narcisismo".

In questa prospettiva, la sfida più radicale consiste nel ritrovare e condividere il valore della persona umana e della sua dignità. Questo è ciò che deve sostenere e animare dal dentro tutto il processo europeo e ogni Costituzione europea. In questo senso - come ha scritto Giovanni Paolo II - è necessario vigilare, da parte di tutti i cittadini e delle stesse autorità civili, "affinché le strutture e le istituzioni europee siano sempre al servizio dell'uomo, che non può mai essere considerato un oggetto che si può acquistare o vendere, sfruttare o manipolare. […] Oggi, di fronte ai cantieri aperti della scienza, soprattutto della genetica e della biologia, di fronte all'evoluzione prodigiosa dei mezzi di comunicazione e di scambi a livello planetario, l'Europa può e deve lavorare per difendere ovunque la dignità dell'uomo,sin dal suo concepimento, per migliorare ancora di più le sue condizioni di vita…".

In conclusione, ritengo si possa dire che l'Europa si trova di fronte a un bivio importante, forse decisivo, della sua storia. Da un lato, le si apre la strada di una più stretta integrazione: le linee per realizzarla sono molte e in gran parte sono incluse nella sua stessa storia. Dall'altro lato, la strada che può aprirsi è anche quella di un arresto del processo di unificazione o di una sua riduzione solo ad alcuni aspetti non pienamente rispettosi dei valori su cui deve fondarsi una vera Unione.

La scelta, dunque, sembra essere tra un'unità più stretta capace di coinvolgere un maggio numero di popoli e nazioni e una battuta d'arresto che potrebbe portare alla disgregazione dell'edificio europeo o alla identificazione di tale edificio con una sola parte del Continente.

Di questa necessaria e maggiore unità si sottolinea spesso solo l'aspetto economico. Esso è certamente quello più appariscente, ma non può né deve essere l'unico, altrimenti l'Unione Europea si realizzerebbe su basi poco solide e tradendo quella che ne era stata l'ispirazione originaria. Non ci si può limitare, quindi, al solo profilo mercantile e finanziario, aspetto pure importante ma non disgiungibile dalla ancora più essenziale dimensione sociale e politica.

E perché ciò avvenga occorre dare spazio ad una vasta e profonda azione culturale che ci deve vedere tutti impegnati. È, infatti, necessario e urgente adoperarsi con intelligenza e lungimiranza per individuare, sintetizzare e riproporre alla comune condivisione i valori fondamentali ai quali deve ispirarsi, per l'oggi e per il domani, la convivenza dei popoli europei.

PeaceLink C.P. 2009 - 74100 Taranto (Italy) - CCP 13403746 - Sito realizzato con PhPeace 2.8.17 - Informativa sulla Privacy - Informativa sui cookies - Diritto di replica - Posta elettronica certificata (PEC)