Pensare l’Europa: una lettera apeta ai giovani di Raniero LaValle
Carissimi,
molti si rivolgeranno a voi in questi mesi per invitarvi a votare per questo o per quel candidato alle elezioni europee. Ma nessuno probabilmente vi dirà perché dovreste votare.
Vorrei provare a dirvelo io. Ma prima di tutto vi dico chi sono, perché il vostro primo diritto è sapere chi vi parla, e se ciò che vi dice è credibile. Io vengo dal giornalismo, che è quel mestiere per il quale chi informa su un fatto o trasmette un’idea, deve aver conosciuto e capito ciò di cui parla prima di coloro a cui lo comunica, perché anche loro possano sapere e capire. Io cerco di farlo da cinquant’anni: ho diretto l’Avvenire d’Italia a Bologna, un quotidiano che fu celebre ai tempi del Concilio, ho fondato riviste e scritto libri, ho lavorato per la televisione e per la radio, ho girato il mondo per fare conoscere e comprendere ciò che accadeva in Vietnam, in Palestina o in America Latina, e anche giudicare ciò che accadeva, non solo immagini ma anche parole e pensieri.
Vengo da una generazione che ha avuto molti maestri, alcuni li ho conosciuti personalmente, papa Giovanni XXIII, il cardinale Lercaro, il monaco Benedetto Calati, Dossetti, Balducci, Turoldo, Berlinguer, Napoleoni, Moro e molti altri e molte altre. Voi non avete la stessa fortuna, non avete un gran numero di maestri e testimoni, o forse ne avete che noi non conosciamo.
Dunque, perché votare, e votare per la prima volta? Votare per la prima volta è come un battesimo, si passa da una condizione ad un’altra, si passa dall’essere portati a portare, dall’essere oggetto di decisioni altrui a essere soggetti di decisioni proprie, e ciò in quel luogo determinante del destino che è la vita pubblica, quel luogo dove si decide se si va a fare la guerra o si costruisce la pace, se è degno di diritti solo il bianco o anche il nero, se l’Europa è un buon posto per viverci, e basta così, o devono esserlo anche l’Africa e il Medio Oriente, se le prossime generazioni dovranno vivere all’asciutto o lottare contro le acque che le nostre politiche di oggi avranno scatenato.
Certo, molte volte il voto è inutile: perché si vota per chi poi non sarà eletto, e magari c’è un sistema elettorale, come quello uninominale maggioritario, che rende quel voto senza alcun effetto; o perché si elegge qualcuno o si vota per un partito che non fa quel che dice, o peggio prende poi decisioni sbagliate o dannose. Nel caso delle elezioni europee il primo pericolo non c’è, perché si vota col sistema proporzionale, che rende decisivo per il risultato anche il voto di preferenza per chi non è eletto, purché sia un voto per liste abbastanza forti da concorrere alla ripartizione dei seggi; mentre c’è il secondo pericolo perché si può dare un voto sbagliato, ed anche l’elettore può sbagliare. A mio parere l’elettorato ha sbagliato nelle ultime elezioni politiche in Italia, perché ha consegnato il potere a una classe di governo che non si è dimostrata né capace né degna di esercitarlo, e il rischio che ciò provochi danni irreversibili alla società e alla stessa democrazia non è ancora sventato.
Per l’Europa il voto è necessario perché se è vero che è un voto senza effetti immediati sulla politica italiana, è anche vero che è un voto che rincorre il potere che ci governa in Italia lì dove è per larga parte emigrato. In democrazia il voto è uno strumento per il controllo e l’indirizzo del potere. Il potere che siede a Bruxelles entra direttamente nella nostra vita, perché arriva a dettare norme per tutti i rapporti economici, e giunge fino a decidere come devono essere fatte le nostre targhe automobilistiche, i nostri impianti elettrici o se possiamo continuare a coltivare il tabacco (come si fa nella provincia di Verona), o se possiamo salvare la nostra compagnia di bandiera, l’Alitalia, o una industria nazionale come la FIAT. L’Europa è una grande cosa, l’abbiamo fortemente voluta, ma finora essa con una grande quantità di norme, trasfuse anche nelle centinaia di articoli del progetto di Costituzione europea, non ha fatto che tradurre nella rigidità di un regime politico e giuridico il modello economico capitalistico nella sua forma liberistica più accentuata. Nel Novecento c’è stato un grande antagonismo, anche ideale, in Europa, tra capitalismo e socialismo; per lungo tempo nessuno ha prevalso del tutto, ma il loro confronto ha fatto sì che essi si influenzassero a vicenda, sicché lo stesso capitalismo è stato mitigato da “elementi di socialismo”, e ha dovuto accettare di contemperarsi con i diritti delle persone, con lo Stato sociale, e con garanzie giuridiche fondamentali come ad esempio quelle del diritto allo studio o dello Statuto dei lavoratori. Questo ha permesso a molti giovani di poter progettare, anche a lungo termine, la propria vita.
Oggi di un’economia socialista non si può nemmeno parlare perché rispetto all’attuale ordinamento europeo sarebbe fuori legge, ma ciò fa sì che i dettati del liberismo anche più estremo possano realizzarsi senza limite alcuno.
Tutto ciò richiede una profonda innovazione nella costruzione europea, perché l’Europa non sia più solo un sistema economico eretto a regime, ma diventi una grande comunità politica in cui i diritti fondamentali siano assicurato per tutti, la lotta per l’eguaglianza ridiventi possibile, e diverse forme di soluzione ai problemi economici e sociali possano confrontarsi come parimenti legittime.
Ma c’è una ragione ancora più fondamentale per la quale è necessario un voto che miri a un’Europa diversa. Ed è che l’Europa, in un mondo che gli attuali poteri dominanti stanno portando verso la catastrofe, è l’unico soggetto istituzionale, politico e ideale, che può imprimere una svolta alla situazione mondiale, che può esprimere un’altra idea dell’Occidente, indurlo a un’altra politica, e così salvare il mondo e lo stesso Occidente.
La guerra perpetua indetta da Bush, la guerra per cui il “tempo di guerra” non è più riconoscibile rispetto al tempo normale di vita, come dice il governo Berlusconi in una relazione al Parlamento, è una guerra all’ultimo sangue che non vede altro sbocco che la distruzione del nemico, sia che a “vincere” sia il Nord del mondo, con gli Stati Uniti, Israele e l’Occidente, sia che a vincere siano gli altri, comunque li si vogliano chiamare, “terroristi”, “Stati canaglia”, “Asse del male”, Islam, regimi non democratici, popoli fuori mercato, disperati della terra e magari, in prospettiva, la Cina. Ma chiunque fosse a vincere, se pure una tale guerra possa essere vinta, ciò significherebbe che l’una o l’altra parte del mondo sarebbe annichilita, e il mondo non sarebbe più quello che conosciamo e che, nonostante tutto, amiamo, e l’umanità sarebbe scissa in vittoriosi e perdenti, sopravvissuti e annientati, salvati e sommersi.
A me non piace che voi dobbiate vivere in un mondo così, e ancor meno che voi siate chiamati, come cittadini, come lavoratori, come pedine del sistema finanziario e produttivo, come guardie private o come soldati, a farvi artefici e colpevoli di un mondo così.
Per questo dovete votare, per un’altra idea del mondo, per un’Europa che sia alternativa a se stessa e alternativa a politiche mondiali che da qualche anno danzano irresponsabilmente su un “crinale apocalittico”, come diceva Giorgio La Pira, un altro dei nostri maestri del Novecento.
Quanto a me, se sarò eletto al Parlamento europeo (essendo candidato indipendente per il neonato partito della Sinistra europea promosso ed espresso in Italia da Rifondazione comunista), per prima cosa intendo promuovere un Gruppo interparlamentare per la Pace, formato da deputati democratici provenienti da tutti i Paesi membri e da tutti i partiti, che sull’esempio di quanto facemmo al Parlamento italiano nella X legislatura, sostenga una coerente politica di pace per l’Europa, a cominciare dall’inclusione del ripudio della guerra nella Costituzione europea. E la prima proposta politica che tale Gruppo dovrebbe elaborare, sarebbe quella di una Amministrazione fiduciaria per l’Iraq, per il tempo strettamente necessario a permettere all’Iraq di esercitare la propria autodeterminazione, secondo un mandato che dovrebbe essere affidato all’ONU o all’Unione Europea o a quei Paesi, disponibili anche a una presenza militare, che la stessa resistenza e le altre componenti della società irachena vorranno indicare. La seconda proposta, da elaborare in stretto contatto con la società civile israeliana e palestinese, dovrebbe essere quella di una soluzione di quel conflitto in un quadro europeo allargato.
Sono solo dei sogni? Sognati da molti, diceva un vescovo dei poveri in Brasile, don Helder Camara, essi diventano realtà. E finché c’è amore nel mondo non c’è un sogno che non diventi possibile.
Vi ringrazio per l’attenzione e vi faccio i miei auguri per il vostro primo...o secondo voto
Raniero La Valle
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