Diretta dall'assemblea

"DIARIO DALLA VOCE DI SERENA NOCETI-Teologa fiorentina e membro del SAE" - 2

Da Porto Alegre, 16 febbraio 2006


Una prima cosa su cui vorrei riflettere è il tema dell’assemblea. È formulato in forma di invocazione - “Dio, nella tua grazia, trasforma il mondo” – per aiutarci a ricordare in ogni momento che solo il Signore può trasformare e dare compimento al mondo, secondo la logica del suo Regno, della sua misericordia, del suo amore gratuito. Siamo stati più volte invitati a cogliere questo tratto di preghiera e di invocazione comune a Dio fin dall’inizio, tanto dal segretario generale Kobia nel suo annuncio di apertura, quanto dal metropolita di Albania Anastasio, nella predicazione-allocuzione della celebrazione di apertura. Quest’ultimo ci ha condotto anche a cogliere il potere mistico e “critico” dell’umiltà nel nostro contesto storico-culturale, l’umiltà di chi sa di dover ricevere e anche attendere compimento. Questo non impedisce di affermare – con estrema forza e lucidità - che l’umanità intera e la chiesa sono chiamate a essere collaboratrici attive e responsabili di tale trasformazione; anzi, la critica al neoliberismo e al capitalismo, alle politiche del FMI e allo sfruttamento del nord del mondo si è levata oggi in modo forte, esplicito, molto deciso.
Il programma dell’assemblea prevede di prendere progressivamente coscienza della trasformazione del mondo, sotto l’aspetto della creazione/della terra, della società, della nostra vita, delle chiese, della testimonianze. Ad ogni tema saranno dedicati uno o due giorni di riflessione.

Un’assemblea spirituale - a partire dai giovani
Due prospettive caratterizzano questa assemblea WCC rispetto alle precedenti: la prima è la voluta attenzione alla spiritualità («vogliamo che sia un’assemblea spirituale», «un’assemblea orante», hanno detto il presidente WCC Aram I e il moderatore Kobia); la seconda è la scelta di privilegiare i giovani, per garantire futuro e novità al cammino ecumenico. La prima scelta ha portato a curare in modo particolare i momenti di preghiera comune (mattina e sera) e i gruppi biblici di dialogo tra delegati. La seconda opzione si traduce, in particolare, nel fatto che i giovani hanno precedenza sugli adulti in molte attività (se c’è poco tempo per il dibattito, prima parlano gli under 30 e poi – eventualmente - gli altri; i giovani anche non delegati possono partecipare a tutte le attività, etc.); molte chiese hanno inviato delegati giovani; ci sono molti gruppi di approfondimento e una “ecumenical conversation” sul tema giovani; ci sono due o tre giovani in tutte le commissioni (da quella bilancio-finanze, a quella per le nomine, a quella per il programma futuro WCC).

Decisione per consenso
L’elemento che caratterizza più profondamente questa assemblea (pensando a una possibile storia del movimento ecumenico), però, penso che sia il processo di decisione per consenso. È la prima volta che questo processo viene adottato da un’assemblea mondiale WCC, anche se alcune delle chiese membri (protestanti e ortodosse) lo utilizzano da molti anni. La commissione speciale sulla partecipazione ortodossa al WCC costituitasi ad Harare ha raccomandato la sua adozione.
La “decisione per consenso” è un modo di discernere insieme la volontà di Dio e di prendere decisioni che non si basa sul metodo parlamentare classico (emendamenti al testo, voto), ma su una progressiva maturazione del consenso di tutti sul tema in esame. Il segno più evidente sono due cartoncini (arancione sì – blu no) che i delegati mostrano al moderatore dell’assemblea durante gli interventi in aula o quando si deve deliberare su un dato punto; chi non è d’accordo viene invitato a intervenire e a motivare la sua posizione o a porre domande. Viene utilizzato in assemblea plenaria, nelle ecumenical conversation, nelle commissioni. Devo dire che dal punto di vista ecclesiologico lo trovo splendido, perché permette un modo di pensare, di decidere, di agire insieme che è coerente con l’essere chiesa, con la fede nello Spirito che agisce in tutti e con la fatica del comprendere la fede nell’oggi a partire da un processo ermeneutico reale che vede come soggetto il popolo di Dio; ho qualche dubbio sulla fattibilità/praticabilità. Penso che sia estremamente utile e ben praticabile con un gruppo non troppo grande di persone (max 100); non so bene come sarà possibile gestire una assemblea con 691 delegati. Il tutto è molto legato alla capacità di guidare l’insieme da parte del moderatore. Penso di scrivere un articolo su questo e soprattutto penso di sperimentare il metodo una volta tornata a casa (ad esempio per la programmazione dell’ufficio catechistico …).

L’assemblea in numeri
Alcuni dati quantitativi per darvi un po’ l’idea dell’assemblea.
L’assemblea si svolge presso la PUCS (università cattolica), un enorme campus, attrezzatissimo; qui si sono tenuti anche i Forum sociali mondiali.
Siamo più di 4000 persone; i delegati delle chiese sono 691 (di 348 chiese: ricevere l’elenco dei nomi ha fatto felice l’ecclesiologa!); i giornalisti accreditati circa 200; più di 3000 gli osservatori, gli ospiti, i partecipanti al Murtirao. Il 15% sono giovani; il 37% sono donne, ma ci sono solo 10 indios su 691 delegati. Sono stati attivati più di 200 workshop, sui temi più diversi … è una continua proposta di attività, le più creative, coinvolgenti, diverse … difficile scegliere. …

PS Arriviamo alla PUCS alle 8 circa e continuiamo le nostre attività fino alle ore 19.30, con 30’ di pausa pranzo … considerando circa mezz’ora di autobus all’andata e al ritorno … siamo al terzo giorno e siamo tutti molto stanchi

Un po’ di “cronaca” e di mie impressioni sul primo giorno
Passando a un racconto più puntuale di ciò che ho vissuto, vorrei partire da lunedì pomeriggio e dalla solenne apertura dell’assemblea. La mattinata di martedì 14, infatti, è stata dedicata a dare una serie di informazione sulla decisione per consenso e su quanto è stato realizzato dopo Harare dal WCC e dalle diverse commissioni.
L’assemblea si è aperta con una suggestiva drammatizzazione sulla creazione dell’uomo e della donna, sul lavoro e sui frutti della terra, sull’acqua che dà vita. La musica dal ritmo stringente e coinvolgente, i vestiti, le immagini che venivano proiettate sui maxischermi ci hanno portato “in” Brasile, posto a contatto con la ricchezza di una cultura e con le attese, le speranze, le fatiche, le ingiustizie, così evidenti. Sono seguiti i saluti ufficiali e poi è stata data lettura di alcuni messaggi di saluto: del patriarca Bartolomeo di Costantinopoli, dell’arcivescovo di Canterbury, del papa Benedetto XVI (letto dal card. Kasper che ha poi letto un messaggio della delegazione ufficiale presente), del segretario ONU Kofi Annan. È stato particolarmente toccante il momento in cui è stato chiesto di alzarsi a chi era stato presente alle precedenti otto assemblee, quando siamo arrivati ad Amsterdam 1948 è scoppiato un applauso commosso a P. Potter che nel 1948 era presente … Ci siamo poi spostati nella tenda della preghiera (è un grande tendone da circo) per la celebrazione iniziale. Come presentarvela? Siamo partiti ascoltando il grido degli uomini e delle donne dei diversi continenti (con testi veramente molto belli e di concreta denuncia delle situazioni), abbiamo invocato “Oh se squarciassi i cieli e scendessi …” con Isaia e poi abbiamo ascoltato la domanda di Gesù nel vangelo della risurrezione “Donna, perché piangi?”, abbiamo ascoltato le parole di promessa di Ap 21 e poi abbiamo pronunciato parole di impegno. Poi una lunga processione con i doni dei continenti: una pietra dall’Africa (dal Turkana, luogo di origine della specie umana), una campana dall’Asia, una canna da zucchero dal Caribe, un copricapo di renna (di un popolo indigeno norvegese) dall’Europa, una croce del Salvador; un’icona copta dal Medio Oriente, frutti della agricoltura dal Nord-America; strumenti e coppe per il culto dalle isole del Pacifico. Accanto alle parole e ai simboli è stata protagonista la musica; la liturgia è un’esplosione continua di suoni, un alternarsi di melodie da tutte le parti del mondo. È come se raccogliessimo la tradizione e le voci di oggi di popoli e popoli, chiese e chiese, e li armonizzassimo nella liturgia comune.

Due impressioni a conclusione della prima giornata.
La prima, la profonda consapevolezza della responsabilità delle chiese perché “un altro mondo sia possibile”. Emergeva nella drammatizzazione, nelle preghiere, nella predicazione del metropolita Anastasio di Tirana, nei messaggi di Bartolomeo e dell’arcivescovo Williams. Si percepisce girando per gli stando allestiti nel campus e leggendo i titoli dei workshops. Sembra evidente come un ecumenismo giocato sulla diakonia comune sia accolto e recepito; la domanda importante in questi giorni sarà come si deve sviluppare la domanda sulla configurazione nuova del movimento ecumenico e come affrontare le scottanti questioni teologiche/ecclesiologiche.
La seconda osservazione riguarda l’intervento di saluto del card. Kasper, che ha riaffermato con forza il fatto che sulla strada del dialogo ecumenico la chiesa cattolica non torna indietro; il Vaticano II è stato un evento decisivo in questo senso. Sono stata contenta anche perché il messaggio di Benedetto XVI era veramente molto breve (per quanto mi riguarda, penso “troppo breve”). Tra parentesi, guardando su internet i giornali, mi ha colpito che Avvenire avesse solo un piccolo trafiletto con il saluto del papa e niente altro. È interessante vedere come qui ci siano anche giornalisti di stampa laica (ad esempio c’è uno spagnolo) e non solo di testate confessionali…

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