"DIARIO DALLA VOCE DI SERENA NOCETI-Teologa fiorentina e membro del SAE" -5
Il quinto giorno: “Dio, nella tua grazia, trasforma le nostre vite”
La giornata di oggi è racchiusa in un segno: una croce ricavata dal bossolo di una pallottola che i cristiani della Liberia hanno “donato” ai partecipanti all’assemblea. La tengo qui, sul tavolo, davanti a me, mentre scrivo. È stata una giornata contrassegnata dal silenzio, quello che nasce quando sei cosciente della debolezza estrema, della fragilità della vita umana che è così preziosa e vulnerabile, della limitatezza dell’azione che metti in atto.
Il silenzio è sceso sull’assemblea quando durante la preghiera del mattino una signora, disabile grave, ha letto le invocazioni. Non una sola parola era comprensibile, eppure lei ha letto tutto il testo che le era stato assegnato. Era un silenzio di disagio, mentre a ogni invocazione rispondevamo “kyrie eleison”. Nel corso della giornata sono state molte le persone con cui ho dialogato che hanno espresso la stessa identica sensazione; all’inizio dirsi “non è giusto esporre una persona così grave davanti a tutti chiedendole di leggere”, poi in tutti, mentre la preghiera andava avanti, la chiara intuizione del “perché no?”, “ci sta donando qualcosa di sé”, “ci sta facendo capire qualcosa di importante”, “il disagio è il nostro non il suo, lei ha scelto di leggere all’assemblea”. Penso che ci abbia fatto capire con chiarezza la lettura biblica che guidava la nostra giornata è “ti basta la mia grazia; la mia potenza di manifesta pienamente nella debolezza” (2Cor 12,9).
Il silenzio è sceso dopo la relazione di Olara Otunnu, che ci ha messo davanti alla violenza radicale in situazioni di guerra perpetrata contro i bambini, privati del presente e del futuro: «nessun gruppo di persone è più radicalmente vulnerabile che i bambini esposti a conflitti armati». Ha chiesto di attivare concrete attività, di denuncia (una “lista della vergogna” dei responsabili, depositata presso il Consiglio di Sicurezza dell’ONU) e di sostegno e aiuto, durante e dopo i conflitti. E poi ha posto davanti a tutti la responsabilità che la società civile del mondo ha davanti a undici conflitti attualmente in corso; sono un silenzio e un’assenza colpevoli quelli della società civile. Il silenzio di una coscienza che si sa responsabile nell’omissione è sceso però soprattutto alla fine della relazione, quando ci ha posto davanti alla vita per un bambino in un campo profughi dell’Uganda del nord (dove vivono circa 2 milioni di persone, da 10 anni). Ci ha detto chiaro che si tratta di un genocidio. Ci ha chiesto dove sono le chiese. Ci ha anche detto che le donne e i bambini di questi campi profughi avevano il diritto di far sentire la loro voce nella nostra assemblea. Ho pensato solo che su levava nelle nostre coscienze la voce del sangue di molti Abele.
Ecco, è stata una giornata diversa dalle precedenti. Non abbiamo parlato di rapporti tra le chiese e in fondo neanche di “conversione” (al mattino immaginavo questo come orizzonte del trasformare le nostre vite), però è stata evidente la missione della chiesa (al singolare) nel servizio al Regno, non opzionale, e la comune, unica, vocazione-identità di ogni cristiano. È stato, in fondo, essere stati “appellati” come cristiani, nell’elemento che genera l’identità. Penso che il processo trasformativo della grazia sia stato posto soprattutto attraverso il seme della coscienza di “debolezza” (non tanto di coscienza di “peccato”).
La preghiera pentecostale che chiudeva la giornata, in questo senso, non mi ha particolarmente aiutato. È stata sicuramente più immediata e forte l’ “icona” del Cristo che scende agli inferi, icona classica della tradizione ortodossa, riespressa nei contorni di un oggi di mancata liberazione, che aveva aperto la preghiera del mattino. Mi veniva in mente San Salvatore in Chora, a Istanbul, ma in questa icona portata in processione, non c’erano colori, ma solo i toni del grigio, del nero, di un pallido rosso. E ancora è stato importante che la relazione di Olara Otunnu, che non è mai stata gridata, ma affermata con la decisione cruda di chi vede il reale, sia stata chiusa da una musica di sole percussioni e suoni elettronici “distorti”. Il brano biblico-guida di oggi era tratto da 2Cor 12; quasi alla fine del capitolo 13 Paolo riprende il tema della debolezza; non abbiamo letto questo brano, che ho trovato quando sono andata a rileggermi il testo in italiano (e vi confesso che non era un testo che mi avesse molto colpito finora), ma a me sembra che ci possa essere in esso un punto-fermo: «Cristo fu crocifisso per la sua debolezza, ma vive per la potenza di Dio. Anche noi, che siamo deboli in lui, saremo vivi con lui per la potenza di Dio nei vostri riguardi». Ho trascritto questo versetto dietro la mia immagine dell’icona perché vorrei camminare nella fede – anche in un messia debole -, come cristiana “responsabile”, alimentata da questa speranza.
Ps la giornata di ieri è stata caratterizzata anche da un altro tipo di silenzio: quello davanti alle domande “scomode”. Ho partecipato, infatti, all’incontro confessionale cattolico. L’incontro è stato utile e positivo per la presentazione delle attività realizzate dal Pontificio consiglio per l’unità dei cristiani, per i tanti dialoghi bilaterali che la chiesa cattolica porta avanti. È stato importante per l’incontro con la delegazione ufficiale cattolica, per la visita del segretario WCC Kobia e per la possibilità di porre domande al capo della delegazione ufficiale: mons Farrell. Ci sono stati però due silenzi, che non voglio tacere: quando è stato chiesto se la non ordinazione delle donne nella chiesa cattolica sia un ostacolo al dialogo ecumenico con le altre chiese e quando è stato chiesto perché la chiesa cattolica è membro di molti consigli di chiese nazionali o locali, ma non è membro del consiglio mondiale, le risposte sono state molto evasive …. Forse il secondo messaggio della giornata è la necessità di essere insieme coraggiosi e pazienti nel nostro cammino: mai una pazienza senza coraggio di dire ciò che veramente si pensa, né un coraggio senza la pazienza di passi lenti e progressivi. In fondo, come chiedeva una domanda nel mio gruppo di studio, si tratta di vedere come “fare-dire la verità nella carità”.
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