DIARIO DALLA VOCE DI SERENA NOCETI-Teologa fiorentina e membro del SAE - 6
Sono passati ormai tre giorni dalla mia ultima lettera e vorrei riprendere con voi a riflettere sull’assemblea, sul modo in cui il tema è stato pensato e sviluppato in queste giornate e condividere qualche impressioni e idea “teologica”. Il lavoro dell’assemblea si è concentrato, infatti, sulla visione di chiesa che abbiamo e che cerchiamo e sulle implicazioni per il dialogo tra le chiese: “Dio, nella tua grazia, trasforma le chiese e la nostra testimonianza” è stata l’invocazione che ha contraddistinto le nostre giornate.
Il sesto giorno: i passi difficili di una fede inculturata
Domenica mattina ha partecipato alla celebrazione eucaristica nella cattedrale cattolica … se devo indicare il momento che meno mi ha coinvolto nell’assemblea è stato sicuramente questo, e lo dico con estremo dolore…. Una celebrazione semplicemente non “inculturata”; ad un certo punto, vedendo le vesti dei ministranti, l’incenso e il suono del campanellino alla consacrazione, ascoltando le parole dette e il tipo di canti, mi sono chiesta se eravamo in Brasile o in una parrocchia della mia diocesi, in una sera d’inverno, a una celebrazione di sole persone anziane … una perfetta celebrazione eucaristica che poteva essere celebrata ovunque, da qualunque assemblea …. Certo, c’erano riferimenti all’assemblea WCC nell’omelia, negli avvisi, nei saluti, nella preparazione accurata dei fogli per la celebrazione, ma non ho colto niente dei canti, dello stile celebrativo, dei colori, del ritmo che ho colto gli altri giorni dell’assemblea come “stile” e come “sentire” di questa terra latinoamericana. Non c’è stato quel “senso di festa” che ha accompagnato, invece, il resto della giornata e che – mi hanno detto – ha contraddistinto alcune delle celebrazioni protestanti e ortodosse.
Il pomeriggio è stato dedicato a un’assemblea plenaria, con video, canti, musica, simboli, drammatizzazioni, che ci hanno condotto a riflettere sull’America Latina, sulla sua storia, sulla situazione attuale, sulle sfide e le speranze, il tutto intorno alla domanda”Dove Dio è al lavoro/cammina in America Latina”. Cinque personaggi simbolici sono stati le nostre “guide”: un anziano e una donna indigeni, una teenager, un cinquantenne rivoluzionario e un pellegrino di colore. Ci hanno introdotto, con le loro domande e riflessioni, alla visione di alcune video-interviste a persone che hanno segnato e segnano con la loro riflessione e azione il cammino delle popolazioni latinoamericane: dalle madri e nonne di Plaza de Mayo al premio Nobel Adolfo Perez Esquivel, da Rigoberta Menchu alla teologa femminista Elsa Tamez. La crudeltà dei colonizzatori e l’evangelizzazione cristiana (simboleggiate dalla croce), le profonde contraddizioni sociali (la povertà, l’ingiustizia economica), la guerriglia e le rivoluzioni che hanno segnato il secolo scorso (il binomio giustizia e libertà), le dittature militari e la ferocia della repressione in tanti paesi, lo spirito di pace e la ricchezza della culture indigene, in simboli, parole, volti sono state “disegnate” sotto i nostri occhi. E poi offerte sotto forma di musica e danza nella serata all’aperto dopo l’assemblea (chiaramente ha piovuto! Ma noi abbiamo resistito e goduto di una piacevolissima serata).
Ho lasciato per ultimo il momento per me più intenso della giornata di domenica: la conferenza stampa con il premio Nobel per la pace Adolfo Perez Esquivel (argentino, imprigionato nel 1977, promotore di organizzazioni e processi di pace, nonviolenza, riconciliazione), con una delle madri di Plaza de Mayo, Nora Cortinas, e con la teologa Elsa Tamez. Nelle parole di tutti e tre la chiara consapevolezza che la fedeltà al vangelo obbliga le nostre chiese alla lotta per la giustizia e per la vita, o per usare le parole di Nora Cortinas «Abbiamo semplicemente raccolto le bandiere della lotta dei nostri figli e delle nostre figlie». In tutti e tre l’affermazione che «la chiesa è il popolo di Dio che cammina nella storia verso il Regno» e che è necessario unire sempre Parola annunciata e azione, in una cultura di pace; così pure è stato ribadito che siamo chiamati come chiesa a una azione profetica di denuncia e lotta contro un peccato che è strutturale (a livello economico, politico, sociale) e a promuovere percorsi di formazione di una “coscienza critica”. Una critica lucida, dura, esplicita si è levata contro la “teologia dell’impero” e del pensiero unico e contro l’accettazione diffusa dell’idea di una dominazione culturale come fatto “normale”. È stato un momento di dialogo bellissimo, eravamo circa cinquanta persone; mentre ascoltavo queste parole e “apprezzavo” la serenità e la tranquilla decisione con cui venivano pronunciate, mi sono sentita davvero fortunata … è proprio un grande dono quello che ho ricevuto, di poter ascoltare così direttamente queste persone, vedere come rispondono alle domande, vedere da vicino le espressioni del volto, i movimenti delle mani, gli occhi.
Mentre ascoltavo, infine, mi veniva in mente che uno degli elementi di consapevolezza maggiore che ho maturato in questi giorni è che il dialogo ecumenico non ci aiuta solo a comprendere più profondamente cosa voglia dire “essere cristiani” ed esserlo insieme, ma ci aiuta anche a capire più profondamente, in modo inedito, gli uni dagli altri, cosa voglia dire “essere chiesa”. Come cattolica, lo sento proprio come un grande dono.
Il settimo giorno: “Dio, nella tua grazia, trasforma le nostre chiese”
La riflessione “contestualizzata” di domenica è stata il portale che ci ha aperto alla grande riflessione sulle chiese, a cui è stata dedicata tutta la giornata di lunedì: una conferenza stampa sulle chiese pentecostali, la presentazione del documento ecclesiologico Called to Be One Church, a cui sono seguite tre risposte (cattolica, presbiteriana, pentecostale) e un dialogo “teologico” sul futuro delle chiese tra due giovani, ancora una conferenza stampa con l’arcivescovo ortodosso di Tirana Anastasio, con una giovane vescovo luterana tedesca Margot Kässmann e con Desmond Tutu. Il documento ecclesiologico è estremamente lineare, ma mi è sembrato importante il consenso mostrato nel dibattito; molti hanno rilevato come fosse necessario assumere esplicitamente una riflessione su questo tema; utili le domande aperte lanciate nella lettura cattolica. La conferenza stampa è stata “immediata” e calorosa, ha fatto percepire in tutti e tre i presenti la “passione per la chiesa”. È stato bello anche vederli seduti al tavolo, così diversi nei loro atteggiamenti, negli abiti, nel modo di essere vescovi, e insieme “persone ecclesiali” e profondamente “pastori” tutti e tre. Desmond Tutu ha una forza trascinante e una “cordialità simpatica”. Il rapporto chiesa-mondo è stato il grande protagonista: una chiesa che si fa provocare dalla storia, una chiesa fedele al vangelo e perciò capace di denuncia e di prassi alternativa alle logiche del mondo.
La giornata per me è stata - chiaramente - particolarmente interessante e stimolante anche sotto il profilo teoretico e mi dispiace non riuscire a condividere in sintesi i tanti spunti della giornata. La proposta del documento ecclesiologico è stata occasione per dialogare con alcuni appartenenti a diverse chiese della Riforma (un bellissimo dialogo a colazione e poi in autobus con un professore di teologia di Taiwan) e anche per alcune interviste (una con il prof. Houtepen e una con mons. Radano del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani). Cominciavo a sentire davvero il bisogno - in un contesto di assemblea come questa in cui la dimensione del vivere insieme, del pregare insieme, del dialogo molto esistenziale sono particolarmente forti – di un confronto sul piano più speculativo. Per altro ho dedicato una parte della giornata a studiare (mai perdere le buone abitudini!) due documenti del Gruppo di studio misto WCC-chiesa cattolica, uno sul battesimo (molto interessante) e uno sulle finalità del dialogo ecumenico.
A livello interiore, queste due giornate sono state contrassegnate da una maggiore riflessività e “pacatezza” e dalla consapevolezza di quanto sia centrale per il futuro del dialogo tra le chiese – in vista dell’unità visibile piena, che rimane l’obiettivo da non dimenticare – il piano strettamente teologico (e quindi il ruolo di “Faith and Order”). Durante l’assemblea mi è apparso chiaro nei fatti quello che avevo tante volte letto: le due anime – una che cerca e vive l’unità tra i cristiani a partire dalla diakonia comune, l’altra che si impegna prima di tutto nei faticosi dibattiti teologici – sono qui ben evidenti.
La percezione delle fatiche di ri-conoscersi nella differenza sono state oggi molto evidenti; le ha ben messe in evidenza anche il segno della preghiera del mattino: con la Bibbia è stato portato in processione un grande calice di cristallo vuoto, che è poi stato coperto con un velo di tessuto leggero che ne impediva la vista. Era il segno – doloroso, e voi sapete quanto io senta questo – dell’impossibilità ancora di partecipare insieme all’eucaristia. Ho pensato che il mio lavoro teologico sulla chiesa vive della gioia delle “prospettive degli altri”, ricevute come dono prezioso e necessario, e insieme di questa coscienza di contraddizione dolorosa e di limite, così evidente nel momento massimamente rivelativo e realizzativo di chiesa che è la celebrazione eucaristica.
Le ultime due giornate sono state caratterizzate a un tempo da una chiara coscienza di identità specifica (cattolica, europea, teologa) e dall’appello a riconoscere l’identità (personale e collettiva) come realtà storica, dinamica, sempre in divenire, chiamata a trasformazione e trasfigurazione.
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