Da Porto Alegre, 22 febbraio 2006

DIARIO DALLA VOCE DI SERENA NOCETI-Teologa fiorentina e membro del SAE" - 7

24 febbraio 2006
Pax Christi

L’ottavo e il nono giorno: “Dio, nella tua grazia, trasforma la nostra testimonianza”

Con il pomeriggio di lunedì 20 la modalità di lavoro in assemblea è in parte cambiata: è iniziata, infatti, la discussione sui rapporti delle diverse commissioni in vista della loro approvazione. Abbiamo iniziato a vedere anche in opera la “decisione per consenso” e la modalità – più o meno riuscita – di coinvolgimento dei delegati in vista di una deliberazione il più possibile comune: viene presentata una prima (o una seconda o una terza) versione del documento, poi ci sono domande, interventi, discussioni su punti precisi del documento in esame, via via viene chiesto all’assemblea di esprimersi con i cartoncini arancioni o blu. Devo dire che in alcuni casi è faticoso (e anche un po’ noioso) ascoltare tutti i singoli passaggi, ma alcuni interventi puntuali e lucidi ripagano di altri meno interessanti. Gli interventi durano al massimo due minuti e ammiro la capacità di alcuni di comunicare davvero tanto in un tempo così breve; è un bel segno di chiesa (è inutile dire quanti interventi logorroici e inutili che ho sentito nella mia lunga frequentazione di riunione e assemblee mi sono ritornati alla mente e inutile dire quanto apprezzi questa concisione e questa democratica conduzione dei lavori; la parola dopo due minuti viene tolta anche ai vescovi).
Sono stati discussi per ora i documenti sulle finanze e la situazione economica, sull’acqua, sul terrorismo, sull’America Latina, sulla violenza e la protezione dei deboli, sul messaggio finale, sulle strategie future e sulle linee guida di azione del WCC e si è proceduto alle nomine dei presidenti WCC. Gli ultimi due testi riportano numerose implicazioni di carattere ecclesiale ed ecclesiologico: sulla riconfigurazione del WCC, sulla possibilità di un Forum ecumenico, sul rapporto con la chiesa cattolica e le chiese pentecostali. In particolare sono riemerse le tre raccomandazioni che avevano aperto l’assemblea: lavorare sul riconoscimento del battesimo, sulla data comune della Pasqua e poi sul cammino verso l’unità visibile a partire da una maggiore chiarezza sulla natura e missione di chiesa.
In assemblea c’è stato ieri un momento di tensione: i giovani hanno, infatti, protestato perché dopo tante promesse di partecipazione e di coinvolgimento nel momento di definire i nominativi per il comitato centrale si sono trovati con una rappresentanza del 15% (e non del 25% come sembrava possibile); prima hanno organizzato una strategia ben congegnata (i giovani hanno la precedenza e loro hanno preparato una lunga serie di interventi di delegati giovani sull’argomento), poi si sono imbavagliati e hanno cominciato ad alzare a ogni votazione grandi cartelloni arancioni e blu (dello stesso colore dei cartoncini del consenso) e cartoncini bianchi …. È stato segno di chiesa vedere anche come la questione è stata affrontata dai presidenti WCC, dal moderatore e dal segretario: da ora in poi ci sarà una consulta permanente di quattro giovani che affiancherà sempre (con diritto di parola ma non di voto) il comitato esecutivo. Una decisione molto concreta e fattibile per affrontare un momento di crisi che poteva compromettere i passi futuri. Rimane evidente però come sia difficile il coinvolgimento dei giovani e come non sia facile – da adulti, che si sanno competenti e ricchi di esperienza – accettare il rischio (anche del limite) di affidare responsabilità reali a giovani.
Ho approfittato di alcune soste nel dibattito per finire di visitare gli stands che sono stati allestiti per presentare mille differenti attività, soprattutto di solidarietà, di servizio, di formazione politica; indescrivibile il numero e la ricchezza delle proposte e arricchente pensare quanti cristiani vivono in modo così concreto la loro missione e la loro diaconia. Dietro ogni stand c’è davvero la vita di centinaia e migliaia di persone che, da cristiani, come cristiani, in contesti diversi servono il Regno di Dio nella umanità. Così pure sono andata a partecipare ad alcuni workshop (ve ne segnalo uno su “giovani ed ecumenismo” animato da una giovane pastora cubana) e a un “bate-bapo” (che è il modo brasiliano di dire “chat”), con la teologa africana Mercy Oduyoye. La ricchezza incredibile e indescrivibile sono proprio le persone e la multiforme grazia di Dio è nelle mille forme di servizio e di vita ecclesiale presenti. È tutto un mondo (nel senso letterale della parola) che si incontra qui: puoi trovarti nello stesso gruppetto con un seminarista brasiliano, un giovane di Samoa, un teologo del Benin, una diciottenne di Taiwan, un professore canadese … e tutto questo più volte, in forme diverse, in una stessa giornata
Anche la sintesi del tema della assemblea è stata fatta a partire dall’esperienza di trasformazione di vita-missione testimoniata da alcuni giovani: un prete ortodosso che studia a Roma, una ragazza armena che lavora per la sua chiesa che è nella diaspora, una giovane donna violentata sieropositiva attivista dei diritti umani in Colombia, una teologa femminista coreana che ha studiato negli Stati Uniti (bravissima), una signora disabile che è responsabile di un network per la difesa dei diritti dei disabili, una pastora indigena del Canada. Non sono state tanto testimonianze nel senso di racconti, quanto riflessioni critiche sul modo in cui la vita viene trasformata dalla grazia di Dio.
L’altro momento significativo è stata la marcia per la pace che si è tenuta ieri sera per le vie della città (al ritmo di samba). Non era presente però molta gente (tutti sono molto stanchi) e mancavano quasi completamente africani e asiatici; pochissimi gli ortodossi, pochi gli adulti latinoamericani. Io ricorderò in particolare i messaggi dei due premi Nobel presenti, Esquivel e Tutu. Mi sembra così incredibile di aver potuto ascoltare direttamente tante persone così, non solo quelle note e conosciute come Tutu, che hanno segnato un secolo, ma anche persone “normali”, ricchissime di saggezza.

I dialoghi si stanno approfondendo; stiamo cercando – nel confronto – di comprendere l’assemblea nei suoi grandi dinamismi e nei suoi nuclei generatori (in questo momento è per me la cosa più difficile); stiamo tentando di intuire per quali strade si orienterà il lavoro del WCC nei prossimi sette anni. Le voci di festa si sono abbassate (anche se il canto nella liturgia è sempre vivace) e hanno assunto il calore del tono di chi parla per comprendere. L’assemblea è così da un lato questa ricchezza di volti, dall’altra ha i toni della delicatezza dei nodi teologici e dei risvolti ecumenici, sui quali ci scambiamo opinioni. Le interviste che ho fatto e soprattutto i dialoghi con gli altri professori-giornalisti mi stanno aiutando in questo senso, nella ricerca di una sintesi, che per il momento avverto di non avere e che invece, via via che la fine dell’assemblea si avvicina (e la sensazione è in tutti noi, ben chiara), sento necessaria. È con questo spirito che voglio chiudere questa giornata, perché è un “pane” di sintesi (il pane era il simbolo di oggi) di cui sento il bisogno. Perché il lievito è stato posto e nascosto nella pasta e tre staia – molto abbondanti – di farina di questa assemblea, lo custodiscono mentre fermenta. Domani è l’ultimo giorno e io lo attendo, con speranza.

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