DIARIO DALLA VOCE DI SERENA NOCETI-Teologa fiorentina e membro del SAE - 8
La conclusione dell’assemblea
Ed eccomi qui alla mia ultima lettera da Porto Alegre. Ieri sera si è conclusa la IX assemblea del WCC e questa mattina sono qui, con i bagagli quasi pronti, davanti all’ardua fatica di una sintesi. Direi, infatti, che questa è la sensazione dominante in questo momento: gli ultimi giorni sono stati segnati da un ritmo frenetico di elaborazione, discussione, definizione di molti documenti e ho come la sensazione di un qualcosa di sospeso, non completamente assimilato; d’altra parte, dialogando con altri (giornalisti e no) ho scoperto che era una percezione comune. La discussione sui documenti mi ha aiutato a comprendere più profondamente come l’assemblea sia stata vissuta dai responsabili e dai delegati come un momento di sosta essenziale per capire verso dove (e come) orientare i passi futuri del WCC, per cogliere in forma nuova la sua specificità e conseguentemente procedere a una sua ri-strutturazione (riconfigurazione) in dialogo con altri soggetti del movimento ecumenico. Negli ultimi due giorni c’è stato un richiamo continuo alla collaborazione con la chiesa cattolica e Mary Tanner, che è stata per molti anni coordinatrice di “Faith and Order”, nell’intervista che mi ha concesso (parole intessute di lucida speranza), ha ribadito quanto sia essenziale e significativo per il movimento ecumenico tout court il contributo sul piano teologico che viene dalla chiesa cattolica. Così pure la domanda sullo sviluppo così forte delle chiese pentecostali e su quale possa essere una forma di confronto e collaborazione è stata ben presente, nei dibattiti e nelle parole di S. Kobia durante le conferenze stampa finali.
A questo riguardo i documenti delle commissioni per le linee guida e quello per le linee di strategia mi sono sembrati estremamente interessanti. È stata ribadita la volontà di ricercare e adoperarsi per la piena unità visibile; è stato adottato un documento ecclesiologico di riferimento comune che si conclude con dieci domande e l’invito alle chiese a rispondere ad esse; è stato proposto di realizzare la prossima assemblea WCC organizzandola con altri organismi del movimento ecumenico, in particolare con le Comunioni cristiane mondiali (e il consiglio che le riunisce).
Su questo piano, anche dal punto di vista teologico, parto però con questa sensazione di essere a metà del guado; le affermazioni poste sono ancora a livello di intuizioni e non hanno raggiunto un grado di sufficiente maturità, a mio parere. Ben più chiaro e deciso il coinvolgimento e l’impegno sul piano dell’azione profetica e della diaconia di chiesa nel mondo. Il documento della commissione sulle questioni di attualità è molto forte e incisivo: la responsabilità di proteggere i deboli, il terrorismo, l’eliminazione delle armi nucleari sono stati i temi di riferimento in rapporto soprattutto al “Decennio contro la violenza” che stiamo vivendo. Non a caso sono i nuclei che sono stati ripresi nel sermone della preghiera finale; sermone “urlato” – condivisibile nei temi, ma non nella forma – che mi ha lasciato con una sensazione di disagio. La preghiera finale di ieri, infatti, non è stato un momento condiviso fino in fondo, né di sintesi di una realtà complessa come l’assemblea che abbiamo vissuto; molti non si trovavano “letti” dalle parole della pastora presbiteriana che ha predicato e ci sono stati molti fischi. Tutto il sermone è stato inframezzato da applausi, ricerca di consenso, domande dirette a cui solo alcuni rispondevano a voce levata … molto “evangelical”, ma io ho fatto un po’ fatica a trovare sintesi di preghiera in quel momento, come invece era avvenuto nella solenne preghiera ortodossa di mercoledì.
Le preghiere della sera, preparate dalle diverse confessioni, sono state in questo senso un vero “specchio”, che ha rimandato davvero, quasi con un solo colpo d’occhio, la specificità singolare di ogni chiesa. Nella preghiera le diverse anime si sono manifestate e sono state condivise le ricchezze in tanti casi di secoli e secoli di storia di credenti. La risposta all’interrogativo basilare “quale cristianesimo stiamo vivendo?” nelle preghiere emergeva con estrema chiarezza.
Mi rendo conto che le mie due ultime lettere sono state molto più riflessive delle altre, più dedicate a condividere pensieri e intuizioni sul piano teologico, ma penso in questo di avervi trasmesso proprio il clima di questi ultimi giorni: molto dialogo, molta ricerca, molto dibattito, grande preoccupazione per il futuro del cristianesimo e senso di responsabilità perché la missione della chiesa sia realizzata nel mondo secondo l’evangelo. La consapevolezza della necessità di una svolta, di cui però non si percepiscono ancora chiaramente i contorni. Penso che anche questo sia un elemento che qualifica l’essere chiesa e l’esserlo insieme: da un lato “larghezza e altezza” nel vivere insieme un ritrovarsi veramente universale, con un senso di festa e di gioia nella scoperta reciproca, dall’altro “profondità” nel cercare reali possibili convergenze e co-determinazioni tra le chiese, oltre la superficie di un più facile lavorare e servire insieme.
Parto da Porto Alegre portando prima di tutto un’esperienza di essere chiesa che intuisco indimenticabile per la sua forza di complessità e per la vastità di mondo davanti a cui mi ha posto; penso che questo segnerà la mia ricerca e la mia “compromissao” ecclesiologica (come potrò ad esempio dimenticare le chiese orientali non calcedonesi dell’India, ora che ho incontrato persone che vi appartengono? O come non ricordare la chiesa armena nella diaspora, che ha ora volti concreti?). Parto portando con consapevolezza rinnovata la ricchezza della chiesa a cui appartengo (sul piano della tradizione e della teologia, soprattutto dell’ecclesiologia), ma anche intuendo i limiti dell’esperienza cristiana e di chiesa che vivo, che non sempre sa essere libera nel cercare e fare la verità nella carità. Parto anche con nuova coscienza dell’importanza del servire il regno di Dio nella chiesa con la ricerca ecclesiologica, arricchita in questo da intuizioni sull’essere chiesa che ho ricevuto nel dialogo e nell’incontro con tante persone. Parto soprattutto accompagnata da questa chiesa di uomini e donne (le donne erano tante e molto competenti e preparate; tante erano pastori, preti, vescovi delle loro comunità; lo stand sul ministero delle donne nelle chiese era semplicemente composto dalle foto e dai nomi di quelle che erano presenti all’assemblea, che coprivano tutte e tre le pareti dello stand); sono i cristiani che ho incontrato, che ho ascoltato, con cui ho parlato e discusso o con cui - molto più semplicemente - ho pregato. Penso che sia questo il nome della “grazia di Dio trasformatrice” che ho ricevuto in questi giorni e di cui vorrei “rendere grazie” e “rendere ragione” insieme con voi.
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