Nostalgia del mare aperto
Pubblichiamo il testo dell'intervento di mons. Aldo Giordano, segretario generale del Consiglio delle conferenze episcopali europee (CCEE), tenuto il 6 maggio 1997 presso la Comunità Evangelica di Albano, in occasione dell'incontro sul tema: "Il compito della riconciliazione in Europa. Verso la II Assemblea ecumenica europea". Il testo, non rivisto dall'autore, è stato trascritto da Ilaria Ciriaci.
Vorrei citare una frase del poeta scrittore francese Antoine de Saint-Exupéry : "Se vuoi costruire una nave, non preoccuparti di radunare persone per poi mandarle a raccogliere legna, fabbricare gli strumenti, e poi organizzare un lavoro, dividere i compiti; ma raduna queste persone e suscita in loro la nostalgia per il mare infinito, per il mare aperto".
Durante questi mesi ho girato molto per l'Europa in preparazione dell'assemblea di Graz, e ho potuto constatare che ha davvero ragione: la questione non è tanto organizzativa. Il problema vero è piuttosto suscitare in me, negli altri, reciprocamente, la nostalgia per il mare infinito, in persone che lascino risvegliare in sé la nostalgia per l'unità; perché queste persone improvvisamente trovino le strade, partano e nasca qualcosa.
Mi ha colpito anche un proverbio arabo, che suona così: "Se nella tua vita vuoi tracciare solchi diritti, attacca il tuo aratro ad una stella". Ecco: che tracciamo solchi storti non è necessario dircelo, perché lo sappiamo da sempre. Il problema è di metterci insieme ed andare a vedere se esiste quella stella cui attaccare il nostro aratro, per tracciare un solco diritto nella storia attuale dell'Europa e del mondo.
Io ho il desiderio di risvegliare in me la nostalgia per il mare infinito e vorrei, insieme con voi, andare in cerca della stella che guida la nostra storia. L'impressione che si ha, facendo tanti incontri, è che si sia veramente in attesa di qualcosa di nuovo. Non abbiamo, cioè, voglia di ritrovarci per ripetere qualcosa di vecchio. Percepiamo che qualcosa di nuovo sta per accadere, anche se non sappiamo di preciso che cosa sia.
All'inizio, Dio crea, e dona alla sua creazione la sua stessa capacità creatrice: dona alla realtà ciò che gli è piùprezioso. Poi la realtà si evolve, sviluppa questa capacità di creare, produrre; avvengono così i cosiddetti salti evolutivi, finché arriviamo all'uomo. Noi saremmo quindi l'esito di questo cammino di creazione. L'essere umano che esiste oggi è il capolavoro di questo cammino evolutivo. Noi non aspettiamo un'altra umanità, non aspettiamo un'altra specie umana, noi non aspettiamo un superuomo: noi siamo gli uomini che Dio ha pensato. Se veramente la creazione è arrivata alla fine attraverso di noi, cosa dobbiamo ancora creare? In fondo non c'è più niente di nuovo. Eppure, d'altra parte sento che c'è attesa per qualcosa di nuovo. Ma se pensiamo che noi uomini siamo stati capaci di progettare razionalmente i lager, che regoliamo i rapporti tra i popoli attraverso guerre terribili; che noi lasciamo morire di fame gran parte dei nostri fratelli, che viviamo situazioni di ingiustizia terribili, che ci procuriamo a vicenda una quantità enorme di lacrime, allora direi che questa non è l'umanità che Dio ha sognato. Allora non siamo ancora alla fine del cammino evolutivo; noi abbiamo allora qualcosa da creare, cioè una nuova socialità, un nuovo rapporto tra gli esseri umani. Penso che anche le vecchie chiese d'Europa vadano a Graz per cercare di esplorare e cercare di individuare il nuovo, quel qualcosa che non esiste ancora, un nuovo rapporto.
Quando abbiamo scelto, per l'assemblea di Graz, il tema della riconciliazione, ad alcuni è apparso un tema un po' intimo, un po' spiritualistico: che efficacia storica poteva mai avere? Cammin facendo ci siamo accorti della portata rivoluzionaria di questo tema. Nel dire: andiamo insieme per cercare la riconciliazione, abbiamo intravisto qualcosa di nuovo.
Guardando il modo di vivere e di pensare dell'Europa di oggi sento due tensioni di fondo: la nostra cultura tenta di ridurre gli spazi ed il tempo. Da una parte sembra che la nostra cultura voglia eliminare gli spazi, e se potesse lo farebbe; dall'altra tenta anche di concentrare il tempo, e se potesse lo eliminerebbe.
Il tentativo di ridurre gli spazi
I mezzi di comunicazione, la tecnica, la scienza hanno cominciato a rendere piccolo il nostro mondo, che un tempo era talmente enorme che non sapevamo che esistesse l'America - nonostante fosse così grande - ed ora la sentiamo come casa nostra. Questo rimpicciolimento ha come conseguenza l'interdipendenza.
Oggi per il nostro mondo tutti i sentieri di riconciliazione sono segnati dalla mondialità, dalla planetarietà. Saremmo gente con gli occhi chiusi se non ci accorgessimo che oggi i problemi sono tutti mondiali, planetari, interdipendenti. Questa è la prima conseguenza del fatto che gli spazi si sono ridotti. La nostra cultura tenta di eliminare lo spazio tra me e te. E tu chi sei? Tu in fondo sei l'altra religione, oppure l'altra confessione, l'altra cultura, l'altra nazione. Noi riduciamo questo spazio perché l'altro gioca in casa. L'Islam è qui, tra di noi, siamo noi. L'Asia è qui fra noi. La distanza si riduce enormemente. Cosa crea questo? Diremmo che questo crea una grande possibilità di dialogo. Paradossalmente, invece, sembra che più diventiamo vicini più ci allontaniamo. Prima non avevamo paura dell'altro, perché l'altro era lontano; l'altro si è avvicinato e così riesco a percepire la sua distanza. Il rischio è che, eliminando la distanza, paradossalmente non ci sarebbe più per me la possibilità di vedere il volto dell'altro. Il suo volto coinciderebbe col mio. Ci sarebbe pura identità. Vorrebbe dire che io non posso più guardare l'altro come unico, irripetibile, come presenza misteriosa perché altro da me , qualcosa di intoccabile, di infinito. E ciò fa parte di una cultura violenta.
Succede in politica. Quante volte le politiche hanno paura dell'altro e quindi lo "mangiano". Una politica totalitaria ha paura della distanza dell'altro e tenta di eliminarlo anche con il gulag, anche con il lager, purché non ci sia la dissidenza, purché non ci sia l'altro col suo parere contrario. Ci saranno, al contrario, politiche che diranno: viva le distinzioni, viva le differenze, viva le libertà, ma che non trovano più la socialità, l'unità, il modo di stare insieme. Entrambe le politiche rappresentano una eliminazione dell'uomo. Troviamo ciò anche nelle economie, altrettanto violente, che non riescono a dar da mangiare a tutti gli esseri umani; ovviamente vuol dire che all'interno hanno dei problemi. Economie che creano dei vincenti del libero mercato, della libera iniziativa ma che lasciano una grande schiera di perdenti, che sono sempre i più deboli e gli ultimi: queste economie non funzionano. Pensate ai paesi dell'Est oggi in Europa. Questo vuol dire che questa cultura non funziona. Lo spazio che oggi cerchiamo di demolire crea degli spaesati; non abbiamo un paese, non abbiamo una casa, siamo un po' tutti nomadi.
Il tentativo di eliminare il tempo
Il secondo problema, che mi sembra ancor più serio, e quello del tempo, in quanto l'altra tendenza contemporanea è quella di eliminare il tempo. Pensiamo ai nostri nonni; per le persone più anziane il tempo è molto lungo. Gli anziani raccontavano, ed in questo modo si aveva l'impressione che ci fosse un grande passato; esso si poteva raccontare. Contemporaneamente il nonno raccontava al nipote il futuro, cioè era chiaro che quel bambino avrebbe avuto un grande futuro.
Ora si racconta di meno, perché il tempo è andato in crisi. Il tempo ha tre dimensioni: il passato, il presente ed il futuro. Il passato è il primo ad andare in crisi. Io direi che un po' tutta la modernità, dal medioevo ad oggi, è stata una progressiva messa in crisi del passato. Nel medioevo il passato era molto forte, contava; i valori del passato, le tradizioni erano una realtà che si trasmetteva. Tutto ciò comincia ad andare in crisi, e un esempio classico vicino a noi è il 1968, nel quale ci si inizia a domandare perché mai sia necessario considerare i valori del passato; essi possono essere contestati, perché non è così scontato che siano validi anche per me. Io sono libero e comincio la vita daccapo senza essere legato al passato e senza dipendere da esso. Quindi entrano in crisi anche quelle istituzioni che mi vogliono trasmettere i valori del passato; la crisi del passato arriva anche a criticare il passato dei passati, l'origine, Dio stesso.
Vi cito una pagina della "Gaia scienza" di Nietzsche che si intitola "Il folle uomo": ricordate quel folle uomo che alla luce del mattino prese una lanterna e andò al mercato, ed andando diceva "cerco Dio, cerco Dio"? I mercanti cominciarono a deriderlo ed a chiedere se il suo Dio fosse andato all'estero o in ferie, se non trovasse più la strada del ritorno. Il folle uomo fa un salto in mezzo a loro e dice, quasi disperato: "Ve lo dico io dove è andato Dio: l'abbiamo ucciso noi". Poi comincia a farsi una serie di domande e dice: "Come abbiamo fatto a cancellare il sole, come abbiamo fatto a cancellare l'orizzonte, come abbiamo fatto a tagliare la catena che teneva la barca della nostra vita legata alla riva?". E l'altra domanda è: "Dove andiamo noi adesso? Non è, il nostro, un eterno precipitare? La notte non diventa sempre più notte? Esistono ancora l'alto ed il basso, il bene ed il male?". Il testo finisce poi in modo originale. Il folle uomo va nelle chiese e lì recita il Requiem aeternam Deo. Cacciato fuori ed interrogato perché facesse questo l'uomo risponde: "Cosa sono ancora le chiese, ora che Dio è morto, se non le tombe di Dio?".
Questo testo è stato scritto più di un secolo fa ; forse ne percepite la drammaticità e l'attualità. Nietzsche constata che nell'Europa di oggi il problema è Dio e che tutto il resto, i problemi morali, etici, ecclesiologici, tutto dipende dalla questione di Dio. Io invece ho l'impressione che in tanti incontri, anche ecumenici, noi ci attacchiamo sul problema morale, allora affrontiamo i temi ecclesiologici per vedere se è possibile andare più d'accordo. Ma qui salta fuori la storia, la cultura e diventa molto difficile trovare un accordo. Non ci rendiamo conto, invece, della lezione nietzschiana che ci dice che la questione è più radicale. La questione è più seria, la questione è Dio. Con quella luce potremo poi affrontare gli altri problemi progressivamente.
Quando dico che abbiamo messo in crisi il passato dico che ci siamo creati uno spaesamento che è ancora più grande dello spazio. Non abbiamo più la facilità di trovare un'origine. Ed allora dove andiamo, se ci manca la casa da dove veniamo? La nostra cultura ha detto: non abbiamo più un passato ma abbiamo un grande futuro. Abbiamo una dimensione del tempo al futuro (l'Ottocento, il marxismo, l'hegelismo sono ottimisti); poi dopo la prima guerra mondiale, la seconda, il disastro ecologico che ci fa domandare se il pianeta terra rimarrà abitabile, mettiamo in crisi anche il futuro. Allora ciò che ci rimane è il presente. Da una parte c'è la grande intuizione che la vita si giochi nel presente; ma poi pensi al presente e ti rendi conto che è la cosa più fuggente. L'uomo che dice "ho solo il presente" si accorge che esso è la cosa più fuggitiva e conclude: "la mia vita cos'è, dove la pongo?". Il problema è che si sente di nuovo molto spaesato perché non ha più un tempo. Quali sono le reazioni? Alcuni dicono: del tempo prendo il passato, ritorno a mitizzarlo. Questa l'abbiamo chiamato di solito una tendenza di destra. Altri dicono: la strada per tutto è il futuro rivoluzionario, pur di cambiare non ci interessa quello che c'era prima ne quello che verrà. Il mito della rivoluzione. Questa però non è la riconciliazione con il tempo.
Qual è il problema di fondo? Se esiste il tempo l'uomo rischia di non trovare la soluzione; se esiste il passato significa che tutto passa e questo non ci piace molto. Se tutto passa allora passo anch'io. Se pensiamo al futuro, qual è l'unico futuro sicuro? E' ancora la morte. Allora è necessario lasciare stare anche questo. A questo punto l'uomo sente che veramente deve riconciliarsi col tempo. Bisogna affrontare il problema del dolore; è questo che ci manifesta la fragilità del nostro essere nel tempo. Pensiamo all'ecologia: diciamo che dobbiamo pensare alle generazioni future, ma se per me il futuro non esiste io non mi preoccupo delle nuove generazioni. Perché conservare quello che i nostri padri ci hanno dato se non c'è niente che merita di essere conservato? Quindi la grande sfida che noi abbiamo è riconciliarci col tempo. E come possiamo farlo? Solo se esiste l'eterno.
A questo punto, se l'uomo è solo, la conclusione più logica, soprattutto se sei un filosofo, è la disperazione. Se non ci pensi vivi allegramente, ma non devi pensarci! E' meglio, altrimenti emerge la disperazione. Andiamo allora a Graz per riscoprire che non dobbiamo inventarci noi la riconciliazione a livello politico, economico, ecologico, col senso della vita, con la morte, perché noi non troveremmo soluzione. La morte è l'ultima non-riconciliazione. Noi andiamo come credenti - comunque come gente in ricerca - ed andiamo ad ascoltare quel Dio che ha lasciato i suoi cieli ed è venuto incontro all'uomo per dirgli: "tu non sei solo, perché io sono con te".
La cattedra del Dio crocifisso
Noi abbiamo una cattedra davanti alla quale siamo chiamati ad imparare seriamente che Dio è entrato nelle ferite della storia, nelle lacerazioni, nelle divisioni, nelle non-riconciliazioni, fino al dolore e fino alla morte. Quella cattedra è la cattedra del Dio crocifisso fuori le mura, all'esterno della polis. La città, la politica lo crocifigge fuori perché non lo sostiene. E' una novità nei confronti di quella politica e lo crocifigge. Ma là fuori le mura esplode qualcosa di nuovo.
Il primo passo della riconciliazione è Gesù che entra dentro le ferite. Non si può riconciliare nulla se non entrando dentro. Chi di noi guarda la storia, i fratelli e li guarda dal di fuori e pensa di avere delle soluzioni per gli altri, non riconcilia; è necessario entrare dentro la ferita, che si tratti della ferita di un altro, di un popolo, della storia.
Secondo passo: Gesù entra dentro ed assume la ferita, diventando Egli stesso ferita. Chi ha il coraggio di prendere su di sé la non-riconciliazione? Quando le violenze possono fermarsi? Quando qualcuno ha il coraggio di perdonare? Solo il perdono blocca la catena della violenza. Io rinuncio, io blocco su di me la divisione. La violenza si arresta quando uno la blocca su di sé, non la trasmette più ad un altro e non cerca il colpevole. E' come Gesù; non cerca il colpevole. Non cerca di ribaltare su altri ma accoglie in sé, diventa Lui stesso ferita.
Terzo passo: siccome Lui diventa ferita - e la ferita è sempre qualcosa che ti entra dentro - ti apre uno spazio nuovo che prima non c'era. E siccome Lui è Dio, questa ferita che Lui diventa è immensa. Così diventa spazio immenso, spazio totale ed in questo abisso che Lui diventa tutti "cadono" dentro; tutta l'umanità ci cade dentro; Gesù è diventato l'accoglienza totale. Ecco chi è l'uomo della riconciliazione che diventa accoglienza. Le nostre case, le nostre chiese, le nostre comunità diventano luogo di accoglienza non per qualcuno ma per tutti. Gesù non ha scelto chi accogliere, ma è diventato spazio infinito perché tutti ci "cadessero" dentro, credenti e non credenti. Perché Gesù sulla croce, con quel grido impressionante "Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?" vive anche l'abbandono del Padre, affinché possano cadere in questo suo spazio anche tutti quelli che sperimentano il silenzio di Dio, l'abbandono della vita, quelli a cui sembra che la vita sia solo lacrima o grida. Gesù vive questa possibilità di essere spazio infinito come occasione unica che ha per essere solo dono, solo amore. Egli non aveva più nessun motivo per amare né gli uomini, né gli amici che l'hanno lasciato solo, né il Padre che è nei cieli; eppure Gesù di chi si fida ancora? A chi grida Gesù? L'unico che gli dà fiducia è un Altro, quell'Altro che Lui non sente più ma del quale continua a fidarsi. Gesù non avrebbe più motivo per amare gli uomini, ma quella sua morte sulla croce la dona agli uomini; quella morte non è più la morte ma la resurrezione. E il mattino di Pasqua è l'esplosione della novità. La novità sta là dove c'è una non-riconciliazione estrema, che è la morte, che viene a coincidere con la riconciliazione. C'è una morte che coincide con la vita: questo è ciò che gli uomini hanno sempre cercato. Il nostro problema è infatti trovare il segreto per vincere la morte, le piccole morti della vita e la grande morte. Quel segreto che tutto cambia è l'amore. In quel Dio crocifisso fuori le mura c'è la sorgente della vita nuova.
Dobbiamo allora nuovamente imparare con molta umiltà da questa sorgente. Qual è la vita nuova che nasce? Su quella croce il Cristo, il Figlio ci dona la vita stessa di Dio; Gesù vive così perché Dio vive così. Gesù vive totalmente la sua vita come dono, come amore perché Dio è così: puro dono, puro amore nella sua essenza. In termini filosofici diremmo che il suo essere è amore, la sua ontologia è amore. Il Dio che Cristo ci rivela è un Padre e un Figlio. La paternità è un puro rapporto col figlio, la figliolanza è un puro rapporto col padre. Il Padre dona tutta la vita al Figlio e così il Figlio al Padre e tutt'e due hanno la vita in pienezza. Rimangono distinti fra di loro, non vi è una unificazione, ed insieme sono la stessa cosa. Questa realtà del dono reciproco della vita genera una realtà nuova, lo Spirito Santo. Non sono più uno perché l'identità bloccherebbe l'amore; non sono più due perché nascerebbe il conflitto; c'è una nuova realtà che è capace di dire me stesso, di dire la mia realtà, la mia persona, la mia individualità, la mia realtà, la mia distinzione ed insieme dice che io e te siamo la stessa cosa.
La possibilità del dia-logos
Questo è ciò che noi cercavamo, quello a cui l'umanità tende, il dialogo. Il dialogo (dià = distinzione, diversità)è questo spazio che ci concediamo nel quale può accadere la presenza del logos, e sappiamo cosa questo sia per i cristiani. "In principio era il logos; il logos era presso Dio; il logos era Dio". Vuol dire che se noi abbiamo il coraggio di donarci la vita l'un l'altro con le nostre diversità, il nostro incontro diventa il luogo dell'accadere del logos stesso di Dio, della sua presenza. Il mondo oggi attende di certo non solo me stesso ma Dio, perché abbiamo bisogno di risolvere dei problemi che non riusciamo ad affrontare da soli. Ma Dio può esserci solo se ci siamo noi; siamo necessari perché quel dia-logos possa esserci. Ciò può ispirarci anche sul tema della riconciliazione. Certamente a Graz ci saranno le nostre diversità, con alle spalle i nostri rispettivi paesi e le nostre diverse chiese. Le diversità possono creare conflitti e Graz può essere l'occasione per rimuoverli; potranno esserci rivendicazioni o scontri nei quali ciascuno cercherà di uscire vincitore. Potrà essere il luogo in cui cercheremo di tollerarci (anche se tollerarsi non è ancora un comportamento sufficientemente evangelico), o arrivare a qualche compromesso per un maggiore accordo. Potrà essere invece un luogo per essere ciascuno un po' più se stesso e quindi avere la possibilità di riconciliarci?
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