UN DECALOGO PER IL DIALOGO…
Nata nel 1989 per un’intuizione felice della Commissione per l’ecumenismo e il dialogo della CEI e svoltasi per la prima volta nel 1990, la Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo religioso ebraico-cristiano si tiene, com’è noto, il 17 gennaio di ogni anno. Una collocazione che ha un forte significato simbolico, perché avviene immediatamente prima della tradizionale Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (18-25 gennaio), con la doppia, evidente intenzione di sottolineare sia la priorità dell’incontro con Israele, radice santa della fede cristiana rispetto a qualsiasi pur rilevante sforzo ecumenico, sia l’impossibilità che quest’ultimo possa produrre risultati concreti di un certo livello senza un rinnovato impegno a porsi alla scuola di Israele.
La Giornata, infatti, è stata istituita al fine di avere un’occasione in più per studiare il legame intrinseco tra chiesa ed ebraismo, poiché «cristiani ed ebrei, pur non identificandosi, non si escludono né si oppongono, ma sono legati al livello stesso della loro identità»(Giovanni Paolo II, 6 marzo 1982). Tra i tanti suoi possibili contenuti, ci sono il giusto legame tra Antico, o Primo, Testamento e Nuovo Testamento (Antico Testamento non significa né scaduto, né sorpassato, ma permanente quale sorgente di rivelazione); la permanente ebraicità di Gesù e della chiesa primitiva (Gesù e la sua predicazione non devono essere presentati né fuori dall’ebraismo, né contro l’ebraismo, ma dentro l’ebraismo); la corretta interpretazione di alcuni brani neotestamentari, della Settimana Santa e del Venerdì Santo (la morte di Gesù non può essere attribuita né indistintamente a tutti gli ebrei allora viventi né tanto meno agli ebrei del nostro tempo); i rapporti strettissimi tra liturgia ebraica e cristiana (a cominciare dalla relazione fra la berakà, la benedizione, e la stessa eucaristia); il valore permanente del popolo d’Israele (per cui bisognerebbe abbandonare la concezione purtroppo reiterata del popolo punito, conservato come argomento vivente per l’apologetica cristiana: esso resta il popolo prescelto da Dio); e così via.
UN RITARDO CHE PESA
Ancora. Ai fini di una sua fruttuosa celebrazione, andrà ricordato, una volta di più, che lo scopo di questa Giornata non è di pregare per gli ebrei, ma di iniziare i cristiani al rispetto, al dialogo ed alla conoscenza della tradizione ebraica, in sintonia con la svolta del Vaticano II, dopo secoli di persecuzioni ed incomprensioni. «Un ritardo che ci deve pesare molto (...) è il non aver considerato vitale la nostra relazione con il popolo ebraico… - ha scritto il cardinal Martini - la chiesa, ciascuno di noi, le nostre comunità non possono capirsi e definirsi se non in relazione alle radici sante della nostra fede e quindi al significato del popolo ebraico nella storia, alla sua missione e alla sua chiamata permanente»(Popolo in cammino, Milano 1983). Mentre quello stesso 6 marzo 1982 papa Wojtyla diceva, nel discorso rivolto ai delegati delle Conferenze episcopali e agli altri esperti riuniti a Roma: «...Occorrerà fare in modo che questo insegnamento, ai diversi livelli di formazione religiosa, (…) presenti gli ebrei e l’ebraismo non solo in maniera onesta e obiettiva, senza alcun pregiudizio e senza offendere nessuno, ma ancor più con una viva coscienza del patrimonio comune».
Sarebbe quanto mai opportuno, pertanto, che le diocesi e le parrocchie promuovessero nel frangente occasioni di riflessione lungo questi due filoni complementari: la riflessione sul vincolo particolare, anzi unico, che lega chiesa ed Israele, da un lato; e l’esistenza viva e attuale del popolo ebraico, dall’altro. Ecco dunque alcune iniziative che potrebbero essere proposte alla comunità dei fedeli:
1. studio dei documenti più importanti sull’ebraismo: fra gli altri, Nostra Aetate (n. 4), Orientamenti e suggerimenti per l’applicazione di Nostra Aetate n. 4 (1974), Sussidi per una corretta presentazione di ebrei ed ebraismo nella catechesi e nella predicazione della chiesa cattolica (1985), Noi ricordiamo: una riflessione sulla Shoà (1998)…
2. approfondimenti sulla storia del popolo d’Israele, la vita degli ebrei e l´ebraismo oggi, la spiritualità ebraica, l’antisemitismo e la Shoà, ecc.
3. visite ai luoghi ebraici presenti e passati e incontri con fedeli ebrei, con possibilità di lettura di qualche testo biblico, e in ascolto di una lettura ebraica della Scrittura;
4. incontri con esponenti degli organismi che promuovono nelle diocesi la conoscenza cristiana dell’ebraismo e il dialogo cristiano-ebraico.
UN’ALLEANZA MAI REVOCATA
Non dovremmo stancarci di ripetere che un simile approccio va considerato strategico sul piano ecclesiale soprattutto perché Gesù è ebreo e lo è per sempre, apparente ovvietà su cui per troppi secoli si è palesemente taciuto, creando le condizioni per fraintenderne la figura, o per elaborarne immagini largamente distorte. In primo luogo, dunque, ogni 17 gennaio l’invito è a recuperare senza timori e con grande gioia il vissuto di Yehoshua ben Yosef, «nato dalla stirpe di Davide secondo la carne»(Rom 1,3), «nato sotto la Legge»(Gal 4,4), nonostante lungo la storia noi cristiani l’abbiamo sradicato dal terreno d’Israele, rescindendo i legami con «la radice che ci porta»(Rom 11,18), per dir così, degiudaizzandolo senza troppi problemi.
E poi, che l’alleanza del Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe col popolo d’Israele non è mai stata revocata, mentre l’ignoranza d’Israele, in ambito cristiano e segnatamente cattolico, risulta purtroppo tuttora assai prevalente rispetto all’interesse e all’amore che invece dovrebbero abitarci verso i nostri fratelli maggiori (come ebbe a dire Giovanni Paolo II durante lo storico incontro romano con rav Elio Toaff nel 1986).
Un’ulteriore sottolineatura è stata opportunamente offerta, la scorsa estate, da Benedetto XVI incontrando gli ebrei della città nella sinagoga di Colonia il 19 agosto. Secondo papa Ratzinger, infatti, nel dialogo cristiano-ebraico il nostro sguardo non dovrebbe volgersi solo indietro, verso il passato, ma dovrebbe spingersi anche in avanti, verso i compiti di oggi e di domani: «Il nostro ricco patrimonio comune e il nostro rapporto fraterno ispirato a crescente fiducia ci obbligano a dare insieme una testimonianza ancora più concorde, collaborando sul piano pratico per la difesa e la promozione dei diritti dell’uomo e della sacralità della vita umana, per i valori della famiglia, per la giustizia sociale e per la pace nel mondo. Il Decalogo (cfr. Es 20; Dt 5) è per noi patrimonio e impegno comune. I dieci comandamenti non sono un peso, ma l’indicazione del cammino verso una vita riuscita…»
Quest’anno il tema proposto alla meditazione delle comunità in occasione del 17 gennaio è: «Ascolta, Israele! La prima delle Dieci Parole: Io sono il Signore, tuo Dio». Nell’esortare la chiesa e la comunità ebraica italiane a tale celebrazione, mons.Vincenzo Paglia e rav Giuseppe Laras prendono le mosse appunto dal discorso del papa a Colonia, assumendolo a dichiarazione programmatica per dare sostanza di dialogo e di comunione a questa Giornata. Il focus risulta pertanto la centralità del Decalogo, presentato come vera e propria stella polare della fede e della morale del popolo di Dio, da un lato; ma anche come grande codice della civiltà etica dell’intera umanità, poiché esso identifica bene e male, giusto e ingiusto, vero e falso anche secondo i criteri della retta coscienza di ogni creatura. A partire da quest’anno - spiegano i due - l’intenzione è di avviare un itinerario che vedrà altre tappe nelle Giornate successive, così da proporre una riflessione costante e continua sulla sequela progressiva dei dieci comandamenti. A guidare i cristiani, del resto, c’è sempre il monito di Gesù che, fedele alla parola di Dio, a chi lo aveva interrogato sull’impegno operoso per ottenere la vita eterna, aveva risposto: «Se vuoi entrare nella vita osserva i comandamenti»e li aveva anche elencati nei capi fondamentali (cfr. Mt 19,16-19).
IL COMANDAMENTO PRINCIPE
Su questa linea, al cuore del 17 gennaio 2006 viene posto il primo precetto, il comandamento principe, autentica architrave dell’intera architettura spirituale del Decalogo, nella redazione di Es 20,1-6: «Dio allora pronunciò tutte queste parole: Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla condizione di schiavitù: non avrai altri dèi di fronte a me. Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, sono il tuo Dio, un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma che dimostra il suo favore fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandi». Ne emergono, in particolare, tre impegni tanto radicali quanto strategici. Il primo riguarda il riconoscimento dell’unicità assoluta e sovrana del Signore, contro ogni tentazione idolatrica. Il secondo è riferibile all’intangibile dignità di ogni persona umana, dalla sua nascita alla sua morte. L’ultimo evidenzia la necessità della purezza del culto: l’adorazione va riservata solo al Signore, come ammonirà lo stesso Gesù rivolto a Satana tentatore (Mt 4,9-10). Siamo perciò di fronte ad un precetto che coinvolge nello stesso modo ebrei e cristiani, con un forte appello alla purezza della fede nei confronti di un Dio vivo e personale, esigente ma altresì amoroso, che - se condanna il peccato punendo fino alla quarta generazione, è pronto a perdonare chi è pentito e svelare la sua grazia benevola fino alla millesima generazione.
Per questo, la speranza e l’augurio insieme è che le chiese locali non lascino passare sotto silenzio la Giornata del 17 gennaio, o la vivano appena come un appuntamento puramente rituale: si tratterebbe di un’occasione sprecata, soprattutto in un momento quale il presente, in cui il dialogo appare sempre più l’unica risposta credibile agli appelli insensati agli scontri di civiltà, alle guerre infinite, alle chiusure identitarie. Un dialogo, quello cristiano-ebraico, la cui posta in gioco è per i cristiani, sempre più chiaramente, l’acquisizione della coscienza dei loro legami con il gregge di Abramo e delle conseguenze che ne derivano sul piano dottrinale, per la disciplina, la liturgia, la vita spirituale della chiesa e persino per la sua stessa missione nel mondo di oggi.
Sabato, 07 gennaio 2006
FONTE: Il Dialogo
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