Prima tappa, Roma 2006 Da Riforma, articolo del Pastore Luca Negro

Una luce che illumina tutti

È iniziato un pellegrinaggio ecumenico europeo di speranza, che si concluderà nel settembre 2007 a Sibiu (Romania) attraverso alcune nuove tappe significative

Luca Maria Negro

Centocinquanta fiaccole accese dal grande cero che simboleggia la luce di Cristo, centocinquanta «tedofori ecumenici» pronti a diventare ambasciatrici e ambasciatori del messaggio della terza Assemblea ecumenica europea (Aee3): «La luce di Cristo illumina tutti – speranza di rinnovamento e unità in Europa». Si è conclusa così, con un culto ecumenico e con la meditazione di fratello Alois, nuovo priore di Taizé, la «prima tappa» dell’Aee3, un incontro ecumenico svoltosi a Roma dal 24 al 27 gennaio. All’incontro, promosso dalla Conferenza delle chiese europee (Kek) e dal Consiglio delle conferenze episcopali europee (Ccee), hanno partecipato 150 delegati di 40 chiese, 34 conferenze episcopali, 50 movimenti cristiani e organizzazioni ecumeniche di ben 44 paesi europei.
La prima tappa dell’Aee3 si è aperta in un clima di grande franchezza, con una sessione dedicata alla situazione ecumenica in Europa. I due oratori, il cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio consiglio per l’Unità dei cristiani, e la vescova Margot Kässmann della Chiesa evangelica tedesca, non hanno nascosto le attuali difficoltà del cammino ecumenico, a partire dalla stessa comprensione dell’ecumenismo. Kasper ha sottolineato che, mentre cattolici e ortodossi sono piuttosto vicini nella loro comprensione dell’unità della chiesa, ed esiste una notevole affinità con le chiese della cosiddetta comunione di Porvoo (anglicani e luterani nordici), il modello di unità rappresentato dalla «Concordia di Leuenberg» (sottoscritta da luterani, riformati, chiese unite e metodisti) non è «compatibile» con la concezione cattolica e quella ortodossa. Da parte sua la vescova Kässmann non ha lesinato critiche sia agli ortodossi (per il loro atteggiamento negativo nei confronti del movimento ecumenico, e in particolare del Consiglio ecumenico) che ai cattolici (in particolare per il documento «Dominus Iesus» del 2000, che ribadisce che «le comunità ecclesiali che non hanno conservato l’Episcopato valido e la genuina e integra sostanza del mistero eucaristico non sono Chiese in senso proprio»). Per il cardinale, sottolineare ciò che ci divide non è negativo, ma al contrario aiuta a dare maggiore autenticità al dialogo: «Solo dei partner che hanno una chiara identità, la conoscono e la apprezzano possono apprezzare le posizioni dell’altro ed entrare in un dialogo onesto». Come non condividere queste parole di Kasper? Eppure, non ha ragione anche Margot Kässmann, quando afferma che i nostri «tentativi di differenziarci gli uni dagli altri indeboliscono la nostra comune testimonianza»? «In un tempo in cui così tante correnti religiose attraversano l’Europa», ha detto la vescova luterana, «dall’islam al buddismo, dall’esoterismo al “patchwork” religioso, la comune testimonianza dei cristiani alla loro fede dovrebbe essere sempre più riconoscibile».
D’altronde è vero che, in diversi ambiti, è arduo rendere una testimonianza comune. Pensiamo a esempio alla difficoltà di condividere la Cena del Signore, o al diverso ruolo delle donne nelle chiese (a Roma le delegate erano appena un quarto dei partecipanti, anche se gli organizzatori hanno garantito una buona visibilità delle donne come oratrici e moderatrici delle sessioni di lavoro), o ancora alle questioni etiche, specie quelle legate alla sessualità umana. Su questi e altri temi talvolta non si riesce neanche a parlare con serenità e franchezza. Lo si è visto quando la sacerdote anglicana Susan Jones (del Presidium della Kek) ha accennato con molto garbo, nella sua meditazione biblica, all’ordinazione delle donne e alle coppie omosessuali: la sola menzione di questi argomenti «tabù» ha suscitato risentimento in alcuni delegati cattolici.
Ma se non sempre si può dare una testimonianza comune, si può e si deve sempre dialogare. E il dialogo autentico non si realizza restando ciascuno a casa propria e parlandosi affacciati alla finestra, ma scendendo per strada e camminando insieme, in modo da conoscersi e apprezzarsi sempre meglio. Proprio per questo il processo di questa terza Assemblea ecumenica europea è stato concepito come un «pellegrinaggio» attraverso le grandi tradizioni cristiane d’Europa, in quattro tappe: da Roma, culla del cattolicesimo, si passerà a una serie di incontri nazionali e regionali per poi tornare nel febbraio 2007 a un incontro delle stesse dimensioni di quello romano, questa volta a Wittenberg, la città di Lutero. L’approdo sarà nel settembre dello stesso anno a Sibiu, in Romania, dove si svolgerà l’Assemblea vera e propria con circa 2.500 delegati: per la prima volta una grande riunione ecumenica si svolgerà in un paese a tradizione ortodossa (anche se non bisogna dimenticare che Sibiu è un crocevia di culture e fedi, ed è sede della Chiesa luterana di lingua tedesca in Romania).
L’incontro con la realtà del cattolicesimo ha ovviamente caratterizzato in modo particolare questa prima tappa romana. I partecipanti hanno incontrato il papa in due occasioni: per i vespri a San Paolo fuori le mura, in occasione della conclusione della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, e in una udienza particolare nella Sala Clementina. In entrambe le occasioni Benedetto XVI ha esplicitamente espresso il suo sostegno all’Aee3. «Il tema che avete scelto» per l’Assemblea, ha detto il papa nel corso dell’udienza, «indica che è questa la vera priorità per l’Europa: impegnarsi perché la luce di Cristo risplenda e illumini con rinnovato vigore i passi del continente europeo all’inizio del nuovo millennio». Il pastore Jean-Arnold de Clermont, presidente della Kek, ha salutato Benedetto XVI sottolineando l’urgenza di «uscire dalle chiusure ecclesiali e nazionali in cui spesso siamo tentati di compiacerci» e di diventare insieme «portatori di speranza e rinnovamento per l’Europa, un’Europa confrontata a povertà crescenti, alla sfida dell’accoglienza di migranti e richiedenti asilo, di un rapporto rinnovato con i paesi del sud, e particolarmente con l’Africa».
Accanto a questo aspetto di «pellegrinaggio» alla scoperta della ricchezza della tradizione cattolica (ma i partecipanti hanno anche avuto modo di incontrare i protestanti e gli ortodossi italiani), la tappa romana è servita a mettere a fuoco l’intero processo assembleare. Concretamente, il testo-base del processo assembleare sarà la Charta Oecumenica varata da Kek e Ccee nel 2001: nelle diverse tappe ci si propone di verificare insieme e approfondire gli impegni comuni che la Charta contiene su temi come il dialogo e la spiritualità ecumenica, l’integrazione europea, le migrazioni, l’ecologia, la globalizzazione, il dialogo con islam e ebraismo.
«Ogni cristiano è invitato ad associarsi a questo pellegrinaggio di speranza», si legge nella «Lettera ai cristiani d’Europa» approvata al termine dei lavori: «a dare testimonianza comune, camminando con Cristo alla ricerca di una nuova vocazione per l’Europa. Il nostro continente ha fatto grandi passi in avanti nella politica e nella cultura, eppure lo sfruttamento, l’oppressione e la violenza rimangono come ostacoli sul nostro cammino. Ci ispiriamo al nostro tema – La Luce di Cristo illumina tutti. Speranza di rinnovamento e unità in Europa – e cerchiamo di testimoniare la nostra fede nel nuovo contesto europeo, dove la fede è spesso consegnata al margine della vita sociale. Questo compito sarà illuminato dall’amore di Cristo e dalla forza dello Spirito, il quale guarisce le ferite dell’umanità. Noi vi incoraggiamo, sorelle e fratelli in Cristo, a impegnarvi nell’agenda delle istituzioni europee, che operano anch’esse per portare speranza nel nostro continente. La luce di Cristo ci aiuterà a lavorare per la riconciliazione e per l’unità nel nostro mondo lacerato».

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