n. 2 - 15 febbraio 2006
"Se Ariel Sharon non fosse stato in coma profondo, sarebbe saltato giù dal letto per la gioia."(Ury Avnery)
"La buona notizia dai territori occupati è che Hamas ha vinto le elezioni!"(Gideon Levy)
Se non provenissero da due tra i più stimati e seri giornalisti israeliani, ci sembrerebbero solo due provocazioni fuori dal coro allarmato e sconcertato dal successo di Hamas. Ma noi abbiamo la pretesa di offrirvi anche stavolta una lettura diversa di ciò che accade in Palestina e Israele, grazie a tante...bocche scucite.
QUESTO SECONDO NUMERO di BoccheScucite vi raggiunge come uno "SPECIALE ELEZIONI PALESTINESI", non solo perchè il 25 Gennaio 2006 passerà alla storia per la straordinaria prova di democrazia di un popolo sotto occupazione, ma anche perchè le analisi dei nostri media non sono state all'altezza di una situazione così complessa limitandosi come sempre ad amplificare una sola lettura dei fatti. Vi apriranno invece la visuale le analisi di Ury Avnery, Zvi Shuldiner e Giulietto Chiesa. Originalissima e preziosa troverete la lettura di uno storico coraggioso come Pallante e solo in esclusiva per BoccheScucite alcuni testimoni, che dalla Palestina sono passati in questi giorni per Venezia, ci hanno dato la loro interpretazione dei fatti. Abbiamo così raccolto i pareri di Ruba Saleh, architetto di Ramallah, Maroof Rabba del Medical Relief di Nablus e Victor Batarseh, Sindaco di Betlemme. Che ve ne pare... un sindaco che è cristiano e che è stato eletto indipendente nelle liste di Hamas! Beh, a questo punto davvero Buona lettura!
“Per noi i risultati delle elezioni non sono stati una sorpresa. Essa è il risultato di una situazione sociale, economica e politica disastrosa. E’ stato un voto di protesta, anche nei confronti di Fatah, frantumato dalle lotte interne e dalla corruzione.
Non reagire allarmati, questo potete fare voi occidentali, per non creare un arroccamento nelle posizioni estreme.”
(Maroof Rabba, dell’Associazione Medical Relief di Nablus)
"Nella mia municipalità ci sono già 5 membri di Hamas che lavorano con grande serietà e impegno. Io stesso sono stato eletto come indipendente nelle liste di Hamas pur essendo un cristiano. Sono sicuro che il nostro lavoro per la città di Betlemme non cambierà: dobbiamo contare su tutti i palestinesi che si impegnano per il bene del nostro futuro stato palestinese, compresi quelli di Hamas. Le elezioni ci hanno detto che l’85% dei palestinesi vuole la pace. Se Hamas non sarà all’altezza di questo compito lascerà il posto ad altre forze politiche" (Victor Batarseh, Sindaco di Betlemme)
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Déjà vu!
Se Ariel Sharon non fosse stato in coma profondo, sarebbe saltato giù dal letto per la gioia.
La vittoria di Hamas concretizza le sue più ardenti speranze.
(Ury Avnery, Haaretz 28-1-2006)
Per un intero anno, ha fatto tutto ciò che era possibile per minare Mahmoud Abbas. La sua logica era abbastanza ovvia: gli americani lo volevano per negoziare con Abbas. Questi negoziati avrebbero inevitabilmente portato ad una situazione che lo avrebbe costretto a rinunciare a quasi tutto il West Bank. Sharon non aveva intenzione di farlo. Egli voleva annettere circa la metà del territorio. Cosi egli doveva sbarazzarsi di Abbas e della sua immagine moderata.
Durante l’ultimo anno, la situazione dei palestinesi è andata peggiorando giorno dopo giorno. Le azioni dell’occupazione hanno reso impossibile la vita normale e il commercio. Gli insediamenti del West Bank si stavano continuamente allargando. Il muro che taglia circa il 10% del West Bank era quasi a completamento. Nessun prigioniero importante era stato rilasciato. L’obiettivo era di convincere i Palestinesi che Abbas era debole (“un pollo spennato”, come la mise Sharon), che non sarebbe riuscito ad ottenere niente, che offrendo pace e osservare il cessate-il-fuoco non porta da nessuna parte.
Il messaggio ai palestinesi era chiaro: “Israele capisce solo il linguaggio della forza”.
Ora i Palestinesi hanno messo al potere un partito che parla questa lingua.
E ADESSO? Una grande sensazione di déjà vu.
Negli anni 70 e 80, il governo israeliano dichiarò che non avrebbe mai negoziato con l’OLP. Loro sono terroristi. Hanno uno statuto che reclama la distruzione di Israele. Arafat è un mostro, un secondo Hitler. Perciò mai, mai, mai…
Alla fine, dopo molto spargimento di sangue, Israele e L’OLP si riconobbero l’un l’altro e furono firmati gli accordi di Oslo.
Ora stiamo ascoltando ancora la stessa musica. Terroristi. Assassini. Lo statuto di Hamas reclama la distruzione di Israele. Non non negozieremo con loro mai mai mai.
Tutto questo fa molto piacere al partito di Sharon Kadima, che apertamente reclama l’annessione unilaterale del territorio (“Fissando i confini di Israele unilateralmente”). Aiuterà il Likud e i falchi del partito laburista il cui mantra è “Non abbiamo nessun partner per la pace”, intendendo - al diavolo la pace.
Gradualmente, il tono cambierà. Entrambi le parti, ed anche gli Americani, scenderanno dall’albero alto. Hamas dichiarerà che è pronto per i negoziati e troverà delle basi religiose per questo. Il governo di Israele (probabilmente capeggiato da Ehud Olmert) si inchinerà alla realtà e alla pressione americana. L’Europa dimenticherà i suoi ridicoli slogan.
Alla fine, tutti converranno che una pace, nella quale Hamas sia un partner, è migliore che una pace con Fatah solo.
Preghiamo che non sia versato molto sangue prima che questo punto sia raggiunto.
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"Per capire queste elezioni dovete venire a Ramallah! Capirete perché ha vinto Hamas dopo aver visto Psegot, un insediamento di tremila coloni sulla collina che domina il centro della mia città di 90.000 abitanti. Armati fino ai denti, con i terreni agricoli migliori e i pozzi d’acqua, sparano di notte coi bazooka sulle nostre case. Quelli sono terroristi. Ma l’occidente non vuol vedere, non vuol capire" (Ruba Saleh, architetto di Ramallah)
OLTRE L'ISTERISMO DELLA DESTRA
Trent'anni fa «terrorista» era l'Olp. Ora è il momento del negoziato
di ZVI SCHULDINER
La vittoria di Hamas provoca costernazione, confusione, timori. Sia Israele sia la comunità internazionale sembrano destarsi dal sonno pesante nel quale erano immersi dal ritiro unilaterale e scoprono che c'è un prezzo da pagare per la politica dell'occupazione militare. Scoprono inoltre che la paralisi o la repressione non bastano per cambiare la realtà. La realtà è quella della stessa occupazione. Il ritiro unilaterale ha nascosto agli occhi di molti che l'uscita da Gaza non rappresentava un processo di pace, bensì di una forma ulteriore di repressione, una maniera per cercare d'imporre ai palestinesi una soluzione che ignorava le loro principali rivendicazioni. Di fronte alla ripresa di una brutale repressione nei Territori occupati, il giorno dopo la conclusione del ritiro unilaterale, continuava il «grande piano» di Sharon (un De Gaulle agli occhi dei confusi dentro e fuori Israele): avanti con la Road Map, ma sulla base d'imposizioni unilaterali, con l'aiuto di Bush e dei suoi complici dell'arena internazionale. Quando tutti aspettavano i negoziati, questi non sono partiti. E la paralisi diplomatica confermò ai palestinesi che la via diplomatica di Abu Mazen e Al Fatah non funzionava.
Ma non finisce qui. Dall'arrivo di Arafat e dei suoi uomini nei Territori, dodici anni fa, i palestinesi dovettero confrontarsi con un'Autorità che ignorò le necessità reali e si preoccupò solo di usare e di abusare del potere. La corruzione era all'ordine del giorno. L'inizio della seconda Intifada rappresentò un'esplosione che risultava non solo dalla furia contro l'occupazione e la provocazione di Sharon il 28 settembre 2000, ma anche dallo scontento per un regime palestinese corrotto che non faceva fronte alle necessità fondamentali della società civile.
In questi anni gli attivisti di Hamas sono riusciti a crearsi un'immagine molto più limpida di quella dei funzionari dell'Autorità palestinese. I servizi - istruzione, sanità pubblica - non funzionavano. C'era la fame, la disoccupazione, tutto faceva parte di una realtà nella quale l'assistenzialismo di Hamas si faceva notare. La cecità di tutti porta invece solo oggi al centro dell'arena politica Hamas.(…)
D'altro canto, le possibilità di vedere Hamas al governo palestinese sono interessanti e lo sanno bene alcuni israeliani, al di là degli isterismi di cui è preda oggi l'élite politica del paese. Hamas come interlocutore politico può essere una miscela esplosiva di vari elementi. Da un lato, alcuni dei suoi dirigenti stanno già invitando gli israeliani a non temere i risultati e a vederli come una possibilità di aprire negoziati seri. Dall'altro, com'è successo nell'ultimo anno, questo potrebbe significare la possibilità di una tregua militare che eviti lo spargimento di sangue che ha caratterizzato i primi tre anni e mezzo della seconda Intifada. Questo significherebbe la possibilità di accettare una soluzione di due stati «senza abbandonare la rivendicazione storica, ma lasciandola per le future generazioni». Al tempo stesso non è possibile dimenticarlo: la discussione interna ad Hamas dovrà dirimere la tensione tra il fondamentalismo religioso dell'ala dura e la linea più pragmatica di coloro che rappresentano altri interessi del popolo palestinese. Le elezioni di questi giorni sono un elemento in più nella dura problematica dell'occupazione.
È troppo presto per vaticinare i risultati interni ed esterni della vittoria del fondamentalismo islamico, ma è sbagliato lasciarsi prendere dall'isterismo «anti-terrorista» di coloro che non sempre hanno saputo costruire un futuro migliore che non rendesse necessario ricorrere al voto per questo gruppo. Oggi la consegna non dev'essere quella della preoccupazione degli ipocriti e della «lotta contro il terrorismo» dei territori statali, gli sforzi devono essere invece volti alla creazione di un vero tavolo dei negoziati per la pace.
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"Io penso che non cambierà niente per i cristiani, perché Hamas non è stato eletto per i suoi orientamenti religiosi ma per l’impegno sociale a tutto campo e per tutti i palestinesi, senza nessuna discriminazione religiosa. Io son sicuro che Hamas non cambierà la caratteristica di Betlemme, culla della cristianità" (Victor Batarseh, Sindaco di Betlemme)
Perché in Palestina ha vinto Hamas
di Giulietto Chiesa (Avvenimenti)
Bisogna aver visto Qalqilia per capire perché le elezioni parlamentari palestinesi sono state vinte in modo schiacciante da Hamas. Bisogna fare uno sforzo d'immaginazione, molto difficile per noi che abbiamo libertà di movimento e possiamo contare sulla nostra vita privata, sulla piccola o grande proprietà che abbiamo messo insieme, o su un lavoro più o meno decente che ci garantisce un reddito. Per noi che abbiamo l'acqua e che sappiamo che nessuno può chiudere i nostri rubinetti o prendersi i nostri pozzi. Qalqilia è – in Cisgiodania - una città di 40 mila abitanti completamente circondata dal muro (il Muro) israeliano, salvo un buco d'uscita di circa un chilometro.
Basta prendere le mappe stampate dall'Onu, quelle che indicano la “linea verde” della Road Map , ma mostrano anche come e dove e quanto essa sia stata spezzata dal Muro. Si vede – anche un cieco lo vedrebbe – che gl'insediamenti israeliani sono stati fatti crescere ad arte, non casualmente, in modo da accerchiare, anno dopo anno, i villaggi palestinesi. Qualcuno ha disegnato una strategia, ha creato delle sacche che poi verranno chiuse da un laccio di cemento armato, quando i palestinesi, impossibilitati a vivervi, saranno costretti a andarsene.
Si potrebbe continuare. Ma il dato è chiaro. Abu Mazen e Fatah hanno perduto perché la stragrande maggioranza dei palestinesi sono giunti, loro malgrado, alla conclusione che né il primo né il secondo erano più in grado (o intenzionati) a difenderli. Il verde islamico è solo parte, non decisiva, di questo ragionamento, che si ascoltava incessantemente girando da un seggio all'altro tra Nablus, Jenin, Qalqilia appunto.
Non è un racconto di viaggio quello che voglio fare, ma un ragionamento semplice. Le elezioni in Palestina le abbiamo volute in primo luogo noi. Intendo dire gli europei. Le abbiamo pagate noi, investendovi, solo per queste ultime, circa 220 milioni di euro. Abbiamo stampato noi i bollettini di voto, abbiamo formato noi gli scrutatori e i presidenti dei seggi, e tutto il resto. Loro, i palestinesi, hanno costruito i loro partiti, hanno individuato i loro candidati. E poi sono andati a votare, in massa, uomini e donne, nella storica giornata del 25 gennaio 2006.
Hanno votato come se lo facessero da decenni, con ordine, stando dentro una prigione come lo è la Palestina occupata. Armi ce n'erano e ce ne sono tante, ma non un colpo è stato sparato, non un incidente. Tutti gli osservatori – io ero tra di loro – sono giunti alla stessa conclusione; perfino – molti – con grande stupore. Non se l'aspettavano. Molti hanno detto che questo voto palestinese è un modello e un monito per tutto il mondo arabo, per i nostri amici arabi, che non lasciano votare decentemente le loro popolazioni e con cui noi continuiamo a intrattenere ottimi rapporti.
Per decenni abbiamo sentito ripetere, a destra e a sinistra, che Israele è l'unico stato democratico del Medio Oriente. Dal 25 gennaio 2006 non è più così.
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La vittoria di Hamas: uno scandalo a senso unico
di Francesco Pallante
La vittoria di Hamas alle elezioni legislative palestinesi ha confermato, ancora una volta, l'imprevedibilità della politica mediorientale. È facile dire, adesso, che in fondo lo si poteva immaginare: in realtà - forse anche per esorcizzare la possibilità che accadesse davvero - tutti erano pronti a registrare una forte affermazione del movimento islamico, ma nessuno aveva predetto l'ampia vittoria che si è poi verificata.
Molto più facile da prevedere era la reazione internazionale: «sgomento», «delusione», «preoccupazione», «pericolo», «paura», sono state le parole maggiormente ricorrenti nelle dichiarazioni ufficiali delle cancellerie, non solo occidentali. [...]
Ora, a prescindere da ogni considerazione circa il fatto che la pace si fa tra nemici, che non si può scegliere l'avversario che si preferisce, o che non è proprio democratico l'atteggiamento di chi prima pretende di imporre la democrazia e poi desidererebbe imporre anche i risultati delle elezioni, onestà intellettuale vorrebbe che nell'analisi politica si adottassero criteri di valutazione univoci, e non si procedesse a leggere fenomeni analoghi con occhiali diversi. Hamas è un movimento estremista e si propone obiettivi inaccettabili perché lesivi dei diritti elementari della controparte? Benissimo. Ma allora qualcuno dovrebbe essere così gentile da spiegare all'opinione pubblica perché, in tutti questi anni, nessuno si è mai posto il problema degli obiettivi, lesivi dei diritti elementari della controparte, contenuti nei programmi del Likud.
Non è difficile scovare su internet lo Statuto di Hamas (c'è persino in italiano: http://www.cesnur.org/2004/statuto_hamas.htm) e la Piattaforma del Likud (per precisione: sul sito della Knesset, all'indirizzo http://www.knesset.gov.il/elections/knesset15/elikud_m.htm, si trova quella della legislatura 1999-2003, non quella della legislatura in corso). Chi avrà voglia di andarsi a scaricare i due documenti troverà significative somiglianze tra le posizioni di Hamas e quelle del Likud in relazione al conflitto israelo-palestinese.
Sostiene Hamas: «Il Movimento di Resistenza Islamico [...] si sforza di innalzare la bandiera di Allah su ogni metro quadrato della terra di Palestina». Replica il Likud: «Le comunità ebraiche in Giudea, Samaria e Gaza sono la realizzazione dei valori sionisti. La colonizzazione della terra è una chiara espressione dell'incontestabile diritto del popolo ebraico sulla Terra di Israele. [...] Gerusalemme è la capitale eterna e unita dello Stato di Israele e solo di Israele. [...] La Valle del Giordano e i territori che questa domina devono essere sotto sovranità israeliana. Il fiume Giordano sarà il confine permanente verso Est dello Stato di Israele».
Naturalmente la «Palestina» di Hamas e la «Terra di Israele» del Likud indicano esattamente la stessa porzione di territorio: entrambi, quindi, rivendicano integralmente per sé quelli che oggi si potrebbero definire «Israele + Cisgiordania + Gaza», negando ogni diritto all'avversario. Ma c'è di più. Afferma Hamas: «All'ombra dell'islam, è possibile per i seguaci di tutte le religioni coesistere nella sicurezza: sicurezza per le loro vite, le loro proprietà e i loro diritti». Risponde il Likud: «Il governo di Israele rifiuta categoricamente la nascita di uno Stato arabo palestinese a Ovest del fiume Giordano. I Palestinesi possono condurre le loro vite liberamente nel contesto di un auto-governo, ma non come uno Stato indipendente e sovrano». Dunque Hamas propugna l'eliminazione di Israele, ma non degli israeliani, che sembrerebbe disposta a far «coesistere nella sicurezza» all'interno dell'auspicato Stato islamico di Palestina; speculare la posizione del Likud, che nega agli avversari il diritto di avere un proprio Stato, immaginando per loro un «auto-governo» all'interno dello Stato di Israele.
Ricapitolando: (a) sia Hamas sia il Likud pretendono esclusivamente per sé tutto il territorio oggetto di contesa; (b) sia Hamas sia il Likud negano agli avversari il diritto di costituire un proprio Stato sul territorio conteso; (c) sia Hamas sia il Likud sono disposti a tollerare la presenza degli avversari, immaginando per loro la concessione di una posizione di secondo piano (come minoranza religiosa, nella visione di Hamas; come popolo colonizzato che si autogoverna, nella visione del Likud). E allora: dove sta la differenza? Perché l'ascesa al governo di Hamas viene vista come un avvenimento inaccettabile, mentre il Likud ha condiviso o assunto svariate volte la responsabilità del governo israeliano senza incappare nell'unanime sdegno della comunità internazionale? Gli avvenimenti di questi giorni smascherano l'ipocrisia di una comunità internazionale che da troppi anni si proclama equidistante a parole, ma pretende nei fatti la moderazione solo da una parte, quella palestinese.
È in questo senso che la reazione internazionale ai risultati delle elezioni legislative palestinesi solleva un problema di onestà intellettuale. Da un lato non si può negare che la preoccupazione sia più che comprensibile: chiunque creda che lo schema «due popoli, due Stati» rappresenti la sola possibilità di definire in maniera ragionevolmente onesta il conflitto in Medio Oriente non può che vedere con enorme preoccupazione l'affermarsi in campo palestinese di una forza politica che oltre a considerare legittimo il ricorso indiscriminato all'arma del terrorismo - è apertamente contraria a quella prospettiva. Ma dall'altro lato non si può accettare che un'analoga preoccupazione non sia mai emersa quando una forza politica egualmente contraria alla soluzione dei due Stati si è affermata in campo israeliano. Hamas e il Likud sono le più importanti formazioni politiche estremiste presenti nei due campi: la differenza è che fino a ieri i palestinesi avevano affidato il loro futuro al governo dei moderati e solo adesso - dopo quasi vent'anni di inganni negoziali - hanno chiamato gli estremisti a governarli; mentre in Israele gli estremisti hanno ripetutamente guidato il paese e sembrano di nuovo in corsa per conquistare i favori dell'elettorato.
Chi si è dato tanto da fare per eliminare Arafat - l'uomo che, pur avendo accettato di rinunciare al 78% della Palestina storica, non è riuscito a ottenere il restante 22% - pensava che i palestinesi andassero ammorbiditi ancora un po'. Il voto del 26 gennaio è stata la loro risposta. Adesso, si ricomincia tutto da capo.
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"Erano settimane che la TV ripeteva il tam-tam di Washington: “Se vincerà Hamas taglieremo tutti i fondi”. Sia fatta la volontà di Bush. La gente si è ribellata e ha compiuto un gesto di orgoglio scegliendo a maggioranza Hamas. È un voto che leva in piedi la Palestina, anche se personalmente temo e sono incerta. Non sono contenta, ma non ho paura" (Saleh Ruba)
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Si terrà sabato 18 febbraio 2006 alle ore 16.30 nella sala del Cenacolo in piazza Landino a Pratovecchio (AR) la Tavola rotonda “Bethlehem, ti siamo vicini”. Organizzata dalla Pattuglia Terra Santa dell’Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani con il patrocinio del Comune di Pratovecchio, l’iniziativa è realizzata per tutti coloro che sono interessati all’attuale situazione sociale in Palestina, ogni giorno più difficile anche alla luce degli ultimi sviluppi politici.
Alla Tavola rotonda interverranno:
Don Nandino Capovilla ed Elisabetta Tusset, Pax Christi Venezia, autori delle pubblicazioni “Aquiloni preventivi” e “Nei sandali degli ultimi”, oltre che di numerosi reportage;
Gianni Pinnizzotto, Direttore della scuola fotografica Graffiti Press di Roma, i cui fotografi documentano da anni la situazione nei territori palestinesi con un occhio particolare alla costruzione del muro;
Prof. Giovanni Gianfrate, Associazione Coltiviamo la Pace di Firenze, che in stretta relazione con la comunità cristiana di Taybeh - cittadina palestinese in Cisgiordania - opera per promuovere un’economia al servizio della pace;
Fr. Jacques Frant, monaco palestinese di Taybeh, che testimonierà la realtà quotidiana di quella terra;
Piergiorgio Rosetti, volontario in Palestina per Operazione Colomba;
Il Caritas Baby Hospital di Betlemme, in collegamento telefonico.
Durante il convegno è prevista anche la proiezione di video recentemente girati dagli intervenuti nei Territori Occupati. Dopo la Tavola rotonda è in programma una cena araba (su prenotazione) e a seguire la proiezione gratuita del film “Paradise Now”, regia di Hany Abu-Assad e vincitore del Golden Globe 2006 per il miglior film straniero. Un film coraggioso e complesso, che esplora l’umanità di due giovani palestinesi cresciuti in un campo profughi che decidono di diventare “bombe umane” pronte a morire e a dare morte.
Per informazioni e prenotazioni cena: Marino Tiribilli 055-405158.
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