n. 4 - 15 marzo 2006

15 marzo ore 9: le notizie sempre più drammatiche si accavallano non più solo da GERICO, dove l'esercito israliano ha assalito, attaccato e bombardato il carcere palestinese sotto tutela internazionale, ma da Gaza e tutta la Cisgiordania:unanime la condanna per un atto gravissimo che oltre ai morti e feriti ha scatenato la rabbia del popolo palestinese. Come sempre i media stravolgono la realtà: i titoli di stamattina parlano di "operazione perfettamente riuscita"(Libero) per Israele che "si prende il killer di Zeevi"(La stampa). "Applausi a scena aperta da tutti i partiti israeliani con il rammarico per la 'morte' dei due palestinesi ma insieme il compiacimento generale per la cattura degli assassini col minor spargimento di sangue possibile" (Il Gazzettino). Fiamma Nireinstein non può non parlare di un "assalto alle mura della prigione di Gerico" e per non drammatizzare eccessivamente aggiunge la postilla storica per cui "però queste mura non sono cadute al suono del corno di Giosuè come nella Bibbia"...
Non modifichiamo QUESTO NUMERO già pronto per voi e tristemente già "dedicato" ai quotidiani crimini non raccontati dai media. Vi anticipiamo che nelle prossime ore ci permettiamo di raggiungervi con un numero SPECIALE di commento alla situazione con un INTERVISTA ESCLUSIVA per BoccheScucite ad ALI RASHID.

Nablus, Gaza City, Tulkarem, la Valle del Giordano: nomi che ci dicono poco ma non per colpa nostra, visto che i giornali non ci raccontano quasi mai quello che accade lì, nemmeno quando si tratta di veri e propri massacri e stragi di cui restano vittime innocenti civili, che hanno la sola colpa di vivere sotto un'occupazione militare sempre più insostenibile. È davvero scandaloso che tali crimini restino nascosti al mondo e che solo le mail e i contatti con gli amici che lì sopravvivono ci diano lo spessore del dramma.

QUESTO NUMERO di BoccheScucite rinuncia per una volta alle analisi e ai commenti dando spazio ai gravissimi fatti accaduti "sul terreno", violazioni e crimini che...si commentano da sè. Una nostra intervista all'amico Giorgio Stern dell'associazione 'Salaam Ragazzi dell'ulivo' di Trieste, ci conferma la necessità di gettare ponti anche per sapere realmente cosa sta accadendo nei Territori Occupati.

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Il massacro di Nablus

Dal 17 febbraio è in corso un'operazione militare da parte dell'IOF(Israeli Occupation Forces) a Nablus, in modo particolare nel campo profughi di Balata, ma anche a Tulkarem, dove sono tornate in azione le squadre speciali che in operazione notturna hanno arrestato un 19enne, e a Jenin dove sono state demolite nuove case e piantagioni.

I fatti di Nablus
Lunedì 20 febbraio le forze militari israeliane, alle tre e trenta del mattino, sono entrate nel campo profughi di Balata e nella città vecchia di Nablus. Vicino a Balata sono iniziati gli scontri tra soldati israeliani e combattenti palestinesi. Sono poi seguiti forti esplosioni dentro il campo ed il successivo ritiro verso Hawara, dove l'IOF ha la sua base militare. Dopo due ore l'esercito è tornato nuovamente con buldozer, tanks e una ventina di jeep iniziando una nuova operazione nel campo profughi e mettendo dei blocchi di cemento alle entrate del campo. È iniziata poi la devastazione delle abitazioni: rastrellamenti casa per casa, demolizioni con esplosivi per attraversare direttamente le abitazioni. In questa occasione sono state uccise tre persone e ferite trenta, una delle quali è deceduta più tardi in ospedale. Ma l'occupazione militare non si ferma.

Il giorno dopo, 21 febbraio, hanno allargato l'operazione militare anche nella città vecchia di Nablus. Intanto a Balata sono state occupate circa 20 case e la scuola femminile, dove hanno distrutto l'aula computer e dipinto sui muri immagini offensive. Hanno lasciato la città per la notte, ma il giorno dopo sono nuovamente tornati alle sette e trenta del mattino, il momento in cui le strade sono piene di persone, specialmente di ragazzi che vanno a scuola. Sono iniziati nuovi scontri: pietre contro pallottole. Altre 25 persone sono state ferite in quest'occasione ed altri morti si sono aggiunti alla lista. Cinque di questi sono volontari del pronto soccorso (uno di loro morirà più tardi), un altro è l'autista dell'ambulanza che non ha potuto ricevere aiuti per ore. I media israeliani dicono che hanno ucciso tre terroristi. Intanto il Medical Relief (UPMRC) ha rilasciato un comunicato sull'invasione di Balata, avvenuta tra il 17 e il 23 febbraio, sottolineando come l'operazione stessa dell'IOF (Israeli Occupation Forces) sia ancora in corso.

Il 23 febbraio l'IOF ha sparato anche sulle squadre di primo soccorso e sui giornalisti presenti nel campo profughi. Sono stati feriti gravemente tre volontari del Medical Relief, Jerir Zakaria Qanadilu, colpito ad una mano e ad una gamba da due proiettili, Ahmad Arabat, colpito al petto, Ihab Mansour, ferito alla testa e arrestato. In questa operazione sono stati feriti anche due internazionali, un americano e un tedesco. Il Medical Relief lancia un appello alla comunità internazionale affinché si mobiliti per fare pressioni su Israele e chieda la cessazione dei continui attacchi militari all'interno della città di Nablus. Il Medical Relief ricorda come questi atti, gli attacchi ai mezzi di pronto soccorso e al loro personale, gli attacchi alla stampa, violino la Quarta Convenzione di Ginevra. L'amarezza e la gravità dei fatti si unisce allo sconcerto per l'ennesimo silenzio dell'informazione che sta mortificando i palestinesi ancor più degli attacchi militari.

Per approfondire vai sul nuovo blog di controinformazione all'indirizzo: osservatoriopalestina.blogspot.com

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La strage a Gaza

Cinque sono stati alla fine i palestinesi massacrati da un bombardamento aereo. Un elicottero Apache ha sparato alcuni missili e lanciato due razzi contro un camioncino del gelato su cui viaggiavano due militanti della Jihad islamica: Munir Sukar e Ashraf Shaluf. Durante l’attacco missilistico – riporta il quotidiano Ha'aretz – RAED, un bambino di 8 anni, MAHMOUD un adolescente di 15 e AHMED un giovane di 24 anni, sono stati coinvolti nella deflagrazione perdendo la vita. Altre nove persone nei paraggi sono rimaste ferite e una donna, parente di una delle vittime e che viveva nei pressi, è deceduta per infarto, si ipotizza causato dall’attacco. I militari affermano che quando il camioncino si è diretto verso la folla era troppo tardi per dirottare i razzi. La Jihad Islamica ha promesso nuovi attacchi con missili Qassam come ritorsione per i fatti di ieri. L’inchiesta dell’esercito scarta qualsiasi responsabilità dei piloti. Il comandante dell’aviazione ha dichiarato: “Vengono fatti SFORZI DISUMANI per ridurre il numero delle vittime civili dei raid aerei”. E MOFAZ ha detto: “Questa è la politica giusta e continuerà. Le esecuzioni mirate CI DANNO OTTIMI RISULTATI.”
(fonte:Il Manifesto, 7 marzo 2006)

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Il Bantustan di Tulkarem

Non fa notizia la chiusura totale di un'intera città come d'altra parte non ha rilievo il dato comunicato dall'ultimo Rapporto dell'OCHA, Ufficio ONU per il coordinamento degli affari umanitari, a proposito dell'aumento del 25% di check-point nei Territori Occupati. Sono 471 i posti di blocco che separano la Cisgiordania in tre gabbie (erano 376 ad agosto). Tutti gli abitanti, studenti, lavoratori, uomini, donne, bambini hanno trovato chiuso anche il posto di blocco militare ad est della città dopo che quello ad ovest era stato sigillato nelle scorse settimane.
Il commento migliore a questo ulteriore test per concedere unilateralmente al futuro stato palestinese di morire strangolati in alcuni bantustan, l'ha fatto il portavoce del ministero degli esteri israeliano Mark Regev: "Queste azioni sul terreno sono tutte a carattere difensivo e rispondono alla crescente minaccia terroristica".
(fonte: Ha'aretz, 8 marzo 2006)

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L'annessione della Valle del Giordano

E adesso tocca alla Valle del Giordano ad essere inghiottita da Israele. È confermato ciò che appare già tristemente chiaro guardando la realtà sul terreno: mentre il muro di separazione ad est, che Ariel Sharon aveva pianificato di costruire, non è stato costruito (forse sarebbe meglio dire: non è stato ancora costruito), un altro muro in realtà esiste, fatto di blocchi stradali, barriere, ordini militari che impediscono l’entrata a non più di un migliaio di persone, e incursioni notturne compiute per espellere i palestinesi che non sono “residenti nella valle”.
L’obiettivo è annettere ed espropriare tutta la Valle e impedire ai palestinesi la costruzione e lo sviluppo lungo la maggior parte della valle del Giordano; vietare la vendita dei prodotti agricoli palestinesi direttamente ai rivenditori israeliani o ai più vicini punti di trasferimento delle merci al confine tra la valle del Giordano e Israele; impedire i viaggi lungo la maggior parte delle strade della valle; proibire a vicini e parenti di incontrarsi, ai proprietari di terre di raggiungere i propri appezzamenti, e ai lavoratori di cercare lavoro; proibire alle persone di mantenere il tradizionale stile di vita che hanno tenuto per centinaia di anni, espellendo i nomadi e i semi-nomadi che erano soliti scendere dai loro villaggi sulle montagne ai pendii più caldi dell’est.

L’esplicita proibizione riguardante l’entrata nella valle del Giordano a tutti I palestinesi eccetto una piccolo minoranza è relativamente nuova. Ha cominciato a prendere forma lentamente lungo il corso degli ultimi cinque anni. Ha coinvolto non soltanto un singolo ordine pubblicato dai media, ma piuttosto una serie di proibizioni cumulative, ora ad un punto di blocco stradale, poi ad un altro e poi ad un altro ancora. La restrizione alla libertà dei contadini palestinesi di commercializzare i loro prodotti direttamente o ali vicini distributori israeliani è nuova, datata ottobre-novembre 2005. Entrambi i tipi di proibizione costituiscono la più recente manifestazione della politica praticata da Israele perfino durante gli anni di Oslo – apparentemente gli anni dei negoziati di pace.

Tutto può essere interpretato come “legittime misure di sicurezza”: proteggere Israele dal viaggiare sulle loro strade, difendere gli stabilimenti, facilitare il compito dei soldati, e mettere quanti più filtri possibili lungo la strada del contrabbando di armi”. Ma la razionale sicurezza persuade solo coloro (tristemente, la maggior parte degli israeliani) che insistono ad ignorare una serie di misure di espropriazione invocate da una successione di governi israeliani nella valle de Giordano e contro i palestinesi.

Queste includono la costruzione di colonie basate sulla deprivazione ai palestinesi delle loro risorse d’acqua e il controllo sulle loro terre; trasformando 500 chilometri quadrati della valle in un terreno di allenamento militare e di zone di fuoco, fornendo cosi una eccellente scusa “umanitaria” per rimuovere attivamente la gente da un’area di 6.000 acri.
(Fonte: Amira Hass, Ha'aretz, 27 febbraio 2006)

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Insomma, notizie di serie B

Così AMIRA HASS chiama questo tipo di notizie che avete letto fin qui e che non trovano spazio nei media italiani, a parte qualche rarissima eccezione. Racconta lei stessa, giornalista israeliana di Ha'aretz: "La scorsa settimana mi ha telefonato la radio israeliana per un'intervista. "Non posso", ho risposto. Sapevo che avrebbero voluto da me l'ulteriore commento all'ingresso di Hamas nel parlamento palestinese. Sappiamo bene che i media creano una gerarchia di notizie che devono corrispondere a ciò che i governi vogliono far sapere alla gente. I fatti che intralciano la visione ufficiale o potrebbero creare troppi interrogativi...vengono semplicemente esclusi. Accade così anche a tutte le gravi azioni illegali e immorali che denuncio di solito sulla frammentazione e l'annessione di terra palestinese. "Come mai non mi avete chiamato l'altro giorno che avevo svelato i progetti di Israele per separare e annettere tutta la Valle del Giordano? Quando mi chiamerete per sapere in che modo Israele costruisce un sistema che non è esagerato definire "apartheid", accetterò di parlare anche di Hamas".
(Internazionale, marzo 2006)

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E quando arrivano le notizie, si blocca il respiro

Abbiamo chiesto a GIORGIO STERN, dell'Associazione Salaam Ragazzi dell'ulivo di Trieste, di raccontarci le reazioni di chi con Nablus ha un filo-diretto di amicizia e progetti di solidarietà.

NANDINO: Cosa rappresenta per voi la città di Nablus e che notizie riuscite ad avere da questa città stretta d'assedio dall'esercito di occupazione?

GIORGIO: Per noi Nablus rappresenta il primo intervento di interposizione e testimonianza di pace attuato in collaborazione con l'Assopace. Purtroppo le notizie sono come i palestinesi ai check-point: non vengono lasciate passare per una chiara strategia di cui i media si rendono corresponsabili anche in Italia. Abbiamo purtoppo appreso direttamente da loro degli attacchi dell'esercito alle ambulanze del Medical Relief. Tre operatori sanitari sono stati feriti tra cui il nostro amico Jarir , autista dell'ambulanza, per il quale siamo molto in apprensione.

NANDINO: Questa vostra sofferenza è ancor più forte visto che proprio da Trieste è partita l'iniziativa di sostegno al Medical Relief attraverso il dono di un'ambulanza.

GIORGIO: C'è stato un grande impegno di tanta gente per il progetto dell'ambulanza che siamo riusciti a donare per la gente di Nablus. Si tratta di una clinica mobile che potrà permettere di continuare il difficile lavoro dell'assistenza medica nei villaggi dei dintorni della città.

NANDINO: Cosa avete provato allora alle terribili notizie dell' attacco militare al mezzo di soccorso e al ferimento di tante persone?

GIORGIO: Lo sconforto e un'enorme indignazione ci ha presi e mobilitati soprattutto nel raccogliere le informazioni e nel tentare di rompere il muro di silenzio che impedisce a questi crimini di essere riprovati e denunciati. Abbiamo attivato tutti i possibili canali alternativi tra cui il settimanale diocesano Vita Nuova a cui siamo riconoscenti. Una mozione è stata presentata al Consiglio Regionale e speriamo venga diffusa anche dalla stampa. Ma soprattutto, umanamente, le notizie che arrivavano ci bloccavano letteralmente il respiro.

NANDINO: E noi, cosa possiamo fare?

GIORGIO: Non "possiamo" ma "dobbiamo" informarci. È un diritto e un impegno sempre più urgente di ogni cittadino insieme al dovere di mobilitarci cercando di collaborare con le realtà che localmente agiscono nella cooperazione.

NANDINO: E la prossima volta che potrete sentire gli amici di Nablus...

GIORGIO: ...noi ricorderemo loro che non sono soli. Tanta gente vuole sentirsi vicina e solidale. Ma il modo migliore per farlo sarà poi il sostenere e attivare nuovi progetti di solidarità concreta che a loro volta allargano l'informazione a più persone possibili, accorciando le distanze e...abbattendo i muri.

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