n. 1 - 30 gennaio 2006
Quando la menzogna
cede il passo all'evidenza;
Quando i diritti di chi non ha voce
soccombono alle urla arroganti del più forte;
Quando le mura domestiche
vengono squarciate dal Muro della vergogna;
... le labbra si aprano alla denuncia,
le voci scuotano animi e intenzioni,
le parole diventino incessanti ripetitori di speranza.
Carissima, carissimo
con forza, con trepidazione e anche con un po' di rabbia abbiamo pensato che non possiamo tacere. Di fronte alle continue mistificazioni che i media ci propongono 'aggiornandoci' sul conflitto israelo-palestinese, crediamo sia giusto e importante far circolare quelle voci libere, che pur ci sono, che ci raccontano gli eventi, i soprusi e le violazioni subite dal popolo palestinese, così come i fermenti di vita, le analisi, le riflessioni e le speranze che in qualsiasi modo, direttamente da testimonianze locali, più indirettamente da stampa e informazione libere, riusciremo a raggiungere e proporre. Per chi non solo conosce volti e storie di persone che vivono in Palestina ed Israele ma soprattutto va personalmente a condividerne i drammi quotidiani, è sempre più insopportabile leggere i titoli distorti e spesso falsi dei nostri media. La voglia di interloquire con chi non riesce ad avere accesso ad "un'altra informazione" ci ha spinto ad inviarti QUESTO PRIMO NUMERO di BoccheScucite. Ben consapevoli che anche le nostre caselle di posta stanno intasandosi troppo, TI MANDEREMO UNA MAIL COME QUESTA OGNI QUINDICI GIORNI. Speriamo così di offrirti un servizio essenziale e non invadente di contro-informazione.
TI CHIEDIAMO SCUSA SE L'HAI RICEVUTA MA NON HAI INTENZIONE DI RICEVERNE ALTRE: manda una mail a nandyno@libero.it con scritto in oggetto: RIMUOVI. Se al contrario hai ALTRE PERSONE A CUI PENSI SIA UTILE INVIARLA: manda una mail con l'indirizzo e l'indicazione : NUOVO ISCRITTO.
Nandino Capovilla e Betta Tusset di Pax Christi Venezia-Mestre
SOMMARIO DI QUESTO NUMERO:
Vogliamo partire interrogandoci su ciò che sta succedendo in queste ore, quando ancora una volta veniamo a sapere dai media che ci sono i buoni e i cattivi e che non è necessario capire, indagare, scavare dentro il cumulo di notizie preconfezionate. E allora ecco il nostro amico Luigi Fioravanti aprire le labbra a parole libere.
E poi la testimonianza di un giornalista inglese, che facciamo nostra nel desiderio di raccontare i fatti senza infingimenti, senza paure, senza ipocrite equidistanze. Concludiamo con una voce fuori dal coro nella comune rigida reazione al risultato delle elezioni palestinesi per registrere alla fine un commento piccolo e grande di luisa Morgantini. Buona lettura!
Tutta colpa dei palestinesi
Dunque, la vittoria di Hamas in Palestina è frutto da una parte del fanatismo integralista e terrorista di questo movimento-partito palestinese, dall'altra della corruzione di Al Fatah: dunque i palestinesi sono o corrotti o terroristi. Tutto chiaro nell'analisi della nostra "informazione". Nulla c'entra che i palestinesi vivano sotto occupazione militare israeliana da 38 anni, nulla c'entrano il Muro dell'apartheid e le colonie, nulla l'umiliazione, la frustrazione, la miseria in cui sono costretti a vivere, nella stragrande maggioranza, nulla la politica israeliana di deligittimazione di Arafat (coi corrotti non si tratta, coi terroristi non si tratta: non si tratta con nessuno e facciamo quello che vogliamo), nulla i 4.000 morti e le decine di migliaia di feriti, gli 8.000 prigionieri palestinesi solo a contarli dalla seconda intifada (si contano solo i mille morti israeliani), nulla il contesto in cui sono avvenute le elezioni. Insomma, del male noi non siamo responsabili; esso viene dall'inferno, non da questa terra; e tanto meno dalla nostra.
Luigi Fioravanti, responsabile del Centro Rigoberta Menchu di Sondrio
Raccontare i fatti come non sono
di Robert Fisk
Mi resi conto per la prima volta delle enormi pressioni sui giornalisti americani in Medioriente quella volta che, anni fa, andai a salutare un collega del Boston Globe. Gli espressi il mio dispiacere per il fatto che egli stava lasciando una regione dalla quale era stato ovviamente felice di inviare i suoi articoli. Mi rispose che potevo tenermi il mio dispiacere per qualcun altro. Una delle gioie di partire era che da allora in poi non avrebbe più dovuto alterare la verità per accomodare i lettori più rumoreggianti del suo giornale.
Ero solito chiamare il partito del Likud israeliano 'di destra', disse. Ma recentemente i miei direttori mi hanno ripetutamente detto che non dovevo usare più quell'espressione. Un sacco di nostri lettori hanno protestato. E allora? Gli chiesi. Semplicemente non diciamo più che il Likud è 'di destra'.
Perbacco. Capì subito che questi lettori erano considerati dal suo giornale come amici di Israele, ma sapevo anche che il Likud di Benjamin Netanyahu era un partito di destra come era sempre stato.
Questa è solo la punta dell'iceberg semantico che si è abbattuto contro il giornalismo americano dal Medioriente. Insediamenti ebraici illegali per ebrei e per soli ebrei su terre arabe sono chiaramente delle colonie, e così eravamo soliti chiamarli. Non riesco a rintracciare il momento del passato quando abbiamo cominciato a usare il termine insediamenti. Ma ricordo il momento, circa due anni fà, quando la parola insediamenti è stata sostituita da quartieri ebraici - o addirittura, in alcuni casi, avamposti.
Allo stesso modo, 'territori palestinesi occupati' sono diventati in molti articoli per i media americani 'territori palestinesi disputati' - subito dopo, l'allora Segretario di Stato americano Colin Powell, nel 2001, diede istruzioni alle ambasciate americane in Medioriente di parlare della Cisgiordania come di territorio disputato piuttosto che occupato.
E poi c'è il muro, l'ostruzione massiccia di cemento armato il cui scopo, secondo le autorità israeliane, è di impedire agli attentatori suicidi palestinesi di uccidere degli israeliani innocenti. In ciò, sembra aver avuto qualche successo. Ma il tracciato del muro non segue la linea del confine israeliano del 1967 e si spinge profondamente in terre arabe. E spessissimo in questi giorni, i giornalisti lo chiamano recinto piuttosto che muro. Oppure barriera di sicurezza, il termine che Israele preferisce che si usi. Per un tratto della sua lunghezza, ci viene detto, non è affatto un muro così noi non possiamo chiamarlo muro, anche se il lungo serpente di cemento e acciaio che corre ad est di Gerusalemme è più alto del vecchio muro di Berlino.
L'effetto semantico di questo offuscamento giornalistico è chiaro. Se la terra palestinese non è occupata ma semplicemente parte di una controversia legale che potrebbe essere risolta in una corte di giustizia o in amichevoli discussioni, allora un bambino palestinese che lancia una pietra ad un soldato israeliano nel suo territorio sta chiaramente agendo in modo insano.
Se una colonia ebraica costruita illegalmente su terra araba è semplicemente un bel quartiere pacifico, allora ogni palestinese che lo attacca sta perpetrando un folle atto terrorista.
E sicuramente non c'è ragione per protestare contro un recinto o una barriera di sicurezza - parole che fanno pensare al recinto di un giardino o al cancello all'entrata di un complesso abitativo privato.
Che i palestinesi obiettino violentemente a uno qualsiasi di questi fenomeni, è un fatto che li denota come un popolo genericamente malvagio. Col semplice uso del nostro linguaggio noi emettiamo la loro condanna. (
)
(Robert Fisk è corrispondente per il Medioriente per il giornale londinese Indipendent)
"IL MONDO NON CHIUDA LE PORTE, DATE TEMPO AI NUOVI LEADER"
Intervista a Padre Pizzaballa, Custode di Terrasanta
"Non chiudete la porta al dialogo, date tempo!" E' la prima reazione dei francescani di Terrasanta alla vittoria di Hamas. Il Custode Pierbattista Pizzaballa è convinto che anche per Hamas tutto sia diverso da prima. (...)
Qual'è stata la ragione decisiva dell'esito raggiunto?
Tante ragioni. Non sono un esperto ma ho l'impressione che innanzi tutto si sia espresso un desiderio di cambiare governo. Il partito Fatah garantiva l'establishment da tanti anni. Si volevano volti nuovi. Ha influito la situazione interna ed economica.
Ma anche le rappresaglie israeliane e il perenne conflitto?
Sicuramente il conflitto fa parte della vita quotidiana dei palestinesi. Credo però che non sia stato l'unico fattore.
Riprendere un processo di pace tra Anp e Israele sarà impossibile o solo più complicato?
Più complicato. Impossibile no. Chiunque sia al governo, infatti, certe cose dovrà farle, da entrambe le parti. Temo, ahimè, una battuta d'arresto. Penso che anche da parte israeliana si voglia vedere come si metta la situazione. Un conto per Hamas è stare all'opposizione, un altro al governo.
Quali conseguenze ci saranno nei rapporti tra cristiani e musulmani?
Ecco, questo è tutto da vedere. Sicuramente non si devono erigere barriere. E' molto importante cercare di dialogare, continuare a dialogare.
Quali sono le reazioni sbagliate che le grandi potenze dovrebbero evitare in queste ore?
La più sbagliata di tutte è chiudere le relazioni, interrompere i contatti. Al contrario, occorre capire, valutare come sarà il nuovo governo., le decisioni che prenderà, sempre tenendo la porta aperta all'incontro. (...) Bisogna anche dare il tempo ad Hamas di "riciclarsi"...
Insomma, prevede un'evoluzione politica in Hamas?
Spero, anzi, sono certo di sì. Finora Hamas è sempre stata all'opposizione. Tutto era molto diverso. Ora verranno fuori diverse anime, una più pragmatica, altre più fondamentaliste. Per questo dico che è presto, che bisogna aspettare e soprattuto dare il tempo perchè la situazione si evolva senza chiudere i contatti.
(Fulvio Fania intervista Padre Pizzaballa, Liberazione, 27 Gennaio 2006)
UN PICCOLO-GRANDE COMMENTO
"E' stato comunque uno straordinario esempio di maturità democratica fornito dalla popolazione palestinese. Sul piano interno è stato un voto di protesta contro gli errori dell'Anp e di Al fatah; sul piano esterno la responsabilità della vittoria di Hamas ricade sulla comunità internazionale che non ha saputo far rispettare il diritto internazionale e realizzare la costruzione di due Stati per due popoli"
LUISA MORGANTINI, osservatrice internazionale a Gaza
Sociale.network